Finanza Personale
Ravvedimento Imu, come sanare l’imposta non pagata ed essere in regola con il Fisco
Se si dimentica di effettuare il pagamento, il contribuente può utilizzare il ravvedimento Imu per sanare la propria posizione.
Come funziona il ravvedimento Imu e soprattutto entro quale scadenza deve essere versato il saldo dell’imposta municipale unica 2024? Con l’avvicinarsi della fine dell’anno, la tradizionale patrimoniale sulla casa torna a preoccupare i contribuenti, che sono alle prese con il versamento di quest’anno e con il problema di regolarizzare eventuali dimenticanze del passato.
Il saldo Imu 2024 deve essere versato entro e non oltre il prossimo 16 dicembre. È esente da questo obolo l’abitazione principale, purché non sia un immobile di lusso. Ricordiamo che l’Imu è una tassa che grava sulla proprietà immobiliare ed è necessario gestirla con la massima attenzione e la dovuta pianificazione, in modo da evitare di dover versare antipatiche sanzioni e interessi per non aver rispettato le scadenze previste dalla normativa.
Inutile negarlo in questa sede: l’Imu, se da un lato rappresenta una pesante voce di costo per i proprietari immobiliari, dall’altro è un’importante voce di guadagno per tutti i Comuni italiani. Rispettare le scadenze è, prima di tutto, un’importante forma di tutela delle proprie finanze, perché evita di andare incontro a degli oneri aggiuntivi da pagare.
Ma vediamo un po’ come è necessario muoversi con il ravvedimento Imu e il suo saldo dell’imposta per il 2024.
Imu, le scadenze previste per il 2024
Partiamo con il ricordare quali sono le scadenze Imu previste per il 2024. I contribuenti devono passare alla casa rispettando le seguenti scadenze:
- il 16 giugno di ogni anno per versare l’acconto. Nel 2024 la deadline è stata spostata al 17 giugno, perché il 16 cadeva di domenica;
- il saldo deve essere effettuato entro il 16 dicembre.
Volendo sintetizzare al massimo, l’acconto Imu serve a pagare la prima metà dell’imposta annuale. Il saldo di dicembre, invece, rappresenta la seconda e ultima parte dell’obolo. La ripartizione è stata introdotta per evitare degli eccessivi carichi fiscali in capo ai contribuenti e, soprattutto, permettere loro di dilazionare l’obolo da versare.
L’importo Imu da versare si viene a determinare calcolando la percentuale di possesso dell’immobile – nel caso di due comproprietari è il 50% ciascuno – e i mesi nei quali si è mantenuta la proprietà nel corso dell’anno. Un mese viene considerato completo nel caso in cui il possesso si sia protratto per più di quindici giorni.
Per provvedere al versamento dell’Imu è necessario utilizzare il Modello F24: è uno strumento di pagamento unificato, che permette ai contribuenti di effettuare i versamenti di vari tipi di imposte e tributi. L’operazione può essere effettuata attraverso:
- il Modello F24 telematico, a cui possono ricorrere tutti i contribuenti;
- il Modello F24 cartaceo, che può essere utilizzato esclusivamente dai soggetti non titolari di partita Iva e in assenza di crediti da compensare.
All’interno del modello F24 è necessario andare ad indicare i dati dell’immobile, l’anno di riferimento e uno specifico codice tributo.
I contribuenti che non sono in possesso di una partita Iva, spesso e volentieri, optano per il bollettino postale, perché ritenuto più semplice e perché è possibile recarsi direttamente ad un ufficio postale per effettuare il pagamento.
I soggetti che sono residenti all’estero possono versare l’Imu attraverso un bonifico bancario diretto al Comune nel quale gli immobili sono ubicati.
Ravvedimento Imu, come sanare l’imposta non pagata
Sono diversi i motivi che potrebbero aver portato a non pagare l’imposta. In questi casi il contribuente può ricorrere allo strumento del ravvedimento operoso, che costituisce una soluzione per evitare che le sanzioni diventino più pesanti.
Attraverso il ravvedimento Imu è possibile sanare i pagamenti versando l’importo dovuto, con una sanzione ridotta e gli interessi calcolati sulla base degli effetti giorni di ritardo. Le sanzioni collegate al ravvedimento Imu cambiano in base al tempo trascorso: regolare la propria posizione entro 14 giorni conviene molto di più rispetto che farlo dopo i 90 giorni.
