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Tinkoff Bank, Apple rimuove la banking app dall’App Store

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La banca russa Tinkoff Bank ha comunicato nella giornata di ieri che la sua app di banking è stata cancellata dall’App Store dei dispositivi Apple, in seguito all’imposizione delle sanzioni dell’Unione Europea la scorsa settimana. Tinkoff, di proprietà di TCS Group Holding, è stata inclusa nel decimo pacchetto di sanzioni dell’UE contro la Russia come punizione per l’invasione della Russia in Ucraina.

La banca era già stata costretta a sospendere il trading in euro a seguito delle sanzioni e, ora, ha visto la sua app rimossa dall’App Store. In una dichiarazione, Tinkoff ha tranquillizzato i suoi clienti dicendo che coloro che avevano già installato l’app avrebbero potuto continuare ad utilizzarla con tutte le sue funzionalità.

Anche altre importanti banche russe, precedentemente sanzionate dall’UE o dagli Stati Uniti, hanno visto le loro app cancellate dalle piattaforme di Apple e Google in seguito all’introduzione delle sanzioni. Tinkoff ha dichiarato di lavorare a una soluzione per consentire agli utenti di scaricare nuovamente l’app in futuro.

foto di un computer, foto di un uomo con in mano un cellulare, icona di un cellulare e una carta di credito
Ulteriore conseguenza delle sanzioni per la banca russa: la sua app di banking è stata eliminata dallo Store di Apple

L’UE sanziona le banche russe, ma non tutte

Essendo una banca digitale senza filiali, Tinkoff ha milioni di clienti che dipendono dai suoi servizi online per le loro esigenze finanziarie. Fondata dall’imprenditore Oleg Tinkov, ora un aperto critico della guerra in Ucraina, la banca russa è cresciuta rapidamente negli ultimi dieci anni e rientra tra le 13 istituzioni finanziarie più importanti della Russia.

Tinkoff sta attraversando una serie di problematiche, dopo che l’Unione Europea ha approvato il decimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, in occasione dell’anniversario dell’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca. Adesso, l’Unione Europea sta considerando di tagliare fuori sette banche russe, tra cui la seconda più grande VTB, dal sistema internazionale SWIFT utilizzato per elaborare i pagamenti.

Ciò che lascia perplessi è che l’elenco non include né Sberbank, la banca più grande della Russia, né Gazprombank, il terzo più grande istituto di credito, che è strettamente legato al settore energetico. Bank Otkritie, Novikombank, Promsvyazbank, Rossiya Bank, Sovcombank e VEB costituiscono le altre sei banche nell’elenco.

L’UE ha esitato, nel corso dei mesi di conflitto, a rimuovere le banche russe da SWIFT a causa della sua dipendenza dal petrolio e dal gas russi. Un blocco totale della partecipazione delle banche russe a SWIFT sarebbe visto come una vera e propria opzione nucleare, poiché renderebbe i pagamenti quasi impossibili per il Paese. Sebbene ci sia una pressione politica per prendere una posizione più forte, l’assenza di Sberbank e Gazprombank dall’elenco indica che c’è ancora preoccupazione per le possibili ripercussioni economiche.

La dipendenza dell’UE dalla Russia

La dipendenza dell’UE dalla Russia si concentra principalmente sull’energia, poiché l’UE importa una grande quantità di gas e petrolio dalla Russia. Questa dipendenza energetica ha sollevato preoccupazioni sulla sicurezza dell’approvvigionamento, poiché l’UE si trova a dipendere dalle forniture di gas e petrolio provenienti da un solo Paese, aumentando la vulnerabilità alle interruzioni delle forniture a seguito di conflitti politici o tensioni internazionali, come accaduto nell’ultimo anno.

bandiere della Russia e dell'UE, foto di un gasdotto
L’Unione Europea è fortemente dipendente dalla Russia, ma sta cercando di rendere il loro legame meno stretto

Ci sono state anche preoccupazioni riguardo la dipendenza dell’UE dalla Russia per le forniture di materie prime come metalli rari e uranio, che sono utilizzati in settori come l’energia nucleare e l’elettronica.

Se nella prima fase delle sanzioni la Russia ha reagito bene causando più danni economici ai Paesi europei rispetto a quelli sopportati, nel lungo-medio periodo potrebbe pagare le conseguenze di un vero e proprio blocco nell’import/export del Paese. Per ridurre la sua dipendenza energetica, l’UE ha infatti sviluppato una serie di strategie volte a diversificare le fonti di approvvigionamento, ridurre i consumi energetici e sviluppare fonti di energia rinnovabile. L’UE ha anche lavorato per promuovere l’efficienza energetica e la riduzione delle emissioni di gas serra.

