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Banca del Messico: stabilità dei prezzi e disciplina fiscale

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Il recente crollo della Silicon Valley Bank negli Stati Uniti non ha avuto alcun impatto sul Messico. Secondo quanto riferito venerdì 18 marzo dalla governatrice di Banxico, la Banca del Messico, Victoria Rodríguez Ceja, il sistema bancario messicano è solido e l’esposizione delle banche in Messico dovuta all’intervento e alla mancanza di liquidità di alcune banche regionali negli Stati Uniti è praticamente inesistente.

Il sistema finanziario del Messico è ben capitalizzato e dispone di ampie riserve di liquidità, per cui l’attuale situazione non ha un impatto diretto sul sistema, ha aggiunto, promettendo comunque di rimanere vigili, ma sottolineando che attualmente non c’è alcun motivo per intervenire.

immagine di presentazione della notizia sul sistema bancario indiano che è solido e ben capitalizzato
Banca del Messico: la politica monetaria del Paese è basata sulla stabilità dei prezzi e sulla disciplina fiscale

Il sistema finanziario messicano è più solido e regolamentato che in passato

Durante l’86ª Convenzione Bancaria organizzata dall’Associazione delle Banche del Messico (ABM), tenutasi presso il Centro Congressi Internazionale della città meridionale di Mérida, il presidente Andrés Manuel López Obrador ha sottolineato che il Messico è uno dei Paesi più attraenti per gli investimenti stranieri grazie alle attuali condizioni economiche. Lo scorso anno, infatti, il Messico è cresciuto al ritmo del 3,1%, con un tasso di crescita più alto degli Stati Uniti e della Cina, ha aggiunto.

Il presidente ha, inoltre, elencato le forze economiche del Paese: tra i suoi punti, sono inclusi gli stipendi medi mensili storici (16.000 pesos al mese), la bassa percentuale di disoccupazione (2,9%), le pensioni di vecchiaia del 71% delle famiglie messicane, l’aumento delle rimesse fiscali e dei progetti infrastrutturali. Ha anche evidenziato che il suo governo non ha aumentato le tasse, i prezzi del carburante, del gas e dell’elettricità e che ciò è stato fatto al fine di proteggere l’economia popolare.

Grazie a queste misure, ha affermato, c’è stabilità politica. Inoltre, il lavoro sulla sicurezza continua a ridurre il tasso di criminalità, in particolare gli omicidi, i sequestri e le rapine, grazie all’attenzione alle cause della violenza, con particolare enfasi sui giovani. Infine Obrador ha sottoscritto l’impegno a mantenere gli standard operativi delle banche in Messico.

Nella stessa occasione, l’ABM ha affermato che il Paese ha un sistema finanziario stabile e non ha registrato alcuna fuoriuscita di risparmiatori, nonostante la crisi bancaria negli Stati Uniti a causa del fallimento della Silicon Valley Bank e della Signature Bank. Daniel Becker, presidente dell’organizzazione, ha affermato che non c’è rischio di contagio a causa della chiusura delle banche negli Stati Uniti e che il Messico vedrà questa crisi passare da lontano, come nel 2008 e nel 2009.

Dal canto suo, la governatrice di Banxico, ha ricordato che, a differenza della crisi del 1994 in Messico, quando il Paese aveva bassi livelli di capitalizzazione, senza requisiti di liquidità e con un tasso di cambio controllato, oggi il sistema finanziario è meglio regolamentato. Infatti, sono stati introdotti requisiti di liquidità per tutte le banche e di capitale più rigorosi e sono stati integrati panel internazionali come quello di Basilea Tre.

Rodriguez, ex vice-ministro delle Finanze, ha sottolineato che il Messico dispone di un solido quadro macrofinanziario, ancorato alla stabilità dei prezzi, insieme a una disciplina fiscale, un importante equilibrio delle partite esterne, un tasso di cambio flessibile e un sistema finanziario robusto con mercati profondi e liquidi.

andamento di grafico finanziario posto su immagini di differenti valute
La crisi bancaria negli Stati Uniti non avrà un impatto diretto sul sistema finanziario messicano

In un’intervista di Reuters a margine della Convenzione Bancaria, infine, la governatrice è stata interrogata sulla possibile diffusione del crollo delle banche americane Silicon Valley Bank e Signature Bank e della turbolenza del mercato che ha coinvolto il Credit Suisse Group AG. Le banche americane fallite, ha affermato, erano banche regionali e non hanno alcun impatto sistemico. La relazione tra queste e il sistema messicano è praticamente inesistente e al momento non c’è un contagio o banche che si trovano in una situazione simile in Messico, ha aggiunto.

