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Yen: bruciati altri 20 miliardi da BoJ? I dati parlano
La questione yen continua a tenere banco. Il crollo del dollaro nei confronti della divisa giapponese, in concomitanza con la lettura inferiore alle aspettative dei dati CPI USA sembrerebbe stato favorito dall’ennesimo e segreto intervento da parte delle massime autorità monetarie del paese. Un 3% di spostamento a favore di JPY non giustificato da fondamentali che pur si stavano spostando verso un contesto molto più favorevole per un taglio dei tassi negli Stati Uniti.
Tutto questo mentre Masato Kanda, ancora venerdì, si è rifiutato di confermare l’intervento. Un intervento certamente sui generis, perché ha cercato di cavalcare un’onda che era stata creata appunto da dati macro al di fuori delle aspettative. Un’altra settimana fitta di misteri – che rendono ancora più di difficile comprensione l’attuale situazione di JPY, che rimane comunque il grande malato tra le valute delle economie più importanti e sviluppate. E si continua con una strategia che, sia per imprevedibilità sia per gli scarsi risultati mostrati fino a oggi, non piace esattamente a tutti.
Un altro intervento da 20 miliardi?
È questa la cifra che circola ormai insistentemente da qualche giorno tra gli specialisti. Soprattutto da venerdì, quando i dati sul bilancio di Bank of Japan hanno ndicato una riduzione delle risorse disponibili appunto di circa 20 miliardi di dollari. Tenendo conto del fatto che i dati si riferiscono a contabilizzazioni per il 16 luglio e che il 15 luglio le piazze giapponesi saranno chiuse, il sospetto è che la liquidità mancante sia direttamente responsabilità di un ennesimo intervento a mercato delle autorità giapponesi.
Intervento a mercato che per ora ha funzionato, con lo yen che ha chiuso la settimana sui 157, livello incoraggiante rispetto al ben più preoccupante 161 al momento del supposto intervento.
Il condizionale però rimane d’obbligo, dato che per l’appunto in Giappone le bocche sono più che cucite: le massime autorità monetarie del Paese del Sol Levante non hanno alcuna intenzione di rivelare pubblicamente il loro modus operandi, ritenendo il mistero, anche ex-post, uno strumento per accrescere gli effetti che vengono poi prodotti dagli interventi.
Una strategia che non piace a tutti – e che avrebbe già innescato rimbrotti da parte del G7 e del Tesoro USA, che insiste per quanto obliquamente a consigliare a Tokyo di ridurre o eliminare gli interventi, lasciando ai mercati la possibilità di individuare il prezzo corretto delle valute. Invito che anche questa volta però sembrerebbe essere rimasto lettera morta.
Continua la caccia agli speculatori
Da un lato le autorità monetarie giapponesi che giocano a fare trading con quantità di denaro importanti e che vengono bruciate a sostegno di una lotta contro non meglio precisati speculatori. Speculatori che avrebbero la responsabilità diretta del pessimo momento dello yen, che però ormai si trascina da diversi mesi.
E, cosa più importante, che hanno avuto la meglio dopo ogni intervento della Banca Centrale del Giappone, dato che lo yen è fino ad oggi sempre tornato ai livelli precedenti all’invervento. La migliore ipotesi per ora che è gli interventi contribuiscano alla tenuta dello yen in attesa che migliorino i fondamentali, cosa che però è difficile che si verifichi prima dell’intervento di entrambe le banche centrali, sia quella di Tokyo, sia invece quella di Washington.