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Il piano per salvare il peso argentino costa troppo? Allarme degli analisti

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Un doppio fronte per il peso argentino, come è stato efficacemente descritto da Bloomberg. Doppio fronte perché ora il governo argentino sta cercando – e tra poco ricorrerà il primo mese dall’avvio dell’iniziativa – di tutelare il peso sia al cambio ufficiale, sia al cambio non ufficiale o di strada. Un tentativo ambizioso, che però sta riportando le riserve di valuta estera a livelli che non si vedevano da febbraio. Ma è davvero un problema? E i timori dei mercati sul programma – per qualcuno eccessivamente ambizioso – sono fondati?

Una mossa che avrebbe anche l’obiettivo di continuare a combattere un’inflazione che è scesa in modo significativo, ma che viaggia comunque a livelli in tripla cifra, nonostante la cura in forma di salasso, che però i mercati almeno in una prima battuta avevano apprezzato. Ora gli occhi sono puntati sulle riserve, principalmente in dollari, della banca centrale argentina. Si sono bruciati altri 2 miliardi di dollari – e qualcuno inizia a dubitare che quanto rimane sia sufficiente per fare fronte agli importanti pagamenti per bond in scadenza che l’Argentina dovrà affrontare già l’anno prossimo.

Le tutele costano: riserve estere argentine mai così in basso da febbraio

Le tutele hanno un costo – e su questo, anche per chi dovesse limitarsi a un’analisi scolastica della situazione argentina – non ci sono dubbi. Ma partiamo dai numeri: secondo i dati ufficiali il trend – fino a aprile in positivo – di aumento delle riserve estere nelle casse della banca centrale argentina, si è invertito. A contribuire al calo, l’avvio a partire da metà luglio di un programma ambizioso di tutela del valore del peso anche sulle piazze non ufficiali.

Tutele che appunto costano e che avrebbero portato complessivamente le riserve a scendere di 1,9 miliardi di dollari in totale. Secondo i dati di Bloomberg saremmo ora intorno a 26,4 miliardi di dollari, livelli che appunto non si vedevano da febbraio 2024 e che però sono comunque superiori a quando Javier Milei è arrivato alla presidenza. Il giorno dell’insediamento, la Banca Centrale Argentina poteva contare infatti su circa 21 miliardi di dollari di riserve.

Perché non dovrebbero bastare? Perché per l’anno prossimo sono previsti in scadenza bond per 9,4 miliardi di dollari, una situazione che rende prezioso ogni dollaro che è in cassa e che rende il programma di Javier Milei – che è appunto di tutela sperticata del peso – qualcosa che dovrà necessariamente funzionare sul breve, non potendosi permettere l’Argentina di mettere sul piatto della bilancia un paio di miliardi ogni mese.

Interventi dal presidente pro-mercato: un problema di fiducia?

L’altra questione è l’interventismo di una presidenza che si era presentata ai mercati come estremamente a favore delle forze dei mercati stessi, volendo limitare se non eliminare ogni tipo di intervento a mercato da parte delle autorità pubbliche.

E sul tema, il governo stesso avrebbe comunicato che in realtà a fare la differenza nelle riserve nel corso dell’ultimo mese sarebbero stati saldi del debito e anche import energetici. La lettura di Bloomberg e di diversi specialisti potrebbe essere dunque, secondo il governo argentino, errata.

Nel frattempo però il tema che ci accompagnerà verso il prossimo anno sarà la consistenza delle riserve argentine e se queste siano o meno sufficienti per ripagare debiti di una certa sostanza.

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