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Mosca: nuovo asse commerciale con Pechino. Export su del 300%

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L’asse commerciale tra Mosca e Pechino è più forte che mai. Il recente forum sull’iniziativa Belt&Road – che data l’assenza dei paesi europei si è trasformato in una convention del sud del mondo – è stato la ciliegina sulla torta di rapporti che sono migliorati grandemente nel corso degli ultimi mesi. A scanso di ogni equivoco è certamente bene ricordare che il rafforzamento dei rapporti commerciali tra i due paesi non è frutto di iniziative spontanee, ma più del cavalcare i nuovi equilibri commerciali mondiali, nei quali il semi-embargo europeo e americano stanno giocando un ruolo di enorme importanza.

Commercio tra i due paesi mai così alto – per quanto ci siano dubbi leciti su quanto questi livelli siano forieri di allineamento anche politico, qualcosa che però è più materia per gli analisti politici che per quelli economici. Dall’inizio 2022 la Cina ha quasi triplicato la quota di export russi che acquista.

Un nuovo asse commerciale

Russia e Cina sempre più vicine, almeno commercialmente

I dati sono chiari: una parte considerevole delle materie prime e (in misura minore) delle merci russe che arrivavano in Europa ora prendono la destinazione della Cina, con Pechino che occupa oggi circa il 30% degli export totali di Mosca. Una somma importante, ma lontana da quanto avviene in Nord America ad esempio tra Canada e USA (circa il 50%) o anche tra Messico e USA stessi. Il motivo di questo riavvicinamento, che in diversi ritengono anche politico, è tutto nel semi-embargo dal quale è stata colpita la Russia in seguito all’invasione dell’Ucraina, embargo che ha costretto Mosca a trovare nuovi acquirenti per le proprie materie prime.

L’occasione è stata ghiotta per la Cina, che così ha potuto accedere a materie prime a costi inferiori a quelli di mercati – e ai costi in condizione di normalità – sfruttando questioni politiche che hanno finito per punire la Russia. Nel frattempo aumentano anche gli export della Cina verso la Russia, mentre per Pechino rimangono al palo e anzi calano verso il cosiddetto occidente, falcidiato da domanda bassa e tuttora in calo. Nel complesso, per riassumere la situazione, Russia e Cina hanno occupato l’un l’altro il ruolo che ora almeno parzialmente occupato dall’Europa, per un asset che per il momento, almeno sul fronte economico, appare più che per motivi di convenienza che per sopravvenuti avvicinamenti di carattere politico.

Materie prime, ma anche agricoltura

Crescono anche gli scambi in yuan

C’è da analizzare anche il nuovo trend di utilizzo dello Yuan per gli scambi tra i due paesi: il commercio di petrolio, carbone e anche di metalli da Mosca a Pechino avviene appunto tramite l’utilizzo della divisa nazionale dalla Repubblica Popolare. Scambi che però non sembrerebbero avere la capacità di sostenere un valore dello Yuan in caduta libera sulle piazze internazionali, nonostante i diversi interventi della Banca Centrale cinese a tutela proprio del valore di scambio.

Prima di lanciarsi in preoccupazioni per lo status futuro del dollaro e della possibilità che due paesi ostili a Washington e all’Europa diventino effettivamente un asse, sarà da verificare la situazione una volta che, o forse sarebbe meglio dire se mai si tornerà a una situazione di normalità. Situazione di normalità che renderebbe meno allettanti le commodities russe per i portafogli cinesi, così come renderebbe meno interessante lo Yuan per Mosca.

L’evoluzione però c’è, è evidente dai dati e racconta di una Russia che, pur rimettendoci economicamente, è riuscita a trovare altri sbocchi per le proprie merci da export. Su quanto questo sia sostenibile per Mosca, parleranno i dati sul PIL, sulla bilancia commerciale e più generalmente sull’andamento dell’economia russa. Il rischio concreto è che il prezzo, per Mosca, diventi troppo alto da pagare.

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