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Il Bangladesh pagherà debiti con la Russia in yuan cinesi

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Continua la “separazione finanziaria” tra la parte Occidentale e Orientale del mondo. Questa volta, la nazione protagonista delle novità è il Bangladesh. Il governo di Dhaka ha commissionato da tempo la costruzione di una centrale elettrica a Rooppur, opera che verrà realizzata da società specializzate chiamate dalla Russia. In totale il debito dovuto al progetto è di 110 milioni di dollari, ma la vera notizia è che le due nazioni hanno deciso di non usare il dollaro americano come strumento per saldare questa transazione.

Mosca ha deciso di accettare il pagamento in yuan, la valuta nazionale cinese che da tempo sta cercando di guadagnare trazione come valuta-riserva alternativa al dollaro. La Russia, sempre più isolata a livello economico per via delle restrizioni introdotte dopo l’invasione dell’Ucraina, sta sposando l’agenda di Pechino. Da una parte questo rinsalda l’amicizia e i rapporti commerciali tra le due nazioni, dall’altro permette alla Russia di dipendere meno dal dollaro e alla Cina di estendere la propria influenza monetaria.

presentazione della notizia secondo cui il Bangladesh pagherà in yuan i debiti con la Russia legati alla centrale di Rooppur
Per le due economie aumentano gli sforzi per diminuire la dipendenza dal dollaro americano

Un’esigenza oltre che una scelta

Non è esattamente chiaro se il governo russo sia felice di concedere questo aumento dell’influenza alla Cina o se si tratti di una scelta fatta con chiari intenti politici. Stando a Uttam Kumar Karmaker, segretario del Ministero delle Finanze del Bangladesh, ci sarebbero stati dei problemi tecnici nel processare il pagamento in dollari e questi problemi avrebbero pressoché costretto le due nazioni a trovare un’alternativa per gestire questa transazione. Stando alle parole del segretario, non c’era modo per far sì che le banche russe riuscissero a processare il pagamento in dollari americani.

Putin e gli altri membri del governo russo sono stati più volte promotori di politiche per diminuire la dipendenza della propria economia dal dollaro americano. Dall’altra parte, la Cina diventa sempre più influente: ormai l’economia cinese è estremamente più grande di quella russa, il peso politico di Pechino è più significativo di quello di Mosca e le supply chain internazionali dipendono decisamente più dalle imprese cinesi che da quelle russe. Se la Russia iniziasse a dipendere dallo yuan cinese per le sue transazioni internazionali, starebbe di fatto cedendo ancora più influenza a un vicino che da una parte sembra essere alleato, ma dall’altra vorrebbe dominare la sfera di influenza in questa parte del mondo.

foto di una mappa del Bangladesh
L’economia del Bangladesh è in forte crescita ma dipende fortemente dagli investimenti internazionali

L’idea della moneta unica per i BRICS

Proprio considerando che la Russia difficilmente vorrà cedere alla Cina il ruolo di stampare la moneta-riserva della propria economia, prende sempre più piede l’ipotesi di una moneta unica per i paesi BRICS. Queste nazioni -Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa-, sono quelle meglio predisposte per passare da economie in via di sviluppo a economie avanzate. Il problema è che ci sono forti differenze tra le situazioni dei vari paesi, con il Brasile che addirittura sta valutando l’ipotesi di una moneta unica con l’Argentina.

La realtà è che questo tipo di progetti legati alla “de-dollarizzazione” dell’economia internazionale, fino a questo momento, è rimasto un trend latente. Un’idea nella mente di praticamente tutti i governi dell’area BRICS, ma che allo stesso tempo fatica molto a trasformarsi in pratica e a trovare delle fondamenta pratiche nella collaborazione tra le banche centrali. Se lo scacchiere geopolitico dovesse vedere un ulteriore deterioramento delle relazioni diplomatiche tra la parte Occidentale e la parte Orientale del mondo, però, gli sforzi per ridurre la dipendenza dal dollaro potrebbero assumere rapidamente le sembianze di progetti concreti e di lungo termine.

