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Elon Musk commenta sulla “de-dollarizzazione” dell’economia
Da diversi mesi ormai si continua a parlare di “de-dollarizzazione” dell’economia internazionale, un trend sempre più forte visto l’interesse di grandi potenze come Cina e Russia. Mentre la conversazione prende piede nei salotti internazionali della finanza, persino Elon Musk è arrivato a commentare sul tema. Ha espresso la sua opinione su Twitter, il social di proprietà dello stesso Musk. Non solo questo aggiunge un’opinione interessante sul tema della de-dollarizzazione, ma fa intendere quanto questa stia diventando importante e popolare come argomento di conversazione.
Bisogna comunque notare che il dollaro americano, dal 1945 in avanti, è la valuta de facto del commercio internazionale. Gli USA continuano a rimanere la più grande economia al mondo e non è facile trovare una valuta che possa sostituire il dollaro mantenendo la stessa credibilità. Detto questo, sembra che anche Elon Musk sia parzialmente d’accordo con l’opinione di chi ritiene che il governo americano si sia mosso in modo tale da causare la volontà di altre nazioni di abbandonare il dollaro.
Un argomento sempre più sentito
Sarebbe sbagliato parlare di de-dollarizzazione come di un fenomeno di nicchia. Si tratta di un argomento sempre più sentito a livello internazionale, soprattutto dopo l’invasione dell’Ucraina. Quest’ultima ha portato la Russia a non poter più facilmente accettare pagamenti in dollari americani, per cui le compagnie petrolifere locali hanno iniziato a farsi pagare in yuan dai clienti internazionali. La Cina ha colto la palla al balzo, cominciando a estendere la gamma di prodotti su cui desidera che le esportazioni vengano pagate con valuta nazionale. Pare che persino la Francia stia accettando queste condizioni: a marzo ha comprato una fornitura di gas arabo dalla Cina, pagando la fornitura in yuan.
Un’altra nazione che si sta muovendo verso la de-dollarizzazione è l’India, che ha deciso di chiedere rupie anziché dollari per molte delle sue transazioni internazionali. Nel frattempo, però, la banca sovranazionale dei BRICS continua a finanziarsi in dollari sui mercati finanziari. Questa potrebbe essere una fase transitoria, finché non sarà chiaro se davvero le nazioni BRICS arriveranno a emettere una propria moneta unica. Un progetto ancora in alto mare, ma che sta guadagnando popolarità visti i continui tentativi di disintermediare il commercio internazionale dal ruolo del dollaro. Chiaramente le nazioni vicine al blocco economico asiatico devono adattarsi, con il Bangladesh che di recente ha accettato di pagare la Russia in yuan per una centrale elettrica in costruzione sul suo territorio.
De-dollarization is real and is happening fast.
— Wall Street Silver (@WallStreetSilv) April 24, 2023
Dollar share when from 73% (2001) to 55% in (2020).
Went from 55% to 47% since sanction launched on Russia, now de-dollarizing at 10x faster than the previous two decades. #gold #silver
🔊 https://t.co/wDeXDLPaxg
Il commento di Elon Musk
Elon Musk ha essenzialmente espresso la sua opinione condividendo quella di un tweet di un altro account, Wall Street Silver, che riportava alcuni dati sulla de-dollarizzazione dell’economia. Questi dati riportano che nel 2001 il dollaro americano costituiva il 73% delle riserve Forex del mondo, contro il 55% del 2020. Dati che non tengono conto, tuttavia, del grande ruolo acquisito dall’euro come alternativa al dollaro nella gestione delle riserve. Proprio l’euro è andato a occupare la gran parte di questo gap tra oggi e l’inizio del millennio.
Detto ciò, Musk coglie l’occasione per commentare che il trend è totalmente normale visto il comportamento del governo americano. Stando alle vedute dell’imprenditore, il dollaro è stato utilizzato come arma geopolitica per allineare altre nazioni con gli interessi degli Stati Uniti. Tra sanzioni e limiti all’uso del dollaro americano, una serie di paesi non allineati con gli USA hanno deciso di puntare sullo yuan cinese con l’obiettivo di acquisire indipendenza nei propri affari internazionali. Un’opinione che trova riscontro, ad esempio, nel fatto che la Russia abbia adottato lo yuan per molte transazioni dopo l’introduzione delle sanzioni legate all’invasione dell’Ucraina.
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Escalation tra Kiev e Mosca: in campo missili USA. Mercati rispondono premiando oro (+0,66%), Yen e Franco Svizzero.
I mercati reagiscono alle notizie che arrivano da Mosca: c’è davvero rischio di conflitto nucleare?
