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Energie rinnovabili, il nucleare australiano porta alla ribalta le guerre climatiche

Si riaccende, in Australia, il dibattito sul clima tra chi è a favore del nucleare e chi vuole le energie rinnovabili.

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Energie rinnovabili, il nucleare australiano porta alla ribalta le guerre climatiche

In Australia si apre il dibattito sullo sviluppo delle energie rinnovabili dopo che l’opposizione federale ha predisposto un piano che porterebbe alla costruzione di una rete di reattori nucleari. La politica che l’opposizione avrebbe intenzione di portare avanti – e che è stata svelata nel corso del mese di giugno 2024 – costituirebbe un importante cambio di passo rispetto a quella del governo attualmente in carica, che pone l’accento sull’accelerazione della costruzione di impianti solari, eolici e batterie. L’opposizione ha predisposto un piano che prevederebbe la realizzazione di impianti nucleari di proprietà statale. Nel frattempo l’Australia dovrebbe utilizzare in maniera massiccia i combustibili fossili.

Rallentare l’impiego delle energie rinnovabili, secondo gli esperti, comporterebbe per almeno vent’anni una produzione più elevata di emissioni. Affermazione respinta dall’opposizione.

Il partito laburista attualmente al governo in Australia ritiene che il piano avanzato dall’opposizione minaccerebbe gli investimenti nelle energie rinnovabili – prima di tutto in quella eolica e solare – ma soprattutto rappresenterebbe una fantasia costosa e dannosa per un paese come l’Australia, vasto e scarsamente popolato. Le cui leggi, in questo momento, proibiscono la produzione di energia nucleare.

Australia, l’opposizione frena sulle energie rinnovabili

Chris Bowen, Ministro dell’energia australiano, la scorsa settimana ha affermato che quello dell’opposizione è uno stratagemma per far funzionare il carbone più a lungo, a un costo enorme per l’affidabilità e le emissioni. Ma soprattutto, secondo Bowen, questa proposta sarebbe un tradimento nei confronti di quegli australiani che hanno sofferto per gli incendi, per le inondazioni e per i cicloni che hanno flagellato il paese nel corso di questi anni.

La coalizione di opposizione dei partiti liberale e nazionale punta sulla rabbia della gente, che non vuole parchi eolici o solari vicino alle proprie terre o coste. Si fa forte, inoltre, dei sondaggi che mostrano come almeno la metà degli australiani risulti essere a favore dell’energia nucleare.

Il partito laburista è sotto pressione a causa della crisi del costo della vita e la coalizione di opposizione promette che il suo piano nucleare riuscirà a raggiungere le zero emissioni nette entro il 2050, in modo più economico e sicuro di quanto possa fare il partito laburista. Un risultato che difficilmente l’Australia potrà raggiungere – almeno secondo molti analisti -, benché il paese sia un importante produttore di uranio. I costi delle centrali nucleari sono molto alti.

Australia, continuano le guerre climatiche

Il crescente divario politico tra il partito laburista e l’opposizione riecheggia le cosiddette guerre per il clima che si sono assistite dal 2010 in poi, quando lo scetticismo sui cambiamenti climatici, alimentato da alcuni politici della coalizione, divenne un tema elettorale chiave.

Il partito laburista ha cercato di porre fine a questa era sin dal suo arrivo al potere nel 2022, posizionando l’Australia come leader in materia di clima e candidandosi a ospitare la conferenza internazionale sul clima COP nel 2026.

Entro il 2030, il partito laburista punta a far sì che l’82% dell’energia australiana provenga da fonti rinnovabili, rispetto al 40% attuale, e a ridurre le emissioni del 43% rispetto ai livelli del 2005. A lungo termine, l’Australia dovrebbe essere alimentata prevalentemente da energie rinnovabili.

Ted O’Brien, portavoce dell’opposizione per l’energia, ha spiegato che il partito laburista sta alienando le comunità locali e non riesce a raggiungere i suoi obiettivi in ​​materia di energie rinnovabili, limitando al contempo la produzione di energia da carbone e gas, che sarà necessaria per garantire la fornitura di energia.