Tuttavia, la governatrice ha dichiarato che, sebbene i mercati abbiano operato con buona liquidità e profondità, le autorità continueranno a valutare lo sviluppo degli eventi bancari negli Stati Uniti ed in Europa. In caso di nuove circostanze, saranno adottate misure per contenere l’impatto sui mercati e sul sistema finanziario, come è stato fatto in altre occasioni.

Interrogata sui dati sull’inflazione più recenti in Messico e su cosa potrebbero significare per i tassi di interesse, Rodriguez ha notato che i dati sull’inflazione di febbraio sono una buona notizia, sottolineando che i dati futuri dovranno essere considerati prima della prossima decisione di politica monetaria della banca. Secondo i dati dell’agenzia di statistica INEGI mostrati la scorsa settimana, infatti, l’aumento dei prezzi al consumo di base in Messico è rallentato più del previsto all’8,29% nell’anno fino a febbraio, fornendo un po’ di sollievo mentre la seconda economia dell’America Latina è alle prese con l’inflazione e i tassi di interesse elevati.

In un clima di crisi bancaria globale, come per il Messico anche il sistema bancario indiano continua ad essere stabile e resiliente.

Con un forte interesse per i fondamentali delle società e le notizie interne, è una persona curiosa e versatile che cerca di approfondire le sue conoscenze e rimanere sempre aggiornata leggendo report trimestrali.

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Investimenti

Parla Jerome Powell: a rischio tagli da 25 punti base a dicembre? Mercati risk on giù!

Parla Jerome Powell e gela chi attende tagli certi e spediti: mancano segnali da economia.

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FED TAGLI PARLA POWELL

Jerome Powell conferma quello che è il sentiment che ha iniziato a serpeggiare sui principali mercati già da oggi. Non vi è alcuna fretta, dice il Presidente di Federal Reserve, di mettere mano ai tagli. Una situazione complessivamente articolata, quella che si sta verificando negli USA, che si basa però su un caposaldo importante: l’economia sta andando bene e le pressioni sono tornate sulla necessità di tagliare l’inflazione piuttosto che sullo stimolo all’economia.

I mercati ancora aperti, come quello di Bitcoin, hanno reagito con una contrazione importante, testimoniando così la dipendenza almeno sul medio e lungo periodo del ritorno su livelli di tassi non restrittivi. Per la reazione delle borse principali, al netto di quanto sta avvenendo sull’after hours, si dovrà comunque aspettare domani. Di tempo affinché i mercati digeriscano quanto in realtà avevano iniziato a digerire già da oggi ce n’è.

Un Jerome Powell titubante: tagli potranno aspettare

Non è chiaro se si sia riferito già all’appuntamento del 18 dicembre, ultimo dell’anno, durante il quale i mercati si attendono comunque in maggioranza che ci siano dei tagli da 25 punti base. Ad ogni modo Jerome Powell è stato relativamente chiaro: l’economia non sta mandando segnali che spingano Federal Reserve ad affrettarsi nel taglio ai tassi.

Un gioco di equilibri all’interno di una singola frase che però lascia aperta la porta comunque a tagli a gennaio per poi rivalutare la situazione già a gennaio 2025. Jerome Powell continua inoltre a indicare nei dati l’unica bussola che Fed seguirà per le prossime decisioni. Dichiarazioni che non indicano in realtà nulla di nuovo, ma che sono bastate a gettare nello sconforto almeno parte degli asset risk on. La sentenza definitiva arriverà domani, alla riapertura di mercati tradizionali, che decreteranno se ci sarà ulteriore spazio per la corsa oppure se sarà il caso riconsiderare la corsa incredibile che ha comunque occupato tutto il 2024.

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News Economia

Inflazione secondo aspettative negli USA: +2,6% per CPI, +3,3% per CORE. Ora tagli in dubbio?

Arrivano i dati dell’inflazione USA, perfettamente allineati con le previsioni. Bitcoin spinge verso il record.

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INFLA USA COSA

Tutto secondo previsioni, o forse no. L’inflazione negli USA fa registrare una Core ferma al 3,3%, e un’inflazione classica al 2,6%, vicina a quella delle previsioni che si erano però rapidamente innalzate nel corso delle ultime ore. Siamo dunque in linea con quanto i mercati si aspettavano, per quanto questi dovranno emettere la loro sentenza definitiva durante la riapertura dei mercati alle 15:30 ora italiana. Difficile interpretare per ora, alla luce del rimbalzo per l’inflazione classica, quali saranno gli intendimenti di Federal Reserve per l’incontro del FOMC di dicembre, che è ancora in bilico per quanto riguarda la possibilità di tagliare o non tagliare i tassi di ulteriori 25 punti base.