Non solo bond. Anche le valute storicamente ritenute porti sicuri guadagnano in modo importante dopo che il rischio escalation in Russia ha raggiunto le vette forse più alte dall’inizio del conflitto. Quando in Italia era il primo pomeriggio, è stato infatti comunicato il primo attacco con armi USA sul territorio russo, cosa che ha contribuito almeno in prima battuta ad una reazione relativamente convulsa da parte dei mercati. Pericolo per ora rientrato – almeno a leggere gli intendimenti delle borse USA – che più che preoccupate per un’eventuale conflitto sono in attesa delle trimestrali NVIDIA che segnaleranno principalmente l’andamento del settore più importante di tutti in questa fase, ovvero quello AI.
A contribuire alle preoccupazioni che hanno dato una mano anche quotazioni dell’oro anche l’aggiornamento di quella che viene chiamata, non senza un certo gusto per il sensazionalismo, la dottrina nucleare di Mosca. L’ultima fase della presidenza Biden chiuderà con ogni probabilità con tensioni al massimo, che hanno già avuto un impatto sul mercato e che potrebbero continuare ad averlo nel corso delle prossime settimane.
Bene oro, yen, franco svizzero
Mentre giornalisti e analisti tiravano le somme della potenziale escalation dalle parti di Mosca, i mercati cercavano di computare i potenziali effetti di quello che è stato il primo attacco di Kiev sul territorio russo utilizzando missili a lunga gittata Made in USA. Il permesso per l’utilizzo di certe armi era arrivato soltanto pochi giorni fa, con una mossa a sorpresa da parte del governo Biden che aveva scatenato anche polemiche politiche.
La presidenza Biden si avvia infatti al tramonto e il 20 gennaio Donald Trump giurerà come nuovo presidente. Da lì in avanti, almeno stando a quanto è stato espresso in campagna elettorale, si tenterà un’opera di ricucitura degli strappi con Mosca e Putin che per il momento però sembrerebbe essere più lontana che mai. Su questa possibile ricucitura però i mercati sembrerebbero fare affidamento, per quanto qualcuno cerchi di posizionarsi al sicuro su oro. Lo yen ha toccato anche i 153 contro il dollaro, salvo poi perdere qualcosa in riapertura delle borse USA. Una situazione che dovrà essere monitorata per valutare i potenziali effetti anche sui mercati risk on.
Investimenti
Fondo Monetario avvisa il Giappone: “Controllare il debito e stabilizzare inflazione al 2%”
Arriva il perentorio avviso del Fondo Monetario Internazionale riguardo la politica fiscale giapponese.
Krishna Srinivasan – che è a capo del Dipartimento Asia e Pacifico del Fondo Monetario Internazionale, è intervenuto sulla situazione debitoria del Giappone, invitando il paese del Sol Levante a iniziare a discutere di taglio dell’enorme mole di debito pubblico che attanaglia l’economia ormai da più di due decenni. Un intervento che arriva a poco dal fallimento politico del governo in carica, fallimento che è stato confermato dai risultati delle ultime elezioni nel paese. Elezioni dalle quali sono usciti equilibri che almeno per il momento sembrerebbero lasciare poco spazio a decisioni nette in campo fiscale e monetario.
Il canovaccio potrebbe essere quello di sempre: a fronte di maggioranze barcollanti potrebbe aumentare la spesa pubblica, favorendo politiche fiscali lassiste che – in una situazione come quella del Giappone – potrebbe facilmente dare spazio a ulteriori espansioni del debito pubblico. Una potenziale situazione che Srinivasan, a nome del Fondo Monetario Internazionale, vorrebbe certamente scongiurare.
Serve un piano credibile di medio termine
Il piano del Fondo Monetario Internazionale è chiaro: è stato richiesto al Giappone, tra le altre cose pubblicamente, un piano di medio termine che sia credibile in termini fiscali. In aggiunta, il FMI chiede la creazione di buffer che salvaguardino l’andamento dell’economia giapponese da un’eventuale crisi debitoria, tanto di breve quando di medio e lungo periodo.
Per quanto riguarda la politica monetaria, il FMI si aspetta che Bank of Japan favorisca il ritorno stabile ad un’inflazione intorno al 2%, che dovrebbe prevedere decisioni di breve periodo dettate dai dati e dalle effettive possibilità che le grandezze macro offriranno alla banca centrale. E, prima della chiusura, arriva la sconfessione di quanto BoJ racconta in termini di situazione dello yen: se da Tokyo continuano a puntare il dito verso non meglio precisati speculatori, il FMI ribadisce che anche la grande volatilità delle ultime settimane è in realtà frutto di questioni macro piuttosto credibili.