Dall’altro lato, la Russia ha risposto con delle contro-sanzioni per danneggiare l’economia europea, introducendo specifiche misure come modifiche dei termini contrattuali di pagamento nel settore energetico. Con il passare dei mesi l’interscambio UE-Russia si è man mano ridotto e i Paesi europei sono riusciti a importare prodotti energetici e materie prime da Paesi diversi dalla Russia.

Per quanto riguarda in particolare il gas naturale, è importante osservare come la dipendenza dell’UE si stia semplicemente spostando dalla Russia a Paesi come gli Stati Uniti e il Regno Unito: questo mette in difficoltà il Paese russo, ma dall’altra parte genere un nuovo vincolo per l’Unione Europea, che dovrebbe invece cercare di rendersi più indipendente dal punto di vista energetico, diversificando le fonti di energia attraverso l’uso di tecnologie come il gas naturale liquefatto e l’energia solare.

Laureata in Scienze dell'Economia con parziale programma di studi presso Université Paris-Est Créteil a Parigi, specializzazione in Business Administration. Analista con focus su geopolitica e macroeconomia.

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Investimenti

Tassi: Fed decide il 18 dicembre. BCE più aggressiva. Boom per le surroghe mutui

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FED BCE SURROGA

Anche questa parte finale del 2024 è dominata dalla discussione sui tassi di interesse, tanto in Europa – con BCE che sta correndo più di Fed – sia negli Stati Uniti, con l’ultima decisione dell’anno che sarà presa mercoledì 18 dicembre alle 20:00 ora italiana. Una questione che interessa i mercati finanziari, ma anche le famiglie e i privati, che dal taglio ai tassi possono ricavare rate del mutuo meno esose. I tagli di BCE, piuttosto aggressivi, hanno già innescato una corsa alla surroga.

I privati europei dovranno tenere d’occhio anche i movimenti di Federal Reserve? Oppure le due politiche monetaria sono ormai completamente separate? La storia più recente sembrerebbe far propendere per questa seconda interpretazione: BCE si è mossa prima e in completa autonomia, complice anche una situazione molto diversa – a livello macro – tra i due blocchi. Gli scenari però potrebbero cambiare molto rapidamente – e sarà appunto questa la principale preoccupazione tanto dei mercati quanto dei privati in ottica mutui.

Corsa ai tagli anche per Federal Reserve?

Forse è eccessivo parlare di corsa. Il 18 dicembre la riunione del FOMC deciderà quasi certamente per tagliare di altri 25 punti base, ripetendo la decisione che era stata presa a novembre. La grande incognita gravita però sul 2025: Jerome Powell ha più volte affermato, forte di dati che raccontano di un’economia USA piuttosto resiliente, che non ci sarà motivo di correre, a meno di dati che indichino il contrario.

Il 2025 si aprirà dunque come si era chiuso il 2024: con una Federal Reserve che sarà data driven e dunque aspetterà meeting per meeting per decidere come muoversi.

La grande incognita per il momento rimane quella dei tassi neutrali: nessuno sa – anche scientificamente – dove siano, in particolare per questo ciclo – e il rischio è quello di farsi ingannare dal lag tipico tra decisioni e risposte da parte dell’economia.

La situazione invece in Europa è diversa: comandano già la preoccupazione per un’economia che è in aperta sofferenza e l’assenza invece totale di preoccupazioni per un ritorno dell’inflazione, con l’aiuto che arriva anche da difficoltà della domanda interna. In queste condizioni è molto più probabile che anche per il 2025 la Banca Centrale Europea si mostri più reattiva rispetto a Fed, fosse anche soltanto per le differenze importanti in termini di condizioni economiche.

Surroga ora o più tardi?

Con ogni probabilità il 2025 sarà l’anno di un ritorno tanto veloce verso tassi più bassi tanto più sarà problematica la situazione dell’economia europea.

Difficile, se non impossibile, fermarsi qui. Lagarde ha confermato di essere ancora in territorio restrittivo. E almeno ad avviso di chi vi scrive, è impossibile pensare che si rimanga ancora a lungo in questo territorio, soprattutto con un’economia in grande sofferenza.

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Mercoledì i dati sull’inflazione USA: Fed con la bocca chiusa fino al FOMC del 18 dicembre

FOMC alle porte, mercoledì i dati sull’inflazione. Sarà una settimana dedicata alla politica monetaria degli Stati Uniti.