Ricordiamo che ad oggi molti paesi stanno usando l’energia nucleare. Tra questi ci sono l’India, la Corea del Sud e la Gran Bretagna. Il problema, però, è che gli ingenti costi di costruzione e la mancanza di competenze nel nucleare dell’Australia, rendono questa scelta la meno logica. Anche perché è un paese ricco di terra e sole.

Tony Wood, analista energetico del think tank Grattan Institute, ritiene che nel 2050 sette centrali nucleari sarebbero in grado di fornire solo il 15-20% dell’energia australiana. Sempre che si riuscisse a costruirle in tempo.

Laureato in materie letterarie e giornalista pubblicista iscritto all'Albo dal 2002 [Link di verifica iscrizione all'Albo]. Ho iniziato ad occuparmi di Economia fin da subito, concentrandomi dapprima sul mercato immobiliare, sul fisco e i mutui, per poi allargare i miei interessi ai mercati emergenti ed ai rapporti Usa-Russia. Scrivo di attualità, tasse, diritto, economia e finanza.

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Pony AI: IPO negli USA. Per la quotazione al NASDAQ si muovono 6 tra banche d’affari e broker

Pony AI sceglie il NASDAQ per la sua IPO. Ecco perché sarà importante.

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PONY AI IPO

Pony AI, società cinese di veicoli di servizio a guida autonoma, ha annunciato la IPO negli Stati Uniti. L’annuncio arriva nel momento forse di massimo interesse per questo specifico comparto, dopo la presentazione da parte di Tesla di veicoli che almeno a grandi linee hanno le medesime funzionalità. E riparte una stagione molto interessante di IPO negli Stati Uniti, che aveva vissuto un lungo iato in concomitanza del picco della politica monetaria restrittiva. Con le attese di tagli forti e decisi da qui a fine 2025, il momento per le IPO sembrerebbe essere finalmente tornato a essere quello giusto.

PONY AI si quoterà presso il NASDAQ e vedrà il suo titolo scambiato sotto il ticker $PONY. A curare la fase di prima offerta saranno Bank of America, insieme a Goldman Sachs, Deutsche Bank, Huatai e Tiger Brokers, che faranno da underwriter dell’offerta iniziale. Continua inoltre il trend di società cinesi che cercano quotazione fuori dai mercati nazionali, nonostante il tentativo di Pechino di limitare questo specifico modus operandi per le aziende che cercano di raccogliere capitali con la quotazione in borsa.

Chi è Pony AI e cosa aspettarsi dalla quotazione

Pony AI è una società cinese che vende veicoli a guida autonoma di servizio – ovvero taxi e anche autotrasporti pesanti – che si definisce leader mondiale per queste tecnologie e che cercherà di raccogliere capitali presso il mercato USA, proprio nel massimo momento di interesse per queste tecnologie.

A fare da contraltare ci saranno le preoccupazioni per i veicoli made in China, sui quali in Europa sono appena aumentati i dazi e sui quali probabilmente arriveranno altre strette negli USA a prescindere da chi uscirà vincitore dalle elezioni del 5 novembre. Il rischio, per chi si espone su Pony AI, è quello di rimanere almeno in parte intrappolato in una guerra commerciale che sembrerebbe essere in fase ascendente per i prossimi anni.

Non è chiaro ancora quanto punti a raccogliere dalla quotazione Pony AI, con i dettagli che dovrebbero diventare più chiari nel corso dei prossimi giorni.

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BP a caccia di compratori per l’eolico: disimpegno green del gruppo. Saltati obiettivi 2030

Per BP caccia ai compratori per una parte di business eolico. Il gruppo ha già abbandonato gli obiettivi 2030.

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EOLICO BP

Secondo uno scoop pubblicato da Yahoo Finance, il gigante del petrolio e del settore energetico BP, starebbe cercando di vendere una quota di minoranza del suo business eolico. Lo scoop cita fonti informate dei fatti, che confermerebbero lo sforzo del CEO Murray Auchincloss al fine di ridurre l’esposizione del gruppo verso le fonti di energia rinnovabili. Una scelta che sarebbe dettata dalle crescenti pressioni da parte degli azionisti al fine di ridurre la parte di business dedicata alle rinnovabili, che per ora avrebbero prodotto ritorni modesti per l’azienda e che per il futuro non prevedono grande crescita dei profitti collegati a questo tipo di attività.