Finanza Personale
Cedolino Inps, a dicembre 2024 la pensione sarà più ricca. Ecco cosa cercare
Il cedolino Inps del mese di dicembre sarà particolarmente interessante, perché la pensione risulterà essere più alta. Ecco perché.
Cedolino Inps più ricco a dicembre. Con l’erogazione della pensione arriverà, infatti, la tredicesima. In alcuni casi è prevista anche l’erogazione della quattordicesima e un bonus aggiuntivo da 154,94 euro. L’ultimo mese dell’anno, per chi percepisce un assegno previdenziale, potrebbe essere molto interessate.
Ma è opportuno procedere con ordine. Il cedolino Inps del prossimo mese, indubbiamente, sarà molto importante per chi lo riceverà: il pagamento della pensione è previsto a partire dal 2 dicembre 2024 e proseguiranno fino a giovedì 5 dicembre (stiamo pensando principalmente a quanti andranno ad incassare le spettanze in contanti agli uffici postali).
Cedolino Inps, a cosa stare attenti
A cosa devono prestare attenzione i diretti interessati mentre guardano al cedolino Inps? Partiamo dalla tredicesima, che spetta trasversalmente a tutte le persone che ricevono una pensione. Il suo importo, in estrema sintesi, è pari a quello di una qualsiasi altra mensilità.
Il discorso, invece, cambia per la quattordicesima. La troveranno nel cedolino Inps i soggetti che hanno raggiunto i requisiti necessari dopo il 1° luglio 2024. Altro importo che arriverà insieme alla pensione, soprattutto per quanti la ricevono relativamente bassa, è il cosiddetto bonus tredicesima pari a 154,94 euro. Ma chi ha diritto a ricevere questo importo aggiuntivo?
A riceverlo, nel 2024, sono circa 400 mila pensionati. Per poterlo vedere nel cedolino Inps è necessario ricevere una pensione che non superi il trattamento minimo Inps: per il 2024 significa avere un reddito complessivo pari a 7.781,93 euro all’anno. Nel caso in cui il reddito dovesse essere più alto della prima soglia (quella che abbiamo appena indicato), ma più bassa della seconda (7.936,87 euro), il pensionato ha diritto a ricevere la cifra necessaria ad arrivare alla soglia più alta.
Ai fini della percezione del cosiddetto bonus tredicesima non è importante esclusivamente la pensione che si percepisce, ma anche il reddito individuale complessivo, per il quale è necessario prendere in considerazione tutte le entrate. Complessivamente deve essere più basso di una volta e mezzo rispetto il trattamento minimo Inps. Nel corso dell’anno il diretto interessato deve aver percepito meno di 11.772,90. Per quanto riguarda il reddito familiare, invece, deve essere inferiore ai 23.345,79 euro. Nel caso in cui vengano rispettati questi requisiti di reddito si vedrà nel cedolino Inps il bonus da 154,94 euro.
Quattordicesima, a chi spetta
La quattordicesima, nella maggior parte delle occasioni, viene erogato con il cedolino Inps dell’estate. Quanti, però, maturano i requisiti per riceverla dopo il 1° luglio 2024 la ricevono con il pagamento di dicembre. Stando ad alcune stime dell’istituto di previdenza dovrebbero essere almeno 200mila le persone che la riceveranno il prossimo mese.
Ricordiamo che la quattordicesima è stata introdotta nel 2007. È destinata ai pensionati che abbiano compiuto almeno 64 anni con un reddito basso. A fornire le indicazioni precise per la sua erogazione ci ha pensato direttamente l’Inps attraverso una circolare diffusa a giugno. A condizionare il suo importo sono l’anzianità contributiva e il reddito. Entrando nel dettaglio gli importi erogati sono i seguenti:
- chi ha meno di 15 anni di contributi (meno di 18 per gli autonomi): 336 euro. il reddito complessivo annuale deve essere compreso tra 11.773,90 euro e 15.563,86 euro;
- chi ha versato oltre 25 anni di contributi (28 per gli autonomi): 655 euro (pari all’importo massimo erogabile). Il reddito deve rimanere al di sotto degli 11.672,90 euro all’anno.
La tredicesima non è una misura legata alle soglie di reddito. Viene erogata trasversalmente a tutti i pensionati, con poche eccezioni, come chi sta usufruendo dell’Ape Sociale e non ha raggiunto i 67 anni di età. Il suo ammontare è condizionato dal valore della pensione mensile erogata.
Finanza Personale
Negozi, nell’arco di dieci anni ne sono spariti 140mila. Continua la desertificazione delle città
Nel corso degli ultimi dieci anni sono spariti qualcosa come 140mila negozi nei centri storici delle città. Continua la desertificazione delle città.