Una situazione che comunque non è di particolare angoscia per i mercati, che non prenderebbero forse troppo male la possibilità di rallentare il percorso di ritorno verso i tassi neutrali (che però nessuno conosce), cosa che potrebbe essere interpretata anche come maggiore fiducia verso il soft landing, l’atterraggio morbido per l’economia USA che potrebbe a questo punto evitare la recessione.

Intanto i mercati già aperti…

Per ora atteggiamento pimpante anche sul mercato di riferimento quando le borse USA sono chiuse, ovvero quello di Bitcoin. Spike verso l’alto poi ampiamente corretto e poi ripartito, segno che di incertezza ce n’è ancora tanta e che servirà a conferma la guida da parte delle borse USA per capire quale direzione prendere.

Dati che dunque non cambiano granché a livello macro – con i prossimi sul mercato del lavoro che potrebbero essere i più importanti per quanto riguarda la prossima decisione di Federal Reserve. Decisione che comunque non sarà granché decisiva in termini di ritorno verso tassi espansivi. Come ha già ricordato infatti Jerome Powell, siamo ancora ampiamente in territorio restrittivo e con ogni probabilità dovremo rimanerci ancora a lungo, almeno fino a quando non si sarà convinti al 100% della traiettoria dell’inflazione verso il 2%.

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Investimenti

Parla Neel Kashkari di Fed Minneapolis: se inflazione sopra +2,4% no tagli ai tassi

Si riapre lo scenario del “no tagli” a dicembre. Parla Neel Kashkari di Federal Reserve Minneapolis.

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KASHKARI TAGLI

Parla Neel Kashkari di Federal Reserve Minneapolis – tra i falchi designati di questo ciclo – che mette le mani avanti sulle prossime decisioni di Federal Reserve per quanto riguarda i tassi di interesse, che saranno dettate anche dal dato sull’inflazione in arrivo il 13 novembre. Un dato sull’inflazione che ci si aspetta relativamente alto e in controtendenza rispetto al calo degli scorsi mesi.

Un dato alto che potrebbe, dice Kashkari, mettere in dubbio il taglio previsto per dicembre, ovvero il secondo dei tagli che sarebbero dovuti arrivare a conclusione del 2024. Poco male, per quanto i mercati preferirebbero certamente avere un altro taglio e dunque un ritorno a maggiore liquidità il prima possibile.

Tra il dire e il fare, lo spauracchio dell’inflazione…

Il problema torna a essere quello di qualche mese fa. L’inflazione potrebbe tornare a fare capolino. Tenendo conto di un mercato del lavoro che è però ancora forte, potrebbe essere proprio l’aumento dei prezzi per i consumatori a tornare preponderante e dunque a indirizzare le prossime decisioni di Fed. Questo almeno nella lettura di Neel Kashkari, che ha un atteggiamento mediamente hawkish e che i mercati non sembrerebbero condividere appieno.

Servirebbe un dato importante – nel senso di un dato più alto delle previsioni – che sono fissate intorno al 3,3% in termini di consenso per la Core e al 2,4% invece per l’inflazione classica. Per ora Fed Watchtool indica come probabilità dei tagli di 25 punti base a dicembre il 62%. Qualcosa che potrebbe cambiare comunque secondo il dato di domani, come ha appunto indicato Kashkari, che sarà anche hawkish, ma che nel caso di inflazione più alta del previsto potrebbe finire per avere ragione. Una ragione che potrebbe avere un impatto negativo su borse che stanno vivendo un grande 2024. E che aprirebbe però di nuovo ad una lettura ancor più interessante: se si può rallentare sui tagli, vuol dire che Fed ha enorme fiducia sulla possibilità di un soft landing, fiducia dettata dallo stato complessivo dell’economia USA.

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Investimenti

Federal Reserve taglia di 25 punti base. Occhi puntati sul discorso di Jerome Powell

Federal Reserve taglia i tassi di 25 punti base. Ora parla Powell che darà una direzione ai mercati.

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Fed tagli tassi

Il FOMC delibera quanto era più che scontato. Taglio di 25 punti base ai tassi di interesse negli USA, seguendo quanto Powell aveva già indicato nella precedente riunione. Dovrebbe essere, a meno di clamorosi rimbalzi da parte dell’inflazione, il penultimo dei tagli di questo 2024. Cosa che però dovrà essere confermata anche dalla conferenza stampa di rito di Jerome Powell che si terrà alle 20.30 ora italiana. Una conferenza stampa che arriva al termine di una settimana che è stata dominata dalla questione elettorale.