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FOMC analisi

Nessuno dei membri di Federal Reserve potrà parlare con la stampa: comincia infatti la settimana di microfoni chiusi prima del FOMC. Un FOMC che sarà condizionato, nella decisione tagli si / tagli no da un importante dato che arriverà mercoledì alle 14:30 ora italiana. È il dato sull’inflazione, che dovrebbe contribuire a far capire che tipo di direzione prenderà la politica monetaria negli Stati Uniti. Tutto questo in una settimana che si aprirà anche con i dati sull’inflazione cinese (che sta vivendo un problema opposto, ovvero quello di un’inflazione troppo bassa) e di dati interessanti dal Giappone.

Per i trader del Forex e anche quelli azionari potrebbero esserci numeri interessanti e una volatilità spiccata proprio in occasione dei dati. Per ora il consenso per l’inflazione classica è al 2,7%, leggermente in rialzo rispetto alla lettura di novembre per ottobre. E una Core ferma al 3,3%. Una situazione forse non ideale, ma che non dovrebbe avere un grosso impatto sulla decisione di Fed: altri 25 punti base di taglio farebbero comunque rimanere i tassi in territorio restrittivo, permettendo a Fed di non rimanere indietro rispetto al ciclo.

Occhi puntati sull’inflazione

Gli occhi sono puntati sull’inflazione, per quanto la questione prezzi sia passata in secondo piano almeno durante le ultime uscite di Jerome Powell. A preoccupare ora è la possibilità che ci si avvicini a una recessione. Il mercato del lavoro tuttavia sta tenendo, così come l’inflazione, non senza qualche difficoltà, sta cercando di tornare verso il target del 2%. Per ora si è fondamentalmente in linea con le previsioni più rosee da parte di analisti e anche delle proiezioni di Federal Reserve.

Jerome Powell ha affermato recentemente di trovarsi in una condizione che non gli impone di correre per il taglio dei tassi. Un riferimento però questo più al ritmo dei futuri tagli che invece alla decisione del 18 dicembre. I mercati si aspettano dei tagli, e a meno di clamorose sorprese da parte dell’inflazione, non dovrebbero esserci questioni. Da qui a mercoledì però i mercati cercheranno di anticipare un dato che ancora non conosce nessuno. È sempre consigliata la massima attenzione.

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Disoccupazione ok e parole di Austen Golsbee aiutano i mercati: NASDAQ +0,80%

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Lavoro bullish

Disoccupazione ancora sotto controllo negli USA, con un lieve aumento che fissa il dato relativo a novembre a 4,2%, in linea con le previsioni più pessimiste ma comunque non molto distante dal dato precedente, al 4,1%. Per quanto ci sia un peggioramento, siamo davanti ad una situazione tutto sommato tranquilla, che i mercati risk on hanno apprezzato, probabilmente giudicandola come la migliore delle possibilità effettivamente sul tavolo. Un soft landing è possibile, anzi più possibile per ogni dato che arriva e non lascia presagire disastri. Tutto questo mentre i mercati si godono anche un aumento, importante, delle possibilità di taglio per i tassi di dicembre, con la riunione del FOMC che procederà (così prezzano in mercati) con un taglio di 25 punti base.

Nel frattempo, a poca distanza dalla pubblicazione dei dati, è intervenuto anche Austan Goolsbee – Federal Reserve di Chicago – che ha espresso il desiderio di vedere Fed ai tassi di interesse neutrali entro la fine del prossimo anno. Non per imporre un ritmo ai tagli, ma piuttosto per raffigurare quale sarà la migliore delle soluzioni possibili: un mercato del lavoro che tiene, un’economia che non affronta periodi di grande difficoltà e un ritorno mansueto a tassi neutrali che però – secondo gli intendimenti di Fed, dovrebbero essere più alti del precedente ciclo.

Niente disastro sul lavoro: lattina ancora calciata in avanti

La preoccupazione principale dei mercati era quella di vedere un dato peggiore per quanto riguarda la disoccupazione e anche i non farm payrolls, dato che registra la creazione di nuovi posti di lavoro da parte dell’industria non agraria. Dati che invece sono stati positivi e che raccontano di un mercato del lavoro lentamente verso il cammino della normalità, non più surriscaldato (cosa di cui si è lamentato lo stesso Powell per mesi) e tutto sommato in salute.

Da qui al 18 dicembre – data in cui dovrà decidere il FOMC sui tassi – ci saranno altri dati importanti. Per ora però i mercati si godono un ritorno all’80% delle probabilità di taglio, almeno secondo quanto hanno prezzato i futures sui tassi. Una situazione ideale, che combacia anche con la storicamente ricorrente luna di miele post-elezioni.

