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Cina impone limiti ai broker, ancora mosse a difesa di CNY
Il governo cinese spinge per una riduzione del trading proprietario da parte dei broker. La notizia, che è stata confermata da fonti di Bloomberg, racconta dell’ennesima misura della Repubblica Popolare Cinese a tutela della valuta nazionale, che da agosto viaggia su minimi che non si vedevano da 16 anni. Sempre secondo quanto riportato dal quotidiano statunitense, non sono stati indicati livelli di trading massimi per ogni desk proprietario.
La mossa ha già avuto delle ripercussioni sul mercato interno, con i volumi che sono in ritirata ormai da una settimana. Non è chiaro se questa mossa sarà però in grado di offrire tutele effettive ad un prezzo dello yuan che continuerà ad essere sotto pressione all’aumentare del differenziale dei tassi di interesse tra Pechino e le altre principali economie, rappresentative delle valute più forti sulle piazze internazionali. Situazione chiara nella Repubblica Popolare, con il governo che ha già introdotto diverse misure a tutela del cambio della valuta nazionale.
Repubblica Popolare a tutela dello yuan, ancora una volta
La Cina ha implementato ulteriori misure, per quanto informali, a tutela della divisa nazionale. Secondo fonti che Bloomberg ha mantenuto anonime, il governo avrebbe chiesto alle società che fanno trading forex sullo yuan di ridurre i volumi di scambio, senza che però siano stati forniti dei limiti chiari da rispettare. Diverse delle società che operano su questo mercato hanno già ridotto i volumi di scambio sullo yuan, portandoli quasi a zero. La misura è l’ennesima di una serie di operazioni spot e non organiche a tutela del valore dello yuan, mai così basso dal 2007. La tenuta di CNY è fonte di preoccupazione tanto per Pechino quanto invece per gli investitori sulle piazze cinesi, che ritengono la debolezza della divisa nazionale un’ulteriore segnale di problemi gravi per la tenuta dell’economia cinese.
Problemi per la tenuta che sono – a loro volta – carburante per decisioni di politica monetaria che con ogni probabilità aumenteranno le pressioni ribassiste sullo yuan.
La cura di Pechino per la propria economia può essere veleno per lo yuan
La lettura più lineare di quanto sta avvenendo in Cina si attende misure di stimolo per l’economia che comprendono un allentamento della politica monetaria. Allentamento della politica monetaria ritenuto necessario per dare ossigeno ad un’economia in sofferenza da tempo e che tramite misure spot non è ancora riuscita a invertire né narrativa né trend.
Tali misure però, che aumenteranno il differenziale tra Pechino, Washington e Francoforte eserciteranno ulteriore pressione sullo yuan, che si trova già in difficoltà importante e che si teme possa andare a toccare – nelle prossime settimane – livelli ancora più bassi di quelli attuali.
PBOC in un difficile gioco di equilibri
Le crisi sistemiche rendono ogni possibile coperta troppo corta. People’s Bank of China sarà costretta a ricercare equilibri che – a seconda dell’intensità della crisi del sistema produttivo cinese – potrebbero risultare impossibili.
Da un lato c’è infatti il bisogno di stimoli all’economia, dall’altro preoccupazione per gli effetti deleteri che certi stimoli avranno sullo yuan. E se sul fronte interno si potranno imporre limiti a broker e imprese – e più avanti anche controlli sulla circolazione dei capitali da e per l’estero – sarà difficile contenere eventuali pressioni ribassiste sulle piazze internazionali.
La chiave di lettura più importante da qui a fine 2023 verrà però fornita dalle decisioni di un’altra banca centrale. Sarà Washington a decidere per un altro rialzo o meno di 25 punti base, che finirebbero per aumentare ulteriormente la divergenza tra i tassi praticati negli USA e quelli praticati in Cina. Una decisione che potrebbe scatenare altri venti ribassisti contro lo yuan.