Laureato in Economia Aziendale all'Università degli Studi di Torino, digital nomad e investitore esclusivamente in azioni. Gestore e chief-analyst del portafoglio azionario di TradingOnline.com. "Anche se difficile da ricordare a volte, un'azione in realtà non è un biglietto della lotteria...è la proprietà parziale di un'azienda" - Peter Lynch

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Inghilterra, l’economia non ristagna più. La sterlina scambiata a 1,3069 dollari

L’economia dell’Inghilterra ha smesso di ristagnare. Ma la buona notizia è servita a poco: la sterlina ha raggiunto i minimi da un mese a questa parte sul dollaro.

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Inghilterra, l'economia non ristagna più. La sterlina scambiata a 1,3069 dollari

Dopo due mesi consecutivi di stagnazione l’economia dell’Inghilterra, ad agosto, ha ripreso a crescere, riuscendo a fornire un po’ di sollievo a Rachel Reeves, Ministro delle Finanze del Regno Unito, che, proprio alla fine di questo mese, deve presentare il primo bilancio del nuovo governo laburista.

Tra i numeri più importanti registrati in Inghilterra c’è la produzione economica, che è cresciuta dello 0,2% su base mensile ad agosto. A riportare questi dati è l’Ufficio per le Statistiche Nazionali, che, sostanzialmente, ha confermato quanto si aspettavano i principali economisti, almeno stando ad un recente sondaggio effettuato da Reuters.

Ma entriamo un po’ più nel dettaglio e cerchiamo di comprendere come è migliorata l’economia dell’Inghilterra.

Inghilterra, l’economia non è più in stagnazione

L’economia dell’Inghilterra, almeno per il mese di agosto, è uscita dalla stagnazione. Secondo Yael Selfin, capo economista di KPMG UK, questo potrebbe fornire una spinta tempestiva per il cancelliere in un contesto di crescenti pressioni di spesa.

Reeves ha accolto con favore la notizia e ha detto che la crescita economica era una priorità assoluta per il governo. Ad agosto hanno mostrato una crescita tutti i principali settori, anche se è stata più debole del previsto nel settore dei servizi: i dati, però, sono stati compensati da un forte rimbalzo nella produzione e nell’edilizia.

Per il momento non sono state riviste le stime della produzione interna lorda mensile dei mesi di luglio e giugno, quando l’economia stava ristagnando. Ma sono state riviste al ribasso le stime per i mesi di aprile e maggio, che sono state portate rispettivamente a -0,1% e a +0,2% contro i precedenti 0,0% e +0,4%.

Rispetto a un anno fa, la produzione economica era dell’1,0% più alta, al di sotto delle previsioni di crescita dell’1,4% degli economisti, un errore che rifletteva le revisioni al ribasso rispetto ai mesi precedenti.

L’Inghilterra ha cambiato passo

In Inghilterra l’economia sembra essersi indirizzata sulla buona strada per crescere, almeno nella seconda metà dell’anno. Il ritmo, però, sembra essere più lento rispetto a quello del primo trimestre.

A settembre la Banca d’Inghilterra ha dichiarato di aspettarsi che la crescita economica potesse rallentare allo 0,3% nel terzo trimestre, attestandosi su un tasso di crescita simile a quello registrato nel corso degli ultimi tre mesi del 2024.

Nel corso della riunione del 7 novembre 2024, la banca centrale dovrebbe ridurre i costi di prestito dopo il primo taglio effettuato ad agosto ed una pausa che si è presa a settembre.

Barret Kupelian, capo economista di PwC, ha spiegato che il grande punto interrogativo è la visione del governo per l’economia. Affinché la crescita economica continui su base sostenuta, le imprese, le famiglie e gli investitori stranieri hanno bisogno di certezza per fare scelte e decisioni di investimento.

Il primo ministro Keir Starmer ospiterà un vertice internazionale sugli investimenti il 14 ottobre, volto a promuovere gli investimenti diretti esteri per contribuire a migliorare la crescita economica: una delle sue principali missioni da quando è salito al potere a luglio.

Starmer ha detto che puntava a una crescita economica annuale del 2,5% quando faceva campagna elettorale in vista delle elezioni: un tasso che la Gran Bretagna non ha raggiunto regolarmente da prima del crollo finanziario del 2008.

L’economia britannica è stata più lenta a riprendersi dalla pandemia di Covid 19 rispetto a molti dei suoi colleghi del Gruppo dei Sette, ma l’ufficio statistico ha detto che l’economia era del 3,4% più grande ad agosto rispetto a febbraio 2020, prima della crisi.