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Sullo yen domina ancora l’incertezza e registra un misero +0,28%. Riflettori puntati sulla BOJ e la Fed
Le quotazioni dello yen sono dominate dall’incertezza. I riflettori, ora come ora, sono puntati sulla BOJ e sulla Fed.
A pesare sulle quotazioni dello yen continuano ad essere i risultati delle elezioni in Giappone, dove la coalizione di governo ha perso la maggioranza parlamentare. Un cambio di passo politico che ha aumentato una serie di incertezze sulle prospettive politiche e monetarie del Paese.
Il dollaro, invece, si è rafforzato e ha raggiunto il suo recente massimo in vista della pubblicazione di una serie di dati importanti nel corso della settimana, che potrebbero condizionare la politica della Federal Reserve.
Lo yen registra un misero +0,28%
Lo yen ha registrato un +0,28% scambiato a 152,86 dollari, dopo che nella giornata di ieri (28 ottobre 2024) è crollato ad un minimo di 153,885, il livello più debole da luglio: le incertezze sulla composizione del futuro governo in Giappone pesano sui mercati valutari.
Katsunobu Kato, Ministro delle Finanze giapponese, ha spiegato che le autorità continueranno ad essere attente alle oscillazioni dei tassi di cambio.
Sono in molti ad attendersi un periodo contraddistinto da delle lotte per garantire una coalizione, dopo che il Partito Liberal Democratico e il suo partner Komeito sono riusciti a conquistare solo 215 seggi alla Camera Bassa: per ottenere la maggioranza ne erano indispensabili almeno 233.
Carol Kong, stratega valutario presso la Commonwealth Bank of Australia, ha spiegato che nel complesso i rischi sembrano essere orientati verso una politica fiscale più accomodante rispetto a quella adottata dal governo uscente. Carol Kong ritiene che insieme ai solidi dati economici degli Stati Uniti e alle maggiori prospettive di una vittoria di Trump, l’incertezza politica in Giappone potrebbe spingere al rialzo il cambio dollaro/yen nelle prossime settimane.
Ma non solo. Carol Kong aggiunge che l’elevata volatilità dei mercati finanziari potrebbe anche incoraggiare la Banca del Giappone (BOJ) a mantenere invariato il tasso di interesse di riferimento per un periodo più lungo di quanto attualmente previsto.
Lo yen si è avvicinato al minimo degli ultimi tre mesi e si è attestato a 165,24 contro l’euro e 198,12 contro la sterlina.
La BOJ, nel corso della giornata di giovedì, annuncerà la sua decisione di politica monetaria e sono in molti ad aspettarsi che la banca centrale decida di mantenere i tassi invariati.
Il dollaro continua a rimanere forte
Il dollaro si è stabilizzato e ha oscillato in un intervallo ristretto. Gli investitori sono stati titubanti nell’assumere nuove posizioni prima della pubblicazione dei dati; l’indice del dollaro è rimasto pressoché invariato a 104,29.
L’euro è rimasto invariato a 1,0811 dollari, mentre la sterlina è scesa dello 0,07% a 1,2963 dollari.
Una serie di dati economici che sottolineano la resilienza dell’economia statunitense hanno rafforzato il dollaro statunitense nel corso dell’ultimo mese, così come sono aumentate le scommesse di mercato su una vittoria del candidato repubblicano Donald Trump alle elezioni presidenziali statunitensi della prossima settimana.
Le politiche di Trump in materia di tariffe, tasse e immigrazione sono considerate inflazionistiche, quindi negative per i titoli di Stato e positive per il dollaro.
L’attenzione è rivolta anche alla lettura dell’indice dei prezzi alla produzione di beni di consumo personali di settembre negli Stati Uniti (la misura preferita della Fed per l’inflazione) che uscirà giovedì, seguito dall’attento rapporto sulle buste paga non agricole di venerdì.
Ray Attrill, responsabile della strategia FX presso la National Australia Bank, spiega che i dati sull’occupazione di venerdì – se il PCE sarà pari allo 0,2% o allo 0,3% – saranno piuttosto importanti. Anche se le elezioni sono probabilmente il fattore più importante per la prossima settimana e potrebbero portare ad un aggiustamento dei prezzi.
Per quanto riguarda le altre valute, il dollaro neozelandese è sceso dello 0,13% a 0,5973 dollari, mentre il dollaro australiano è scivolato al suo livello più debole in oltre due mesi a 0,65602 dollari.