Il gruppo ha già annunciato l’abbandono del piano per la riduzione di produzione del petrolio per il 2030, confermando così di essere tornato sui suoi passi, seguendo quello che è un disimpegno da questo tipo di investimenti che colpisce sia l’Europa, sia il resto del mondo. Obiettivi che si riducono e si ridimensionano in tutti i comparti che più entusiasticamente avevano abbracciato la transizione green, una transizione che si sta rivelando per molti dei gruppi in prima linea come piuttosto costosa.

A trattare la cessione Bank of America

Sempre secondo le indiscrezioni che sono state pubblicate da Yahoo Finance, a occuparsi del tentativo di vendità sarà Bank of America, che starebbe sondando potenziali acquirenti. Il disimpegno in forma di cessione non dovrebbe però compromettere i prossimi investimenti nel settore del solare, dei bio-carburanti e anche dell’idrogeno – che hanno visto il gruppo in prima fila a partire da inizio 2024.

I piani però potrebbero essere diversi – a partire dal disimpegno graduale (e comunque parziale) dall’estrazione di petrolio. Il calo non ci sarà, per una BP che punterà ancora sulle fonti fossili anche oltre il 2030 e su livelli almeno pari a quelli attuali – con buona pace per i piani green.

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Blackstone batte le aspettative di Wall Street e registra 41 mld $ di afflussi

Blackstone straccia le aspettative di Wall street e chiude il terzo trimestre 2024 con degli afflussi record, beneficiando del cambio di passo della Fed.

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Blackstone batte le aspettative di Wall Street e registra 41 mld $ di afflussi

Battute le stime degli analisti e le aspettative di Wall Street: Blackstone ha centrato in pieno i principali indicatori trimestrali. Gli asset gestiti da una delle più importanti società di investimenti alternativi hanno raggiunto quota 1,1 trilioni di dollari. Ma soprattutto il valore dei suoi fondi è in aumento.

Nel terzo trimestre Blackstone ha registrato qualcosa come 41 miliardi di dollari di afflussi. Ha, invece, impiegato 54 miliardi di capitale, uno dei livelli più alti che sono stati registrati nel corso degli ultimi due anni. La società è riuscita a beneficiare del contesto di ripresa delle attività di conclusione di accordi dopo che la Fed ha tagliato i tassi e le prospettive economiche sono rimaste sostanzialmente rosee.

Blackstone, il problema degli alti tassi di interesse

Nel corso degli ultimi trimestri, uno dei problemi che affliggeva Blackstone erano i tassi d’interesse troppo alti. La Federal Reserve ha avviato un ciclo di allentamento, alleggerendo, in questo modo, la società di un vero e proprio peso.

I fondi di private equity della società hanno registrato un apprezzamento del 6,2% nel trimestre e i fondi infrastrutturali del 5,5%, contribuendo al più alto apprezzamento dei fondi di Blackstone in tre anni.

Steve Schwarzman, amministratore delegato di Blackstone, ha salutato i risultati come un’accelerazione su vasta scala in tutta l’attività della società.

Gli utili distribuibili di Blackstone, che rappresentano denaro contante che può essere utilizzato per pagare dividendi, hanno totalizzato 1,3 miliardi di dollari nel terzo trimestre, in aumento del 6% rispetto all’anno precedente. Ciò si è tradotto in utili distribuibili per azione pari a 1,01 dollari, superando la stima media degli analisti di 0,92 dollari.

Tra i principali accordi di Blackstone nel trimestre c’è stata un’acquisizione da 16 miliardi di dollari dell’australiana AirTrunk, che ha rafforzato la presa del fondo nel mercato dei data center a supporto dei servizi cloud e dell’intelligenza artificiale.

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La Bce taglia i tassi d’interesse di 25 punti base, confermando le attese del mercato

Confermando le aspettative di larga parte del mercato la Bce ha tagliato i tassi d’interesse di 25 punti base. La terza volta di quest’anno.

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La Bce taglia i tassi d'interesse di 25 punti base, confermando le attese del mercato

Come largamente atteso dai mercati e dagli analisti oggi la Bce ha tagliato i tassi d’interesse per la terza volta nel 2024. La decisione è stata presa perché l’inflazione, nella zona euro, risulta essere sotto controllo. Le prospettive dell’economia, allo stesso tempo, stanno peggiorando, almeno a livello generale.