La sterlina ha raggiunto il minimo da un mese a questa parte sul dollaro: a poco sono serviti i dati che hanno mostrato che l’economia britannica è tornata a crescere ad agosto. La sterlina è stata scambiata 1,3069 dollari, poco sopra i 1,3011 dollari raggiunti giovedì, quando ha raggiunto il suo livello più basso da metà settembre.

Era anche piatto sull’euro, a 83,70 pence alla valuta comune.

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Il dollaro brilla e guadagna lo 0,49% rispetto allo yen. Tiene il passo dell’euro

Il dollaro torna a brillare nei confronti dello yen e tiene ben il passo con l’euro. Il mercato valutario è sotto i riflettori degli investitori.

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Il dollaro statunitense brilla, fermandosi al massimo delle ultime sette settimane. Gli investitori, in questi giorni, hanno deciso di rivalutare le proprie posizioni dopo la pubblicazione dei dati sull’occupazione negli Stati Uniti, che sono risultati positivi. A condizionare la decisione degli operatori, inoltre, sono i timori che le tensioni in Medio Oriente possano sfociare in un conflitto più ampio. Gli investitori hanno cercato dei porti sicuri .

Sotto i riflettori è finito il rapporto sull’occupazione di settembre, che ha messo in evidenza uno dei balzi più importanti delle buste paga non agricole degli ultimi sei mesi. Ma solo: è calato il tasso di disoccupazione e sono stati registrati dei solidi aumenti salariali. Per questi motivi i mercati hanno deciso di ridurre le scommesse su ulteriori importanti tagli dei tassi negli Usa. Ora come ora i mercati si aspettano che la Federal Reserve tagli i tassi d’interesse di 25 bps a novembre, invece dei previsti 50.

Il dollaro riprende a brillare

Stando allo strumento FedWatch di CME, i mercati, in questo momento, starebbero scontando una probabilità dell’85% di un taglio di un quarto di punto. Percentuale in aumento rispetto al 47% previsto una settimana fa. Una piccola probabilità – ferma allo 0,15% – prevede che non si verifichi alcun tipo di taglio.

Sostegno psicologico, inoltre, è arrivato dall’aumento del rendimento del benchmark Usa a dieci anni, che è stato superiore al 4% per la prima volta nell’arco di due mesi.

Il dollaro si è indebolito nei confronti dello yen giapponese: a pesare sono le parole di Atsushi Mimura, il principale diplomatico valutario giapponese, ha lanciato un avvertimento contro le mosse speculative sul mercato dei cambi.

Il cambio dollaro/yen è sceso dello 0,49% a 147,98, dopo aver toccato il massimo dal 15 agosto a 149,10 durante la notte.

Marc Chandler, capo stratega di mercato presso Bannockburn Global Forex a New York, spiega che il mercato è diventato cauto nel momento in cui ci si è avvicinati a 150 yen. Chandler, però, non crede che questa sia ancora una grande mossa.

L’euro ha perso solo lo 0,01% a 1,0975 dollari, risentendo della pressione esercitata dopo che gli ordini industriali tedeschi sono scesi più del previsto ad agosto, rafforzando i segnali che il settore manifatturiero nella più grande economia europea rimane in crisi.

Complessivamente, ad ogni modo, il tono è rimasto positivo nei confronti del dollaro. Nella stessa situazione si trovano anche le altre valute, che danno uno sguardo alle preoccupazioni del quadro geopolitico.

Brian Daingerfield, stratega del mercato dei cambi presso NatWest Markets, spiega che se si considerano alcune delle valute più sensibili al rischio nell’area del G10, si nota che il dollaro è generalmente più forte, ma molti dei tradizionali porti sicuri (yen, valuta svizzera e dollaro) hanno oggi performance relativamente superiori. Daingerfield ritiene che questo rifletta un leggero calo delle azioni e un ulteriore aumento dei prezzi del petrolio, poiché i mercati stanno osservando molto attentamente gli sviluppi in Medio Oriente.

Dollaro e le altre valute internazionali

Il dollaro si è indebolito nei confronti del franco svizzero e si attestato a 0,854. Rispetto al biglietto verde si è anche indebolito il dollaro canadese che ha perso lo 0,37%, attestandosi a 1,36 per dollaro. 