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Lo yen crolla condizionato dalle elezioni in Giappone. Si teme un governo debole
A condizionare in maniera negativa lo yen sono le elezioni in Giappone, che potrebbero determinare una certa instabilità politica.
Lo yen giapponese, in mattinata, è sceso al minimo degli ultimi tre mesi: gli investitori ritengono che la perdita della maggioranza parlamentare da parte della coalizione di governo in Giappone potrebbe rallentare l’aumento dei tassi d’interesse. Il dollaro, invece, si è proiettato verso un guadagno mensile beneficiando dell’aumento dei rendimenti dei Titoli del Tesoro statunitensi.
Nel corso della sessione asiatica lo yen si è indebolito, raggiungendo quota 153,88 dollari e 166,06 euro, che corrispondono al valore più basso registrato su entrambi i fronti dalla fine del mese di luglio. In valori percentuali, l’ultimo calo dello yen è stato pari allo 0,7% rispetto al dollaro – da ottobre è stata registrata una discesa del 6,4% – il più grande di tutte le valute del G10. Gli investitori e gli analisti temono che possa aprirsi, in Giappone, un periodo contrassegnato da lotte politiche il cui obiettivo sarebbe quello di garantire una coalizione dopo che il Partito Liberal Democratico e il suo alleato Komeito hanno vinto 215 seggi alla Camera bassa, rimanendo al di sotto della maggioranza prevista (233 seggi).
Yen e i timori sul futuro della politica monetaria
A condizionare il futuro dello yen è la stabilità politica del Giappone. Gli operatori di mercato ritengono che le elezioni potrebbero portare alla formazione di un governo privo della forza politica necessaria per gestire l’aumento dei tassi d’interesse. Ma soprattutto potrebbero inaugurare un’era di leadership a porte girevoli.
Fumio Kishida è rimasto in carica poco meno di tre anni. Il suo successore Shigeru Ishiba è il quarto primo ministro del Giappone in poco più di quattro anni: come se questo non bastasse, si prevede un’ulteriore instabilità politica che potrebbe portare la Banca Centrale giapponese a muoversi con cautela (si deve riunire questa settimana per stabilire i tassi).
Bart Wakabayashi, direttore della filiale di Tokyo di State Street, spiega che un’altro fattore da considerare. quando si guarda all’economia. è se nel corso dei prossimi ci possano essere una nuova serie di primi ministri: situazione che non farebbe bene allo yen.
Gli analisti della BNY hanno affermato che il prossimo obiettivo immediato per il cambio dollaro/yen sarà 155, con 160 come probabile limite che richiederebbe l’intervento del ministero delle finanze.
Come si sta muovendo il dollaro
Dando uno sguardo a quanto sta avvenendo negli Stati Uniti, il dollaro brilla ed è sulla buona strada per registrare il più importante aumento mensile degli ultimi due anni e mezzo. Questo è, indubbiamente, un segnale di forza dell’economia statunitense. Le scommesse sulla vittoria di Donald Trump alla presidenza hanno sollevato i rendimenti statunitensi in previsione di politiche che potrebbero ritardare i tagli dei tassi di interesse.
A 1,0790 dollari, l’euro è rimasto stabile ma è sceso di oltre il 3% nell’arco dell’ultimo mese. La sterlina viene scambiata a 1,2952 dollari e ha registrato un calo del 3,1% fino a ottobre.
I rendimenti dei titoli del Tesoro decennali sono aumentati di 40 punti base a ottobre, rispetto a un aumento di 16 punti base per i bund decennali e di 23 punti base per i gilt.
Un’ulteriore frenata dovuta alla delusione per i piani di stimolo della Cina ha messo sotto pressione il dollaro australiano e quello neozelandese, che sono scesi ai minimi degli ultimi 2 mesi e mezzo lunedì. Le vendite hanno portato il kiwi a 0,5958 dollari e una perdita del 6% per ottobre, mentre l’Aussie è sceso a 0,6579 dollari e ha perso il 4,6% a ottobre.
L‘indice del dollaro USA è salito del 3,6% a 104,46 nel mese di ottobre, registrando il rialzo mensile più netto da aprile 2022.
La settimana che ci attende sarà densa di dati: dati sull’inflazione in Europa e Australia, dati sul prodotto interno lordo negli Stati Uniti e indici dei responsabili degli acquisti in Cina.
I dati del fine settimana hanno mostrato che gli utili industriali in Cina sono crollati a settembre, con un calo annuo del 27,1%. Lo yuan ha toccato il minimo da fine agosto, attestandosi a 7,1355 per dollaro.
