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Inflazione così così. Jerome Powell dovrà guardare a altro
I dati recenti sull’inflazione USA certificano quanto sui mercati sta maturando da tempo: per rapida o meno rapida che sia, la corsa a battere l’inflazione è sul binario giusto. Il dato di settembre diffuso poche ore fa non cambierà la traiettoria della Federal Reserve, che a meno di dati sconvolgenti da altri fronti dovrà preoccuparsi di problemi più pressanti, più attuali e potenzialmente più dannosi per l’altra metà del suo mandato, quella che impone all’istituto di Washington di perseguire la più alta occupazione possibile.
A preoccupare, se si dovesse guardare soltanto ai dati che arrivano da inflazione e mondo del lavoro, è certamente la prima a offrire maggiori spunti di preoccupazione. Al tempo stesso però, ci sono situazioni non strettamente economiche, sulle quali Fed non ha alcun tipo di potere, ma delle quali Jerome Powell dovrà nondimeno tenere conto. Tra i problemi ci sono i recenti sviluppi geopolitici e il rischio che il petrolio dia il colpo finale a un’economia che appare piuttosto barcollante.
Inflazione che non stupisce, ora Jerome Powell dovrà pensare a altro
Jerome Powell, dopo i dati del 12 ottobre sull’inflazione, dovrà occuparsi necessariamente di altro. Partiamo però dal principio, quindi da cosa si può desumere dalle ultime uscite pubbliche di Powell e dei governatori delle divisioni locali di Federal Reserve. Il mandato principale di Fed rimane quello della stabilità dei prezzi, un mandato al quale può essere sacrificato tutto o quasi tutto. Quasi tutto, perché come confermato più volte dallo stesso Jay Powell ci si fermerà prima che si possa rompere qualcosa.
Nel gergo freddo dei banchieri centrali, questo significa fino a quando qualcuno dei fondamentali dell’economia mostri stress significativo e la necessità pertanto di Federal Reserve di tornare sui suoi passi, fosse anche soltanto in termini di interruzione degli ulteriori rialzi. Con il dato dell’inflazione di oggi riteniamo che questo momento sia arrivato. Sono stati sorprendenti e proprio per questo – di fronte ad altre e più pressanti questioni – riteniamo che Washington possano maturare altri tipi di decisioni.
La geopolitica non aiuta
Il conflitto in Israele potrebbe non avere, nei grandi numeri, un impatto diretto sull’economia statunitense in senso negativo. Tuttavia è segnale del fatto che la situazione sul piano geopolitico si fa sempre più tesa, che il caso ucraino non era appunto un caso e che le cose potrebbero peggiorare rapidamente proprio in quelle aree del mondo fondamentali per l’approvvigionamento di greggio e gas, e dunque di energia.
Certamente Fed non ha tra i mandati quello di garantire energia e commodities energetiche a basso costo, ma dovrà tenere conto degli effetti che un prezzo al barile già alto – e che potrebbe alzarsi ulteriormente nel caso di espansione del conflitto, avrà sulle aziende. L’intera rete economica soffre già da tempo una situazione non ottimale sul piano energetico e il timore che questa sia la goccia, di greggio, che farà traboccare il vaso, non è esattamente campata in aria.
I mercati nell’incertezza più totale
Al netto della classica volatilità che storicamente accompagna dati come quello dell’inflazione, i mercati rimangono comunque in uno stato di shock e di potenziale reattività. Bisognerà, per i prossimi giorni, guardare alla pagina della politica internazionale più che a quella dei mercati sulle principali testate nazionali e internazionali.
E per il resto bisognerà guardare al mercato dei futures per cercare di capire come potrebbero muoversi bond, materie prime e azionario – tre mercati chiaramente interconnessi ma che nelle ultime settimane hanno, più volte, cercato il decoupling anche oltre qualunque razionalità. Sì, sarà facile da dire, ma la situazione è complessa. E il dato sull’inflazione di oggi, leggermente superiore alle aspettative ma non troppo, non ha certamente aiutato a chiarirlo.