La sterlina è scesa dello 0,25% a 1,3083 dollari. La scorsa settimana ha registrato il suo più grande calo giornaliero da aprile dopo che Andrew Bailey, governatore della Banca d’Inghilterra, è stato citato mentre affermava che la banca centrale potrebbe muoversi in modo più aggressivo per abbassare i costi di prestito.

Il dollaro australiano si è indebolito dello 0,6% rispetto al biglietto verde e il kiwi si è indebolito dello 0,63%.

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Forex a Natale: dati importanti per lo yen, per il real brasiliano e…

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Natale Forex

Nonostante l’Italia e più in generale l’Europa sia nel pieno delle vacanze natalizie e lo sarà, almeno in parte, fino al 26 dicembre incluso, ci saranno diverse notizie a partire da domani, 25 dicembre, che potrebbero avere un impatto importante sulle principali piazze del Forex. Durante le prime ore del mattino di lunedì sarà il turno della conferenza stampa di Kazuo Ueda, governatore della Banca Centrale del Giappone, banca che dovrebbe essere almeno secondo quanto dichiarato nel recente passato in avvicinamento verso il ritorno a tassi di interesse positivi.

Ci saranno poi altri dati importanti che riguarderanno anche altre economie e di riflesso altre economie. Martedì avremo infatti i dati sull’inflazione a Singapore, nonché quelle sulla produzione industriale, con il cammino della piccola ma importante città stato che è ancora lontano dal ritorno in target al 2% di inflazione. E si partirà poi con una settimana che, nonostante sia l’ultima dell’anno, avrà un numero importante di dati con i quali fare i conti, in particolare se si è esposti sul mercato del Forex.

Prima il Giappone, poi Singapore, poi gli altri

Gli eventi a stretto giro di posta e che potranno impattare sulle principali valute avverranno tutti o quasi in Lontano Oriente. La giornata di Natale si aprirà, quando in Italia saranno le prime ore del giorno, con la conferenza stampa di Kazuo Ueda, governatore di Bank of Japan. È un tour de force quello di Ueda, che si trova a gestire il momento più complicato degli ultimi decenni e che appare in pubblico piuttosto di frequente, non sempre seguendo la linea dell’incontro precedente. Ciò che interessa ai mercati e in particolare allo yen saranno le eventuali indicazioni su un ritorno dei tassi al segno positivo. L’economia giapponese è in condizioni complesse, ha fatto registrare dati poco incoraggianti per novembre per quanto concerne il PIL e sembrerebbe essere ancora bisognosa degli importati stimoli di politica monetaria.

Kazuo Ueda ha giocato già, in più riprese, una partita contro i mercati e contro quelli che chiama speculatori ribassisti sullo yen, modulando i messaggi consegnati al pubblico alla bisogna. Gli analisti non si aspettano grandi novità dalla conferenza stampa prevista per lunedì, per quanto però anche il cambiamento del tono di voce potrebbe spingere i mercati su o giù, una giornata che però sarà caratterizzata in generale da volumi molto contenuti.

Il 26 sarà il turno di Singapore, che a ottobre ha lasciato i tassi invariati e che sta affrontando, al pari di altre economie, un cammino piuttosto difficile per il ritorno al target del 2% per quanto riguarda l’inflazione. Ci saranno appunto dati sull’aumento dei prezzi nella città-stato, che per quanto sia marginale nel mercato del Forex, sarà un segnale di cosa sta accadendo in questo senso in termini di politica monetaria e di andamento dell’inflazione stessa.

Sguardi ancora puntati su BoJ

Il resto della settimana

Ci saranno anche aggiornamenti sull’inflazione di metà mese, il prossimo giovedì 28 dicembre, particolarmente interessante per chi segue i mercati valutari esotici. Il consenso è in leggero ribasso rispetto al dato precedente, cosa che sarebbe certamente un buon segno verso la normalizzazione anche della politica monetaria alla quale è legato il real brasiliano, con il Brasile anch’esso piuttosto lontano al target del 2%.

Sarà dunque una settimana a bassa intensità per il mondo del Forex, anche se non completamente ferma, nonostante la settimana festiva di Natale abbia fatto registrare storicamente volumi meno importanti.

