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OPEC+ rimanda il meeting, il prezzo del barile scende
Per chi segue il mercato del petrolio, il grande evento di questa settimana avrebbe dovuto essere la riunione dell’OPEC+. Sono già circolate diverse indiscrezioni, tra cui l’ipotesi di un’estensione dei tagli alla produzione che Russia e Arabia Saudita stanno praticando già dall’estate. L’attesa è però destinata a continuare: il cartello delle nazioni esportatrici di petrolio ha deciso di rimandare la riunione di quattro giorni. Anche se l’Organizzazione non ha voluto divulgare pubblicamente il motivo di questa decisione, delle fonti vicine ai fatti hanno riportato alla stampa che il motivo siano dei disaccordi interni. Nello specifico, sembra che le nazioni OPEC+ non siano d’accordo sulla distribuzione delle quote di produzione per il 2024.
La riunione di fine anno è sempre una delle più attese, dal momento che qui vengono discusse le politiche di produzione per l’anno successivo. I mercati hanno interpretato in modo positivo queste notizie, pensando che probabilmente alcune nazioni vorranno vedere aumentata la propria quota di produzione. Il prezzo del barile è sceso di 3$ in risposta a queste notizie, prima della chiusura del mercato per il fine settimana. Secondo gli analisti è stato premiante anche il fatto che Hamas abbia rilasciato alcuni ostaggi d’Israele, diminuendo il premio per il rischio geopolitico.
Arabia Saudita contro tutti
La discussione sui livelli di produzione, secondo le fonti, sarebbe nata dalla volontà dell’Arabia Saudita di ridurre la produzione ancora oltre i già bassi livelli attuali. Questo con l’obiettivo di mantenere alti i prezzi e i margini, una scelta coerente con la linea che l’Arabia Saudita ha sempre seguito nel post-pandemia. Al tempo stesso ci sono altri membri in disaccordo con questa decisione, soprattutto Russia e Nigeria. La Russia ha bisogno dei flussi di cassa del settore petrolifero per poter finanziare il proprio sforzo bellico, e ha il limite di dover sostenere un tetto di prezzo di 60$ al barile per le esportazioni dirette verso i paesi del G7. La Nigeria, invece, si sta sforzando più che mai per trovare partner internazionali che vogliano investire sull’estrazione di petrolio nel paese e sta spingendo per una politica di aumento della produzione.
L’Angola e la Nigeria sono attualmente le uniche due nazioni che attraverso dei rappresentanti ufficiali hanno dichiarato di voler aumentare la loro produzione di petrolio. Ci sono anche dei dubbi legati a Venezuela e Iran, due nazioni che stanno cercando di ripristinare i loro livelli di output in seguito alla rimozione di importanti sanzioni da parte dell’amministrazione Biden. Anche se entrambe stanno facendo molta fatica a ricominciare a immettere petrolio sui mercati internazionali, è possibile che investimenti dall’estero velocizzino il raggiungimento di questo obiettivo già nel corso del 2024.
Il barile della discordia
Il fatto che il prezzo del barile sia sceso in seguito al rinvio del meeting dell’OPEC+ segue altre occasioni in cui il cartello delle nazioni esportatrici ha visto disordini nascere al suo interno. Solitamente quando il cartello è molto allineato e organizzato finisce per avere più potere nell’influenzare l’offerta mondiale di petrolio. La speranza delle nazioni importatrici come l’Italia è che la spinta di alcuni paesi convinca l’Arabia Saudita a non abbassare ulteriormente i livelli di produzione, e magari a cancellare le politiche di tagli volontari all’attività estrattiva.
In ogni caso, una delle fonti anonime che hanno parlato con Reuters ha evidenziato che ci sarebbe una probabilità del 99% di raggiungere un accordo all’interno dell’OPEC+ prima della riunione del 30 novembre. Gli analisti per ora rimangono dell’idea che prevarrà un compromesso: l’ipotesi di Wall Street è che si continui sugli attuali livelli di estrazione almeno fino a marzo.