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Accordo sulla plastica mondiale in pericolo: il tempo stringe e le posizioni sono lontane
Il summit di Ottawa, guidato dalle Nazioni Unite, sta prendendo vita. Migliaia di rappresentanti dei paesi coinvolti, lobbysti, esperti e ambientalisti sono riuniti nella capitale canadese per un motivo: mettere le basi per un accordo mondiale sulla plastica. Lo scorso anno c’erano già stati dei tentativi per raggiungere un accordo sul tema, nella speranza che i paesi del mondo potessero firmare un impegno comune per utilizzarne di meno e soprattutto per vietarne l’utilizzo in certi tipi di packaging. Le Nazioni Unite hanno lavorato per tutto il 2023, attraverso una lunga serie di riunioni, nella speranza di trovare una bozza di accordo da presentare al COP 28. Lo scorso anno questi tentativi sono falliti miseramente per via dell’opposizione dei paesi produttori di petrolio, ma l’intenzione è riprovarci quest’anno.
La produzione e lo smaltimento della plastica, secondo i dati dell’OECD, la produzione di plastica nel 2019 ha prodotto emissioni inquinanti per 1,9 miliardi di tonnellate, una gran parte delle quali dal processo di raffinazione del petrolio che permette di ottenere questo materiale. Ci si aspetta che la situazione vada ulteriormente peggiorando nel corso del tempo: è previsto che per il 2060 le emissioni inquinanti arrivino a 4,3 miliardi di tonnellate, a meno che non si intervenga in modo drastico prima. Oltre al problema delle emissioni inquinanti, un altro grave effetto ambientale della plastica è lo smaltimento: solo una piccola parte viene riciclata o riutilizzata, mentre la gran parte finisce nelle discariche o ancor peggio negli oceani.
Fin dall’inizio, l’opposizione è fortissima
Malgrado le migliori intenzioni di molti paesi, la ricerca di un accordo sembra incontrare più ostacoli che segnali positivi. Le aziende del settore petrolchimico e i paesi OPEC, Russia inclusa, sono fortemente contrari a qualunque misura per arginare la produzione di plastica. Questo è uno scenario già visto lo scorso anno, ed è esattamente il motivo per cui un accordo non è ancora stato trovato. Dall’altra parte è fortissima anche la pressione degli ambientalisti, che sono arrivati a migliaia e hanno usato la tecnica del “die-in” -fingersi morti- per ostacolare il passaggio nelle vie principali dove i rappresentanti dei governi di tutto il mondo si stanno incontrando.
Inger Andersen, direttore esecutivo del programma ambientale delle Nazioni Unite, ha voluto inaugurare i dialoghi ricordando ai paesi arrivati che il tempo stringe per trovare un accordo. Il presidente del congresso ha deciso di dividere i paesi arrivati all’incontro in sette gruppi di lavoro, cercando di risolvere le divisioni su due temi essenziali: che cosa può essere stabilito all’interno dell’accordo comune e come fare in modo che sia implementato. Di scadenze, si inizierà a parlare più avanti. A Nairobi, l’ultima volta che le Nazioni Unite hanno organizzato un incontro sull’accordo mondiale per la plastica, 130 paesi avevano dato il loro supporto a una prima bozza poi scartata per via delle ingerenze dei paesi produttori di petrolio.
Russia, Cina e Arabia Saudita pronte a fare muro
Le tre economie più grandi che l’ultima volta si sono scagliate contro l’accordo -insieme a una serie di altri paesi OPEC- sono Russia, Cina e Arabia Saudita. I paesi produttori di plastica e di petrolio vorrebbero che si guardasse a una soluzione legata al riciclo anziché al calo della produzione di plastica o al divieto di produrne alcuni tipi largamente usati in commercio. Il riciclo della plastica, però, è più mito che realtà e le Nazioni Unite lo sanno bene: meno del 10% della plastica prodotta oggi nel mondo viene riciclata, mentre la gran parte continua a essere bruciata per produrre energia o buttata via -talvolta nelle discariche, talvolta in mare-. Cina, Russia e Arabia Saudita chiedono che l’accordo si limiti a organizzare il tracciamento della produzione e dell’uso della plastica, ma senza intervenire sull’uso. La comunità scientifica che presenzia, invece, sta chiedendo a gran voce l’introduzione di un limite chiaro sulla produzione.