Si tornerà poi a fare sul serio con Dollaro e Euro soltanto a anno nuovo, con i mercati che sembrano aver puntato ormai tutto sulla fine dei cicli restrittivi di politica monetaria e con il 2024 che sarà l’anno giusto per tornare su tassi di interesse più graditi alle borse.

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Forex

Cina impone limiti ai broker, ancora mosse a difesa di CNY

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Broker CNY

Il governo cinese spinge per una riduzione del trading proprietario da parte dei broker. La notizia, che è stata confermata da fonti di Bloomberg, racconta dell’ennesima misura della Repubblica Popolare Cinese a tutela della valuta nazionale, che da agosto viaggia su minimi che non si vedevano da 16 anni. Sempre secondo quanto riportato dal quotidiano statunitense, non sono stati indicati livelli di trading massimi per ogni desk proprietario.

La mossa ha già avuto delle ripercussioni sul mercato interno, con i volumi che sono in ritirata ormai da una settimana. Non è chiaro se questa mossa sarà però in grado di offrire tutele effettive ad un prezzo dello yuan che continuerà ad essere sotto pressione all’aumentare del differenziale dei tassi di interesse tra Pechino e le altre principali economie, rappresentative delle valute più forti sulle piazze internazionali. Situazione chiara nella Repubblica Popolare, con il governo che ha già introdotto diverse misure a tutela del cambio della valuta nazionale.

Pechino ancora in difesa dello yuan

Repubblica Popolare a tutela dello yuan, ancora una volta

La Cina ha implementato ulteriori misure, per quanto informali, a tutela della divisa nazionale. Secondo fonti che Bloomberg ha mantenuto anonime, il governo avrebbe chiesto alle società che fanno trading forex sullo yuan di ridurre i volumi di scambio, senza che però siano stati forniti dei limiti chiari da rispettare. Diverse delle società che operano su questo mercato hanno già ridotto i volumi di scambio sullo yuan, portandoli quasi a zero. La misura è l’ennesima di una serie di operazioni spot e non organiche a tutela del valore dello yuan, mai così basso dal 2007. La tenuta di CNY è fonte di preoccupazione tanto per Pechino quanto invece per gli investitori sulle piazze cinesi, che ritengono la debolezza della divisa nazionale un’ulteriore segnale di problemi gravi per la tenuta dell’economia cinese.

Problemi per la tenuta che sono – a loro volta – carburante per decisioni di politica monetaria che con ogni probabilità aumenteranno le pressioni ribassiste sullo yuan.

Trading CNY limiti
L’invito non include limiti chiari. Broker rispondono azzerando trading.

La cura di Pechino per la propria economia può essere veleno per lo yuan

La lettura più lineare di quanto sta avvenendo in Cina si attende misure di stimolo per l’economia che comprendono un allentamento della politica monetaria. Allentamento della politica monetaria ritenuto necessario per dare ossigeno ad un’economia in sofferenza da tempo e che tramite misure spot non è ancora riuscita a invertire né narrativa né trend.

Tali misure però, che aumenteranno il differenziale tra Pechino, Washington e Francoforte eserciteranno ulteriore pressione sullo yuan, che si trova già in difficoltà importante e che si teme possa andare a toccare – nelle prossime settimane – livelli ancora più bassi di quelli attuali.

PBOC in un difficile gioco di equilibri

Le crisi sistemiche rendono ogni possibile coperta troppo corta. People’s Bank of China sarà costretta a ricercare equilibri che – a seconda dell’intensità della crisi del sistema produttivo cinese – potrebbero risultare impossibili.

Da un lato c’è infatti il bisogno di stimoli all’economia, dall’altro preoccupazione per gli effetti deleteri che certi stimoli avranno sullo yuan. E se sul fronte interno si potranno imporre limiti a broker e imprese – e più avanti anche controlli sulla circolazione dei capitali da e per l’estero – sarà difficile contenere eventuali pressioni ribassiste sulle piazze internazionali.

La chiave di lettura più importante da qui a fine 2023 verrà però fornita dalle decisioni di un’altra banca centrale. Sarà Washington a decidere per un altro rialzo o meno di 25 punti base, che finirebbero per aumentare ulteriormente la divergenza tra i tassi praticati negli USA e quelli praticati in Cina. Una decisione che potrebbe scatenare altri venti ribassisti contro lo yuan.