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Euro e yen recuperano terreno rispetto al dollaro. La moneta unica registra un +0,2% sul biglietto verde
L’euro e lo yen riescono a recuperare terreno nei confronti del dollaro. Scopriamo come si stanno muovendo le principali valute a livello globale.
Riflettori puntati sullo yen giapponese e sull’euro, che sono saliti dai recenti minimi. Il dollaro, invece, ha registrato una vera e propria battuta d’arresto dopo una crescita inarrestabili, che lo ha portato a sfiorare il massimo da tre mesi a questa parte. Il biglietto verde, inoltre, è sostenuto dalle aspettative di un ritmo più lento nei tagli dei tassi d’interesse da parte della Fed.
L’euro si è quindi rafforzato registrando un +0,2% scambiato a 1,080075 dollari, dopo aver sfiorato il minimo da quattro mesi a questa parte fissato a 1.07612 dollari. A settembre l’attività commerciale della zona euro si è nuovamente bloccata. La contrazione in Germania, però, è stata meno ripida rispetto a quella registrata ad agosto.
Ma entriamo nel dettaglio e cerchiamo di capire cosa sta accadendo.
Come si sta muovendo la Zona Euro
Kenneth Broux, responsabile della ricerca aziendale FX e tassi presso Societe Generale, ritiene che stiamo assistendo a un leggero rimbalzo. Questo, ad ogni modo, non impedisce al mercato di prezzare ulteriori tagli da parte della Bce.
Il mercato sembra credere alla possibilità di ulteriori e più consistenti tagli dei tassi da parte della Banca Centrale Europea, che potrebbero avere delle ripercussioni negative sull’euro già da questo mese. A pesare sull’andamento della moneta unica sono le affermazioni di alcuni membri del board della Bce che hanno messo in guardia sul rischio di non raggiungere l’obiettivo di inflazione del 2% fissato dalla Bce. Siamo davanti ad un netto cambiamento di tono dopo una campagna durata due anni per frenare la crescita dei prezzi.
Christine Lagarde, presidente della Bce, si è dimostrata cauta, affermando che i vari responsabili politici devono prestare attenzione nel momento in cui rilasciano delle affermazioni pubbliche. Il collega Mario Centeno ha suggerito che i tassi potrebbero essere tagliati di 50 punti base nella prossima riunione della banca centrale del 12 dicembre.
Soffermandosi sulle prospettive dell’euro, Broux ha spiegato che il rischio è di ribasso in vista delle elezioni statunitensi, poiché saranno in molti a posizionarsi a favore della reflazione di Trump, il che significa rendimenti statunitensi più elevati rispetto a quelli tedeschi.
L’indice del dollaro, che misura il biglietto verde rispetto ad altre sei valute, tra cui euro e yen, si è attestato a 104,20, non lontano dal massimo notturno di 104,57, un livello registrato l’ultima volta il 30 luglio.
Secondo FedWatch del CME Group, una serie di solidi dati economici e alcuni commenti aggressivi da parte dei funzionari della Fed hanno moderato le speranze di un allentamento monetario negli Stati Uniti nei prossimi mesi.
Le aspettative sono per un totale di 50 punti base di riduzione dei tassi nelle restanti due riunioni della Fed del 2024 si attestano intorno al 70%. I trader stanno puntando il 95% di possibilità su un taglio dei tassi di un quarto di punto alla prossima riunione di novembre della Federal Reserve e non scommettono su una riduzione più ampia di 50 punti base. Questo rispetto a una divisione del 60%-40% che pendeva a favore di un taglio più ampio un mese fa.
Lo yen riesce a trovare un po’ di tregua
Lo yen ha avuto un po’ di tregua, dopo essere crollato ai minimi di fine luglio, mentre il ministro delle finanze giapponese ha affermato che i funzionari stanno osservando i movimenti del tasso di cambio con maggiore vigilanza, invocando il rischio di un intervento. L’ultima volta che la valuta giapponese è stata scambiata è stato a 151,925 per dollaro.
Secondo recenti sondaggi , il governo di coalizione giapponese, guidato dal nuovo Primo Ministro Shigeru Ishiba, rischia di perdere la maggioranza del parlamento alle elezioni di domenica; inoltre, qualsiasi aumento dell’incertezza politica complicherebbe ulteriormente i piani della Banca del Giappone per la normalizzazione della politica monetaria.
Kazuo Ueda, governatore della BOJ, ha detto durante la notte che ci vuole ancora tempo per raggiungere in modo sostenibile l’obiettivo di inflazione del 2% della banca centrale, e ha segnalato che gli aumenti dei tassi saranno fatti con cautela e gradualmente.
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