Questo è, da tredici anni a questa parte, il primo taglio consecutivo. E segna un cambiamento degli orizzonti della Bce, che non punta più unicamente all’inflazione ma inizia anche a proteggere la crescita economica, che nel corso degli ultimi anni è risultata essere inferiore rispetto a quella degli Stati Uniti.

Ma entriamo un po’ nel dettaglio e cerchiamo di comprendere quali siano state le motivazioni della Bce.

La Bce taglia i tassi d’interesse per la terza volta

Per la terza volta da quest’anno, la Bce ha deciso di tagliare i tassi d’interesse di 25 punti base. Il tasso sui depositi scende al 3,25%, il tasso sulle operazioni di rifinanziamento principali al 3,40% e quello sui prestiti marginali al 3,65%.

Christine Lagarde, presidente della Bce, ritiene che il processo di disinflazione sia sulla buona strada. Tutte le informazioni che la Banca Centrale Europea ha ricevuto nelle ultime cinque settimane si muovono nella stessa direzione: verso il basso. Le affermazioni della Lagarde sono arrivate nel corso di una conferenza stampa nella quale si sono sottolineate le recenti sorprese al ribasso dell’attività economica. Con ogni probabilità questi dati potrebbero aver giocato un ruolo importante nella decisione della Bce di tagliare nuovamente i tassi d’interesse.

Ad una domanda sulle prospettive di tariffe più elevate sui prodotti europei nel caso in cui Donald Trump dovesse vincere le elezioni negli Stati Uniti, la Lagarde ha risposto che eventuali ostacoli al commercio rappresenterebbero un aspetto negativo per l’Europa. Il numero uno della Bce ha poi aggiunto che qualsiasi restrizione, incertezza, ostacolo al commercio è importante per un’economia come quella europea, che è molto aperta. Ad ogni modo la Banca Centrale Europea è anche molto attenta alle possibili oscillazioni del prezzo del petrolio legate al conflitto in Medio Oriente. Ad ogni modo, per il momento, la Bce non vede una recessione.

Come molti osservatori si aspettavano, la Bce non ha fornito alcuna indicazione sulle mosse future, limitandosi a ripetere il suo mantra secondo cui le decisioni saranno prese riunione per riunione sulla base dei dati in arrivo.

I dati sull’inflazione e la crescita

In un certo senso la Bce può affermare di aver sostanzialmente domato l’inflazione.  I prezzi sono cresciuti solo dell’1,7% il mese scorso, scendendo al di sotto dell’obiettivo del 2% della banca per la prima volta in tre anni. Mentre l’inflazione potrebbe superare il 2% entro la fine di quest’anno, si prevede che si aggirerà attorno a quel livello per il prossimo futuro.

Gli aumenti salariali – secondo la Bce – continuano a sostenere l’inflazione interna, ovvero la crescita del prezzo dei servizi e dei beni che non dipendono molto dalle importazioni, ma anche questa è in calo.

Christine Lagarde ha spiegato che l’inflazione interna rimane alta, poiché i salari continuano a crescere a un ritmo elevato. Allo stesso tempo, le pressioni sui costi del lavoro sono destinate a continuare ad allentarsi gradualmente, con i profitti che tamponano parzialmente il loro impatto sull’inflazione.

Ma l’economia ha dovuto pagare un prezzo elevato per tutto questo.

Gli alti tassi di interesse hanno indebolito gli investimenti e la crescita economica, che è stata debole per quasi due anni. I dati più recenti, compresi quelli sulla produzione industriale e sui prestiti bancari, indicano che nei prossimi mesi la situazione sarà più o meno la stessa.

Anche un mercato del lavoro resiliente sta iniziando a mostrare qualche crepa, con il tasso di posti vacanti (ovvero la percentuale di posti di lavoro vacanti rispetto al totale) in calo rispetto ai massimi storici.

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L’euro guarda alla Bce, ma il mercato ha già prezzato tre tagli dei tassi

Euro sorvegliato speciale questa mattina: rimane in attesa della decisione della Bce, ma ha già prezzato tre tagli dei tassi.