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HSBC rivede le previsioni: EUR/USD diretto verso quota 1.02

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HSBC è stata la prima banca commerciale ad aggiornare le sue previsioni sul cambio tra euro e dollaro americano, dopo che Christine Lagarde ha optato per un ulteriore rialzo dei tassi di interesse ma segnalando la fine degli scatti a rialzo per questo ciclo economico. Si conclude così la scalata dei tassi della BCE, lasciando l’euro estremamente debole sul mercato Forex: il cambio EUR/USD è già sceso a quota 1.06 e molti analisti hanno iniziato a interrogarsi su un possibile ritorno alla parità, come l’anno scorso. Per il momento HSBC prevede che il cambio si dirigerà verso 1.02 intorno alla metà del prossimo anno, guidato dalle forti differenze che esistono in questo momento tra la politica monetaria europea e quella americana.

presentazione della notizia su previsioni hsbc su cambio euro dollaro
Non è da escludere che altre banche d’investimento prevedano un ritorno alla parità

Ritorna lo spettro di una possibile parità

Gli analisti di HSBC hanno motivato molto chiaramente la loro nuova previsione. Da una parte vedono la quasi certezza che, con la decisione di oggi, la Banca Centrale Europea abbia toccato il massimo dei tassi d’interesse per quest’anno. Allo stesso tempo, negli Stati Uniti prevedono che i mercati inizieranno lentamente a lasciarsi alle spalle le attese di un possibile taglio ai tassi nei primi mesi del 2024. Il mercato delle obbligazioni sta prezzando la possibilità che la Fed decida di invertire la propria rotta dopo il raggiungimento del suo target di inflazione del 2%, cosa che molti analisti vedono possibile già nel corso dei prossimi mesi. La combinazione delle due cose creerebbe il terreno ideale per un’ulteriore svalutazione della Moneta Unica rispetto al dollaro.

Alla fine la paura più grande per l’economia dell’Eurozona si è concretizzata: la BCE si è trovata costretta a scegliere tra una recessione e l’iperinflazione. L’economia europea, trainata da un forte calo dell’attività economica in Germania, ha iniziato a dare evidenti segni di cedimento. Al tempo stesso, l’inflazione rimane ancora decisamente elevata rispetto all’obiettivo del 2% della BCE. La banca centrale spiega di essere convinta che, ai livelli attuali dei tassi di interesse, sarà possibile tornare a controllare il tasso di inflazione se i tassi saranno mantenuti abbastanza a lungo. Si entra dunque in uno scenario in cui i tassi dell’Eurozona non raggiungeranno i livelli toccati già ora dalla Federal Reserve, ma con ogni probabilità dovranno essere mantenuti più a lungo prima che il tasso di inflazione ritorni sui livelli desiderati.

foto di una persona al supermercato
Con l’inflazione UE al 6.10%, la BCE rimane molto lontana dal suo obiettivo

Wall Street crede nello scatto rialzista dell’euro

Malgrado le ultime novità, i dati mostrano che gli hedge funds e le banche commerciali americane continuano a puntare su un rafforzamento della Moneta Unica. Secondo gli ultimi dati pubblicati dalla Commodity Futures Trading Commission, attualmente i fondi attivi hanno posizioni long nette sull’euro per 136.000 contratti. Si tratta del livello più basso raggiunto negli ultimi 7 mesi, ma indica comunque una scommessa di Wall Street dal valore di 18 miliardi di dollari sul rafforzamento della valuta europea. I dati sono aggiornati a venerdì scorso, e sarà interessante scoprire come cambieranno con la prossima pubblicazione in arrivo questa settimana.

Il punto nodale della questione riguarda la difficoltà di coniugare crescita e abbassamento del tasso di inflazione. Mentre negli Stati Uniti la crescita è rimasta elevata nel 2023, ma con un calo costante della pressione sui prezzi, i dati mostrano che in Europa il calo dei prezzi è stato decisamente più lento e accompagnato da una visibile contrazione dell’attività economica. Soprattutto, è stato accompagnato da una contrazione della produzione industriale: a partire dalla locomotiva economica europea, la Germania, si è notato per tutto l’anno un rallentamento degli ordini e della produzione. Nonostante ciò, fa notare Piet Christiansen di Danske Bank, lo slancio attuale dell’inflazione era troppo alto per non portare a un aumento dei tassi della BCE nella riunione sulla politica monetaria di stamattina.

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