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Eolico in UE: previsioni modeste, licenziamenti e downgrade
Il comparto eolico in Europa continuerà a soffrire nel 2024: questa è la previsione comune delle tre principali società del settore, che hanno divulgato oggi le loro prospettive per l’anno appena aperto. Non è una novità che il comparto sia in crisi: le difficoltà sono cresciute negli ultimi due anni, soprattutto a causa dei tassi d’interesse, dell’inflazione e dei problemi nella supply chain. I costi per la realizzazione degli impianti, soprattutto al netto degli interessi da riconoscere sui finanziamenti, sono aumentati ben oltre gli incentivi pubblici che vengono offerti nelle gare d’appalto. Al tempo stesso la domanda non sta decollando, malgrado l’importanza che l’UE dà alla transizione energetica.
In questo momento è molto difficile generare dei profitti nell’industria eolica, questo lo confermano tutti e tre i grandi player che si sono espressi oggi: Vestas, Siemens Energy e Orsted, che insieme rappresentano la quasi totalità delle pale eoliche prodotte e installate nell’Unione Europea. Anche se tutte e tre le società sono convinte che a lungo termine i fondamentali rimangano estremamente solidi, navigare tra le difficoltà del breve termine non si sta dimostrando facile. Soprattutto per Siemens Energy, che dopo vari progetti segnati da problemi ed enormi spese di manutenzione straordinaria si è ritrovata a chiedere un bailout al governo tedesco appena pochi mesi fa.
Aggiornate le previsioni per il 2024
Ad aprire le danze è stata Siemens Energy, che per il 2024 si attende nuovamente una forte perdita d’esercizio. La perdita sarà resa particolarmente pesante dai 2,2 miliardi di euro di costi straordinari per rimediare ai difetti di alcuni modelli onshore, ma anche al netto di questo ci si aspetta comunque che il bilancio sarà negativo. Le cose dovrebbero poi migliorare nel 2025, ma è ancora presto per poterlo dire. Il CEO Christina Bruch fa anche notare che in questo momento l’UE rappresenta solo una piccola parte dell’aumento di capacità eolica installata nel mondo e che il ritmo attuale non consentirebbe di raggiungere l’obiettivo di triplicare la produzione di energia rinnovabile entro il 2030, come accordato dai paesi delle Nazioni Unite in occasione del COP 28.
Henrik Andersen, CEO di Vestas, descrive la situazione come uno stallo. Da una parte i clienti sono disposti a pagare prezzi che non permettono alla società di mantenere dei margini positivi; dall’altra i fornitori non rendono abbastanza negoziabili i prezzi da poter migliorare la situazione. Quadro in netto peggioramento anche per Orsted, il più grande produttore europeo di pale eoliche. A seguito di ritardi e aumenti dei costi nei progetti già sotto contratto negli Stati Uniti, la società ha annunciato di voler affrontare un piano di revisione dei costi e di voler tagliare 600-800 dipendenti nelle prossime settimane. Standard & Poor’s ha da poco anche tagliato il rating di Orsted a BBB.
Equinor prova a resistere
Tra le società che si occupano esclusivamente di energia eolica non c’è molto ottimismo, ma l’unica scelta è combattere con il coltello fra i denti. C’è anche però chi potrebbe farne a meno e decide comunque di lottare, come il colosso norvegese Equinor. La multinazionale del gas e del petrolio rimane ancorata alla sua visione di lungo termine per diversificare le fonti di ricavi, anche a discapito dei problemi che il settore manifesta in questo momento. L’azienda ha appena dovuto riconoscere nel bilancio del Q4 2023 una minusvalenza da €300 milioni relativa ai progetti di sviluppo negli Stati Uniti, bilanciata però da margini ottimi sui combustibili fossili. Equinor intende ottenere margini del 4-8% sui suoi investimenti in rinnovabili, equivalenti ad appena una frazione di quello che gli azionisti sono abituati ad aspettarsi dagli investimenti in gas naturale e petrolio.