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L'euro guarda alla Bce, ma il mercato ha già prezzato tre tagli dei tassi

A condizionare l’andamento dell’euro, quest’oggi, è il previsto taglio dei tassi da parte della Bce. Il dollaro, invece, ha sfiorato il massimo da undici settimane a questa parte, galvanizzato dalla prospettiva che Donald Trump possa vincere le elezioni e possa mettere in atto le sue politiche, che il mercato ritiene più rialziste.

Ha faticato a mantenere quota 150 dollari lo yen e si è attestato intorno a 149,765. Rispetto all’euro la sterlina si è rafforzata, scambiato a 83,54 penny, anche se la valuta inglese è riuscita a tenersi vicina ai minimi da due mesi a questa parte raggiunti nella giornata di mercoledì nei confronti del dollaro, grazie principalmente ai dati sull’inflazione inferiori alle attese nel Regno Unito.

L’euro guarda alla riunione della Bce

A tenere sotto scacco l’euro, questa mattina, sono stati principalmente i deboli dati economici e i commenti accomodanti della Bce, che hanno convinto la maggior parte degli investitori che la Banca Centrale Europea possa fare un terzo taglio dei tassi a partire da giugno. Sono in molti, infatti, a ritenere che possano essere tagliati i tassi sui depositi di un quarto di punto.

Roberto Mialich, stratega forex di UniCredit, ritiene che la Bce non si voglia impegnare in ulteriori tagli dei tassi e non ritiene che l’impatto sull’euro possa essere drammaticamente negativo.

Al momento i mercati valutari sembrano aver già scontato altre tre riduzioni fino a marzo 2025 per contenere l’onda lunga dell’inflazione nell’Unione europea. 

Mialich ha spiegato che l’euro è diventato molto più fragile, soprattutto perché continua ad avvicinarsi a 1,08 o 1,0780: una rottura definitiva al di sotto di questi livelli rappresenterebbe la completa cancellazione dei guadagni realizzati da agosto e potrebbe aumentare la pressione di vendita.

Nel mercato più ampio, il dollaro ha raggiunto il massimo delle ultime 11 settimane rispetto a un paniere di valute analoghe, attestandosi a 103,65.

Il dollaro ha tratto sostegno da una serie di dati positivi sull’economia statunitense, che a loro volta hanno spinto i trader a ridurre le aspettative sui tagli dei tassi da parte della Fed, ma anche sulle maggiori probabilità di una vittoria del candidato repubblicano alla presidenza Donald Trump alle elezioni di novembre.

Thierry Wizman, stratega globale per i tassi e i cambi di Macquarie, spiega che le sue politiche fondamentali in materia di tariffe, immigrazione e tasse determinerebbero una prospettiva più inflazionistica negli Stati Uniti, riducendo le possibilità di tagli aggressivi dei tassi da parte della Fed nel corso del ciclo.

Gli analisti prevedono un rafforzamento del dollaro in caso di vittoria di Trump e una pressione sui titoli obbligazionari.

Cosa sta accadendo in Cina

Dall’altra parte del mondo, in Cina, una conferenza stampa si concentrata sulle misure volte a sostenere il settore immobiliare del paese. Anche se, sostanzialmente non è riuscita ad entusiasmare il mercato: le autorità, in estrema sintesi, hanno confermato il loro impegno a rilanciare il mercato immobiliare. Ma non sono state fornite delle indicazioni aggiuntive sulle misure che intendono adottare. Lasciando a bocca asciutta la maggior parte degli operatori.

Lo yuan onshore ha invertito i guadagni iniziali e ha ceduto lo 0,05% a 7,1225 per dollaro, mentre la sua controparte offshore è salita di poco a 7,1358 per dollaro.

Jeff Zhang, analista azionario di Morningstar, ritiene che nella conferenza stampa di oggi siano state annunciate poche politiche incrementali per aumentare la domanda di immobili residenziali, poiché il ministro ha ribadito l’autonomia dei governi municipali nell’allentare le restrizioni agli acquisti.

Il dollaro australiano, spesso utilizzato come valuta sostitutiva dello yuan, ha guadagnato solo lo 0,2%, attestandosi a 0,66780 dollari, poiché la delusione proveniente dalla Cina ha compensato parte dei forti guadagni della valuta antipodea derivanti da un rapporto positivo sull’occupazione in patria.

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