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Donald Trump minaccia i BRICS: pronti dazi del 100% se attaccheranno il dollaro

Donald Trump torna su dazi e minaccia di nuovo i BRICS. Niente accesso agli USA se…

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Dazi Trump BRICS

Continuano le discussioni sui dazi negli Stati Uniti, dazi che dovranno arrivare – almeno secondo programmi – dopo il giuramento del futuro presidente Donald Trump, il prossimo 20 gennaio. Dazi che hanno già fatto discutere per quanto riguarda gli alleati storici degli Stati Uniti e che però potrebbero farsi molto più seri nei confronti dei BRICS, o meglio, dei paesi che amano maggiormente un consesso di paesi non allineati e del quale si parla con sempre maggiore insistenza. Secondo quanto affermato da Donald Trump direttamente sul social Truth, il governo USA potrà imporre dazi del 100% sui paesi BRICS che proveranno a attaccare il dollaro USA.

Secondo quanto è stato riportato da Yahoo Finance, il messaggio sarebbe stato indirizzato a tutti i principali membri dei BRICS, tra i quali figurano non solo la Russia, ma anche Brasile, India, Cina, Iran, Emirati, Egitto e Etiopia. Un consesso che presto potrebbe allargarsi e che potrebbe vedere anche l’ingresso di un alleato storico, ovvero la Repubblica di Turchia. Non è chiaro però a quali manovre per minare la supremazia del dollaro faccia riferimento Donald Trump.

Una questione emersa già in campagna elettorale

Una difesa del dollaro – costi quel che costi – era già venuta fuori durante la campagna elettorale che ha portato Donald Trump alla Casa Bianca. Questa volta però ha preso la forma di un avviso a mezzo social, che afferma che se BRICS cercherà di creare una valuta o di supportarne altre per rimpiazzare il dollaro, si vedranno negare l’accesso ai mercati USA, con dazi del 100%.

La questione è di massimo interesse politico, dato che recentemente anche Vladimir Putin si era espresso sul tema, dicendo che l’interesse nella ricerca di alternative era dettato principalmente dal controllo politico della valuta che è ad oggi ancora riserva mondiale e – soprattutto – anima principale del commercio su scala internazionale.

Trump si è dimostrato comunque in più occasioni piuttosto convinto della capacità del dollaro di preservare il suo primato. E, a quanto parrebbe dopo il post di oggi, sarebbe pronto a qualunque cosa (o quasi) affinché tale minaccia non prenda forma.

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Germania: 2 miliardi di euro per l’industria dei chip. Arriva il piano del governo

Arrivano i sussidi in Germania per l’industria dei chip. 2 miliardi sul tavolo.

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Chip sussidi germania

La via europea ai chip passerà per un vecchio pallino della politica industriale dell’unione: gli incentivi. Secondo quanto è stato riportato da Bloomberg News, al fine di colmare il gap tanto con gli USA quanto con l’Asia, la Germania starebbe preparando un piano di almeno 2 miliardi di dollari in sussidi per favorire l’industria dei semiconduttori nel paese. Per ora però dal Ministero delle Finanze tedesco non arrivano conferme, per un tema che lo scorso anno era diventato più che politico a causa di una querelle riguardante gli investimenti di Intel nella Repubblica Federale.

Se tanti brinderanno ad un piano relativamente ambizioso, altri certamente contesteranno una politica di incentivi che su altri settori ha fallito, in particolare quello legato al mondo EV e delle energie pulite, per un’Europa che ormai discute incessantemente di misure per far riprendere la crescita e l’innovazione nel mercato comune. Innovazione e crescita che sono diventate, nel corso degli ultimi anni, sempre di più un miraggio, soprattutto nei settori a più alto margine e valore aggiunto.

2 miliardi per colmare il gap

Non è chiaro se si tratterebbe per il momento di un primo tentativo di sussidio all’interno di un programma più ampio, oppure di una mossa una tantum. Per avere un metro di paragone, il governo degli Stati Uniti ha assegnato a TMSC la scorsa settimana 6,5 miliardi di dollari di sussidio, all’interno di un programma di inshoring delle industrie ritenute strategiche.

Nel complesso il solo sito in Arizona di TMSC ha comportato spese per 65 miliardi di dollari, ovvero di circa 30 volte i sussidi che la Germania sarebbe pronta a mettere in campo.

L’unica conferma che arriva dal Ministero delle Finanze tedesco è che si tratta, citiamo testualmente, di un investimento in singola cifra sulla parte bassa (calcolata in miliardi). Difficilmente si tratterà di cifre più elevate. Al centro delle proposte che saranno ricevute, ci sarà la sostenibilità della stessa industria, altro tema che si è fatto in queste settimane molto scottante ai massimi livelli della discussione politica europea.

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