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Due colossi rivali insieme per l’acciaio verde in Australia
Non accade spesso che due società che si fanno un’agguerrita concorrenza decidano di lavorare insieme su un progetto fortemente innovativo, ma è esattamente quello che i due più grandi colossi minerari australiani hanno deciso di fare. L’Australia è una nazione a vocazione fortemente mineraria: molte delle economie più grandi al mondo dipendono dalle sue esportazioni. In particolar modo, l’acciaio australiano è stata la commodity su cui si è retto il grande boom delle infrastrutture in Cina nel corso degli ultimi vent’anni. Questo è stato anche il centro di un discorso più ampio legato alla sostenibilità dell’economia del paese, dove gli effetti del cambiamento climatico si stanno facendo notare soprattutto in roghi fuori controllo sempre più grandi e frequenti.
Ora BHP Group e l’acerrima rivale Rio Tinto hanno deciso di lavorare insieme per un pionieristico progetto legato all’acciaio verde, un tema di cui si sente parlare molto in Europa dopo che una startup scandinava ha ricevuto un maxi-round di finanziamento per avviare la sua produzione. L’industria dell’acciaio ha bisogno di forni che lavorano a temperature altissime per poter estrarre il minerale di ferro dalle rocce e lavorarlo a caldo, in forma liquida. La spina dorsale di questo processo sono solitamente il carbone e il gas naturale, due combustibili che permettono di arrivare a generare queste temperature estremamente alte ma che al tempo stesso lo fanno emettendo una quantità molto elevata di CO2 nell’atmosfera.
Partnership celebrata da entrambi i lati
Simon Trott, CEO della divisione di Rio Tinto che si occupa di acciaio, ha sottolineato l’importanza del progetto per portare l’industria dell’acciaio nel futuro. Il nuovo stabilimento dovrebbe entrare in funzione nel 2027 e sarà una fonte di dati molto importante per capire quale sia l’impatto economico dei nuovi processi utilizzati. L’obiettivo è quello di arrivare alle alte temperature necessarie per la filiera dell’acciaio non più con i combustibili fossili, ma utilizzando idrogeno verde. Questo gas, ottenuto separando le molecole di acqua in idrogeno e ossigeno attraverso la somministrazione di energia rinnovabile, è totalmente privo di emissioni sia in fase di produzione che di combustione.
Attualmente il problema più grande non è la fattibilità tecnologica, ma quella economica. La produzione di idrogeno verde è infatti molto più costosa rispetto al carbone o al gas naturale, cosa che inevitabilmente finisce per pesare anche sul prezzo dell’acciaio e di tutti i prodotti realizzati con esso. Detto questo, le due società sono ottimiste sulla possibilità di poter abbassare i costi di produzione una volta che i livelli di produzione aumenteranno in maniera significativa. D’altronde non sembra esserci altra strada: l’acciaio e la sua filiera rappresentano l’8% delle emissioni di gas serra liberate ogni anno nell’atmosfera, per cui l’obiettivo di azzerare le emissioni sarà possibile solo puntando sull’acciaio verde.
Produzione commerciale negli anni ’30
Rio Tinto e BHP Group hanno già fatto sapere che l’obiettivo dell’impianto pilota non sarebbe quello di produrre una quantità massiccia di acciaio verde, quanto piuttosto di efficientare il processo impiegato e di rivelare quali siano le sfide da superare in ottica di arrivare a scalare la produzione. Per arrivare a una vera e propria produzione su scala commerciale, le due società ritengono che bisognerà attendere fino alla metà del prossimo decennio. Nel frattempo anche i costi di produzione dell’idrogeno verde dovrebbero diminuire significativamente, dando la possibilità alle aziende di abbassare i costi di produzione ed eventualmente portando i governi a sovvenzionare questo tipo di processo. Sarà interessante osservare quale sarà il delta di prezzo tra questo acciaio e quello prodotto in maniera convenzionale e come cambierà nel tempo.