La vittoria di Donald Trump non impatterà in alcun modo sulle prossime decisioni di una banca centrale, Federal Reserve, che rimane la più indipendente dal potere politico al mondo. Cii sarà però da fare qualche considerazione di medio e lungo periodo, in particolare in corrispondenza con politiche fiscali che si preannunciano come fortemente espansive, politiche fiscali che dovranno con ogni probabilità portare ad una sorta di contenimento delle politiche monetarie gestite da Federal Reserve.

Tutto secondo programma

Tutto secondo programma da Federal Reserve, con il FOMC che chiude la riunione comunicando tagli da 25 punti base. Tagli che erano stati in realtà anticipati da Jerome Powell e che sono giustificati sia da un rallentamento dell’inflazione, sia al tempo stesso da un rallentamento del mercato del lavoro. Per ora le condizioni per un soft landing sembrerebbero confermate: trimestrali e PIL confermano un’economia USA ancora in salute.

L’ultima parola però dovranno darla i mercati, per ora relativamente fiduciosi di quanto sta facendo Powell – tenendo però sempre conto del fatto che non tutto sarà nelle mani di Federal Reserve. Ora occhi puntati sulla conferenza stampa di Jerome Powell: il Presidente di Federal Reserve non è uomo di grandi proclami – e gli analisti si produrranno in esegesi di gesti, sguardi e parole per cercare di capire quale sarà la prossima direzione di Federal Reserve in termini di tassi.

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Investimenti

I mercati anticipano le elezioni: 3 asset che prevedono il prossimo presidente degli Stati Uniti

Andamento dei mercati utile per anticipare l’esito delle elezioni? Ecco tre asset che ci provano.

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AZIONI FORECAST ELEZIONI

Per quanto si potrebbe brancolare nel buio per i prossimi giorni – e più avanti vedremo perché – i mercati cominciano a posizionarsi in relazione al possibile esito delle elezioni USA. Molti titoli sono una sorta di scommessa binaria sulle elezioni e sono anche quelli che stanno muovendosi maggiormente in queste ore ancora a urne aperte negli USA.

Una concomitanza di votazioni a borse aperte – tra le altre cose con i primi early vote che vengono conteggiati già – che agli europei e in particolare agli italiani sembrerà relativamente strana. Sia perché in genere le elezioni si tengono nei festivi, con la possibilità di una coda il lunedì, sia perché difficilmente le elezioni hanno un impatto così radicale sull’andamento delle borse, almeno dalle nostre parti. C’è l’andamento di almeno tre titoli e comparti che è interessante analizzare in queste prime ore.

I mercati aprono a Donald Trump? Tre sì che arrivano dai mercati

C’è da fare una premessa prima di guardare alle performance degli asset che starebbero confermando una sorta di pregiudizio pro-Trump. Con ogni probabilità in diversi si stanno posizionando con l’arrivo dei primi early vote conteggiati, non tenendo conto del fatto che anche nelle precedenti elezioni questi finirono per favorire Trump, salvo poi essere smentiti. In Florida il candidato repubblicano sembrerebbe essere sufficientemente tranquillo, ma è anche vero che mai era stata messa in discussione la possibilità che la Florida diventasse blu.

  • DJT

È il titolo a mo’ di opzione sull’elezione di Donald Trump. Dopo un andamento in larga parte ondivago nel corso dell’ultima settimana di ottobre, il titolo ha ripreso a crescere. Oggi fa registrare un solido +14%, che sembrerebbe essere un messaggio dei mercati su quanto si aspettano che arrivi dalle elezioni. Scommessa però assai rischiosa, almeno in questo preciso momento, quando di dati concreti se ne hanno ancora molto pochi e forse troppo pochi.

  • Bitcoin

È tornato sopra i 70.000$, con una corsa importante che ha occupato quasi tutta la sessione di scambi negli USA. Anche Bitcoin è ritenuto una sorta di Trump trade, ovvero un asset che avrebbe giovamento dall’eventuale vittoria repubblicana. Anche qui però è consigliata la massima attenzione. Siamo sia in un campo invero assai volatile, sia ancora nella speculazione più assoluta e totale.

  • SPX500

Pimpante, molto. Un vecchio adagio di Wall Street dice che SPX500 difficilmente si interessa delle elezioni, ed è forse la cosa più saggia da portare a casa nel contesto attuale. Prima di attribuire il potere di vaticinio ai movimenti di mercato oggi, sarà il caso di vedere almeno i primi voti importanti che… arriveranno.

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