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Petrolio, calma sui mercati: le scorte USA aumentano oltre le attese e la geopolitica si tranquillizza
Rimane calma piatta sul mercato del petrolio, con il prezzo del barile che rimane intorno a 84,70$ per il Brent e 80,54$ per il WTI. Rimane una calma piatta sul mercato anche a prescindere dalle tante fonti di incertezza: la guerra in Ucraina, le tensioni tra Israele e Iran e la possibilità che l’OPEC possa continuare ad abbassare artificialmente i livelli di produzione. Attualmente la quotazione è arrivata al minimo delle ultime 7 settimane, grazie a tanti piccoli fattori che in questo momento danno fiducia ai mercati. Il principale è stato la pubblicazione del dato sulle scorte di petrolio negli Stati Uniti, che si sono rivelate ben superiori alle attese degli analisti. I magazzini americani, la scorsa settimana, hanno visto aumentare di molto la quantità di petrolio che ospitano: un aumento di 7,3 milioni di barili, contro il calo di 1,1 milioni previsto dagli analisti e l’aumento di 4,9 milioni di barili -la previsione più rosea- previsto dall’American Petroleum Institute.
Se fino a poche settimane fa c’erano degli analisti che prevedevano prezzi a 100$ entro la fine dell’estate, in questo momento sembra che le cose si stiano tranquillizzando. Questo non lo si nota soltanto dalla quotazione attuale del barile, ma anche dal comportamento del mercato dei derivati. In questo momento il mercato delle opzioni sui futures sul petrolio mostra una volatilità implicita inferiore al 40%. La “volatilità implicita” è una metrica che misura la volatilità attesa dai mercati in base alla scadenza delle opzioni e in base al prezzo a cui vengono negoziate.
Calano i rischi in Medio Oriente e aumentano le scorte
I livelli di scorte americane sono stati indubbiamente il principale fattore di sorpresa di questa settimana, anche considerando che gli USA giocano un ruolo fondamentale nel morigerare il mercato al di là delle decisioni dei paesi OPEC. Questa è una delle variabili che certamente hanno favorito il calo dei prezzi, ma tutti gli analisti citano in causa anche la situazione in Medio Oriente. Le tensioni hanno toccato l’apice a metà di aprile, quando si stava aspettando per scoprire se Israele avrebbe risposto con una forza maggiore all’attacco di missili e droni iraniani che ha colpito il territorio nazionale.
Non soltanto la risposta israeliana non è arrivata, ma le cose sono migliorate sensibilmente per quanto riguarda la percezione del rischio geopolitico. Al momento sembra che Israele e Hamas siano vicini a siglare l’accordo per una tregua, che sarebbe fortemente ribassista per quanto riguarda il prezzo del petrolio. Dopo la pubblicazione dei dati sul lavoro negli Stati Uniti di stamattina, che mostrano un rallentamento dell’occupazione, potrebbe anche affacciarsi la possibilità che i mercati scontino attese inferiori di domanda da parte della più grande economia mondiale. Al tempo stesso, mancano dei segnali del fatto che l’offerta potrebbe ridursi ulteriormente.
Tagli dell’OPEC compensati dalla domanda
Lo scorso anno i paesi OPEC+ hanno iniziato a ridurre di proposito l’offerta di petrolio nel tentativo di sostenere dei livelli di prezzo più elevati. Questo ha messo in moto una serie di aggiustamenti, il primo dei quali è l’aumento della produzione nei paesi non-OPEC, che hanno parzialmente compensato questa decisione: i tagli dell’OPEC+ hanno ridotto del 3,5% l’offerta mondiale di petrolio, ma Brasile e Stati Uniti insieme sono riusciti a compensare circa la metà dell’offerta mancante sul mercato. Il resto lo ha fatto la Cina, che mantiene un tasso di crescita nettamente inferiore a quello del pre-pandemia e di conseguenza ha cambiato la traiettoria prevista per l’aumento della domanda di petrolio nel corso del 2023-24.