News

Inflazione spinge i Paesi Bassi a un bivio sul fotovoltaico

Published

on

I Paesi Bassi sono considerati un esempio di sostenibilità per l’Europa: circa il 50% dell’elettricità prodotta nella nazione proviene da centrali a gas naturale che gradualmente vengono spente, e l’altra metà da fonti rinnovabili. Soprattutto dai grandi progetti di energia eolica che le amministrazioni, una dopo l’altra, hanno coltivato nel Mare del Nord per approfittare dei forti e continui venti che battono il tratto di mare al largo delle coste olandesi. Ora, però, i conti non tornano. Il Ministero degli Affari Economici ha ricalcolato il costo necessario per mantenere in piedi l’infrastruttura olandese legata all’eolico offshore, scoprendo che l’impatto dei tassi d’interesse e del tasso d’inflazione vale quasi €10 miliardi nel corso i 25 anni.

Al momento il governo non ha ancora annunciato alcun tipo di provvedimento in materia, ma i nuovi conti fanno pensare che il futuro sviluppo dei progetti fotovoltaici nei Paesi Bassi sia di fronte a un bivio: mantenere più attive le centrali a gas naturale per risparmiare, oppure fare i conti con un sistema di incentivi alla sostenibilità che diventa sempre più costoso. Nel frattempo, l’Unione Europea ha accordato l’approvazione di nuovi criteri su come debbano essere formulati gli incentivi e le novità potrebbero andare a incidere ancora di più sui numeri olandesi.

Spesso i governi finanziano l’energia rinnovabile con i green bonds, esponendosi all’andamento dei tassi d’interesse

Il conto tra inflazione e tassi d’interesse

Il sistema olandese per lo sviluppo dell’energia sostenibile prevede che il governo metta all’asta delle concessioni per costruire progetti eolici lungo un tratto di mare. Si tratta solitamente di aree a 50-100 km dalla costa, dove i venti sono forti e l’impatto sulla fauna marina non è troppo forte. La società che si aggiudica l’asta non riceve direttamente un pagamento fisso per kilowatt, come avviene in altri paesi. Piuttosto, il governo si assicura di pagare di tasca propria la costruzione e il mantenimento della rete elettrica necessaria per collegare le turbine offshore con la rete elettrica principale. Visto il basso costo marginale di produzione dell’energia fotovoltaica, un progetto è quasi certamente garantito di avere una buona redditività una volta che questo costo è coperto dallo Stato.

Secondo le proiezioni iniziali, il costo di occuparsi della rete offshore tra il 2037 e il 2052 avrebbe dovuto essere di 26 miliardi di euro. Le nuove proiezioni riviste al netto dell’inflazione e dei tassi d’interesse più alti, invece, parlano di €35.5 miliardi. Un aumento di oltre il 30%, che lascia dubbi sul fatto che possa valere la pena di spendere così tanto di più rispetto alle quotazioni medie storiche del gas naturale. Il governo paga direttamente la società nazionale di utilities TenneT per occuparsi dei collegamenti con le pale eoliche offshore, società che tra l’altro potrebbe essere presto divisa tra la componente olandese e quella tedesca: a quel punto, i costi inciderebbero solo sul bilancio dei Paesi Bassi.

Anche Germania, Regno Unito e Francia sono grandi investitori sul fotovoltaico offshore

Non aiutano le novità europee

Proprio questa mattina, i Ministri dell’Unione Europea hanno raggiunto un nuovo accordo su come debbano essere gestiti gli incentivi all’energia rinnovabile. La notizia arriva dopo un lungo disaccordo tra Parigi e Berlino, ciascuna preoccupata che la controparte potesse trarne vantaggio per favorire le imprese nazionali. Alla fine si è deciso che i governi potranno utilizzare esclusivamente i CFD per sostenere la produzione di energia rinnovabile.

I CFD (Contracts For Difference) sono ampiamente utilizzati nel mondo dell’energia sostenibile. Un governo assicura a un’impresa privata il pagamento di un prezzo fisso a lungo termine per ogni kilowatt di energia prodotto: quando il prezzo di mercato è più basso, il governo paga la differenza all’impresa; quando il prezzo di mercato è più alto, è l’impresa che riconosce la differenza al governo. Imparando dal fallimento delle aste in UK, però, bisognerà tenere conto dell’inflazione e dei tassi d’interesse per assicurarsi che queste aste non vadano deserte.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

Trending

Exit mobile version