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Il 75% del petrolio russo evita il tetto dei prezzi del G7
Nella notte di domenica, il Financial Times ha pubblicato un report molto atteso sul petrolio russo. E in questo spunto si spiega come il petrolio russo, negli ultimi mesi, sia riuscito ad arginare sempre meglio le sanzioni Occidentali. La principale di queste è il tetto ai prezzi, introdotto prima di tutto dal G7 e poi adottato da tutti i paesi dell’Unione Europea. La speranza era che i ricavi di Mosca sarebbero stati colpiti da questa misura e che le società petrolifere russe non sarebbero riuscite a evadere le sanzioni, soprattutto grazie alla forza del sistema finanziario Occidentale.
Le navi petrolifere, per poter attraccare nei porti con la loro merce, hanno bisogno di essere assicurate. E la maggior parte delle grandi società mondiali che si occupano di assicurare i cargo sono americane o europee, ragion per cui non è facile riuscire a gestire in maniera efficiente le esportazioni senza l’appoggio occidentale. Ma la Russia, in qualche modo, è riuscita a fare a meno di tutto questo. Il risultato, secondo il report del Financial Times, è che nel corso del 2023 i ricavi del Cremlino provenienti dalle esportazioni di petrolio saranno di $15 miliardi in più rispetto a quanto si era previsto con l’introduzione delle sanzioni.
Crescono i prezzi, scendono gli sconti
La stessa Ucraina si trova a fare i conti con il petrolio russo e a notare come la situazione locale del settore energetico stia migliorando notevolmente. La Kyiv School of Economics riporta che lo sconto praticato sul petrolio russo sta diminuendo rapidamente. Dopo l’introduzione delle sanzioni Occidentali, la Russia ha iniziato ad avere meno mercato per il proprio petrolio; essenzialmente Cina e India sono state le uniche due grandi economie a continuare a importare grandi quantità di petrolio russo, ma solo a una condizione: quella di pagare meno. Così, nell’ultimo anno e mezzo, il petrolio venduto sui mercati finanziari russi ha visto prezzi più bassi rispetto a tutte le altre piazze mondiali. Ma questo spread, dicono gli analisti, si riduce sempre di più.
I ricavi provenienti da gas e petrolio rappresentano il 30% del budget annuale del governo russo, e sono essenziali per finanziare lo sforzo bellico in Ucraina. Il fatto che la nazione stia riuscendo a ottenere prezzi più alti per il suo petrolio è anche alla base della fattibilità economica della decisione del Cremlino, che di recente ha annunciato un aumento importante della spesa militare per il budget del 2024. Per questo gli sforzi occidentali rimangono elevati per arginare la situazione, ma sembra che grazie ai suoi alleati Mosca riesca sempre in qualche modo ad aggirare le sanzioni.
Il ruolo determinante della dark fleet
È stato il frutto di un’indagine del Wall Street Journal di alcuni mesi fa: la diffusione della conoscenza riguardante la dark fleet, la flotta di navi petroliere che la Russia starebbe utilizzando per esportare petrolio senza dover utilizzare gli assicuratori occidentali. Secondo il WSJ, si tratterebbe di centinaia di navi che battono bandiere greche, arabe, indiane e soprattutto turche. Questi operatori riuscirebbero a evadere le sanzioni, rendendo difficile tracciare la provenienza del petrolio e talvolta assicurandosi presso società che hanno sede in nazioni alleate di Mosca.
L’Unione Europea ha anche introdotto delle sanzioni per non ammettere nei propri porti qualunque nave che abbia effettuato scambi da nave a nave con imbarcazioni russe, per evitare che questo metodo venga utilizzato per aggirare le sanzioni. Ma continua a essere molto difficile tracciare la provenienza del petrolio, e Mosca investe sempre più risorse nei suoi sistemi di elusione. Nel frattempo Mosca ha anche proibito l’export di benzina e diesel, proprio perché il prezzo dei combustibili sul mercato interno si sta facendo troppo caro per i cittadini e le imprese locali. Un chiaro simbolo di come il barile russo sia sempre più caro, a discapito del tetto di 60$ al barile.