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Anche l’Australia è stanca dei pannelli cinesi: creato fondo da $650 mln per produrli in casa

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L’Australia si aggiunge al coro dei paesi che hanno deciso di puntare sulla produzione domestica di pannelli fotovoltaici. Questo sta diventando un trend a livello mondiale, iniziato negli Stati Uniti con gli incentivi dell’Inflation Reduction Act che hanno portato a forti vantaggi fiscali e finanziamenti per le imprese che producono i loro pannelli negli USA e con materiali americani. Nel frattempo alcuni dei più grandi produttori cinesi sono stati completamente banditi dalle importazioni negli States, al punto che alcuni oggi cercano di aggirare le sanzioni esportando prima verso l’India, e dall’India agli USA. Queste misure americane hanno immediatamente causato un eccesso di offerta di pannelli cinesi.

Per smaltire lo stock, i produttori cinesi hanno iniziato a vendere sottocosto in Europa tagliando le gambe ai produttori locali. Anche l’Unione Europea a questo punto si è vista tenuta a reagire, introducendo delle regole sulle percentuali di pannelli prodotti in Europa che devono essere allocate a ogni asta pubblica. Dopodiché si è aggiunta l’India, che con i suoi nuovi limiti alle importazioni ha visto cadere del 76% l’import di pannelli fotovoltaici dalla Cina. Ora tocca anche all’Australia, che nel frattempo ha visto il suo mercato interno invaso dalle importazioni cinesi.

L’Australia è il paese con la percentuale più alta al mondo di case con pannelli fotovoltaici sul tetto

Sempre meno mercato per i pannelli cinesi

L’Australia ha deciso di investire in un nuovo fondo pubblico che allocherà oltre $650 milioni alla produzione domestica di pannelli fotovoltaici, con l’obiettivo di dare vita a un’industria nazionale delle celle fotovoltaiche. Sempre di più, i pannelli solari sono considerati una questione di sicurezza energetica nazionale: importarli significa ammettere che si dipende da un paese terzo per la produzione nazionale di energia, senza avere un pieno controllo dei dati che vengono condivisi con il governo cinese o della possibilità di intervento informatico dalla Cina. Attualmente l’Australia produce già il 40% della propria energia da fonti rinnovabili, ma punta di arrivare all’82% entro la fine del decennio: numeri sorprendenti per qualunque grande economia sviluppata, che fanno invidia anche ai paesi scandinavi.

Questo intervento per favorire la produzione nazionale arriva nel contesto di un piano d’investimento da $40 miliardi di dollari australiani per le rinnovabili, annunciato dal governo nel 2022. Inoltre il paese ha un vantaggio competitivo unico: la presenza di tutte le materie prime necessarie sul proprio territorio. Senza i minerali che provengono dall’Australia, la Cina non sarebbe in grado di difendere la propria posizione competitiva nel mondo del fotovoltaico.

Anche i pochi pannelli prodotti in Australia sono prodotti da imprese cinesi

Da clienti a produttori

Attualmente oltre un terzo delle case australiane hanno dei pannelli fotovoltaici installati sul tetto, ma meno dell’1% di questi sono prodotti in Australia. I nuovi incentivi dovrebbero servire ad aiutare soprattutto AGL Energy -equivalente della nostra Eni- a sviluppare un piano per espandere la propria capacità produttiva. Il governo intende finanziare soprattutto il progetto di chiudere due grandi centrali a carbone, trasformandole in grandi centrali a energia solare, garantendo a chi lavora in queste centrali di poter trovare un nuovo impiego nel parco fotovoltaico.

In questo modo si aggiunge anche uno scopo sociale al progetto, in un momento in cui l’economia Australiana sta soffrendo i prezzi bassi di molte materie prime critiche tra cui litio e acciaio. Il governo ha anche rimarcato l’importanza di questo progetto per evitare interruzioni alla supply chain come quelle che si sono verificate durante la pandemia. Questo potrebbe nascondere il timore di un inasprimento dei rapporti con la Cina, specie nel caso in cui Xi Jinping dovesse decidere di intraprendere delle azioni militari a Taiwan.

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