Nell’arco di una decina di anni – esattamente tra il 2014 ed il 2024 – sono spariti qualcosa come 140 mila negozi. Nello specifico stiamo parlando di imprese del commercio al dettaglio in sede fissa. Di queste 46.500 sono delle attività di vicinato, tra le quali rientrano negozi alimentari, edicole, bar e distributori di carburanti.
A mettere in risalto il problema è Confesercenti, che sostanzialmente conferma i numeri resi noti ad inizio anno da Confcommercio e dal Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne, i quali hanno sottolineato come tra il 2013 ed il 2023 siano spariti qualcosa come 111 mila negozi al dettaglio e 24mila attività di commercio ambulante. La desertificazione delle grandi e, soprattutto, piccole città continua rendendo sempre più difficile andare a fare la spesa alle persone più anziane o a quelle sprovviste di un automobile.
Scomparsi 140 mila negozi in dieci anni
Dalle piazze e dalle vie cittadine, tra il 2014 ed il 2024, sono scomparsi qualcosa come 140 mila imprese del commercio al dettaglio con sede fissa. Oltre 46mila erano delle attività di vicinato. La desertificazioni in molti piccoli comuni – ma anche in alcuni quartieri delle città più grandi – riduce la qualità della vita della popolazione e – secondo Patrizia De Luise, presidente di Confesercenti – tende a rafforzare la tendenza al declino demografico in molte aree del nostro Paese.
Numeri che grosso modo sono confermati dall’analisi dell’Ufficio Studi Confcommercio sulla demografia d’impresa nelle città italiane, effettuata in collaborazione con il Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne, che mette in evidenza come nel periodo compreso tra il 2012 ed il 2023 nel nostro paese siano spariti qualcosa come 11 mila negozi al dettaglio e 24mila attività di commercio ambulante. Crescono unicamente le attività di alloggio e ristorazione.
Nel corso dello stesso periodo si riducono le imprese italiane negli alberghi e nei pubblici esercizi (-8,4%), mentre aumentano quelle straniere (+30,1%). Nell’intera occupazione, la metà della nuova occupazione straniera – che complessivamente è cresciuta di 242 mila occupati – è proprio in questi settori (120mila).
Ma dove spariscono di più i negozi? La desertificazione colpisce di più i centri storici rispetto alle periferie: questo accade soprattutto nel Centro-Nord e nel Mezzogiorno. Il tessuto commerciale, nei centri storici, cambia radicalmente. Calano le attività tradizionali:
- carburanti: -40,7%;
- libri e giocattoli: -35,8%;
- mobili e ferramenta: -33,9%;
- abbigliamento: -25,5%.
Aumentano, invece, i servizi e la tecnologia:
- farmacie: +12,4%;
- computer e telefonia: +11,8%;
- attività di alloggio: +42%;
- ristorazione: +2,3%.
Cosa serve per riavviare il centro cittadino
Rilanciare i negozi e le imprese del territorio dovrebbe essere uno dei fronti sui quali il Governo si deve impegnare. Secondo Patrizia De Luise, infatti, si è venuto a creare un vero e proprio circolo vizioso tra declino demografico e desertificazione commerciale. In molte aree – principalmente i piccoli centri, le zone interne e rurali, solo per citarne alcune – stanno subendo un vero e proprio impoverimento del territorio.
Questa perdita di punti di accesso ai servizi essenziali riduce la qualità della vita della popolazione e contribuisce a rafforzare la tendenza al declino demografico di vaste aree territoriali – spiega De Luise. Sono dunque necessari investimenti per arginare la desertificazione commerciale dell’Italia. Dobbiamo avviare iniziative per la resilienza della rete di imprese di vicinato. Per chi apre nelle aree desertificate, un regime agevolato accompagnato da semplificazioni burocratiche è da ritenersi prioritario.
A pesare sui negozi e sul commercio al dettaglio, indubbiamente, sono le promozioni e la distorsione nella concorrenza introdotte dai giganti del web. Una di queste è il famoso Black Friday, che è diventato anche in Italia sinonimo di sconti e vendite promozionali. Una tradizione nordamericana, importata dai giganti del commercio online per assaltare la diligenza del mercato natalizio.
Finanza Personale
Codice della strada, inasprite le sanzioni per chi guida dopo aver bevuto
Inasprite le sanzioni per quanti dovessero guidare in stato di ebbrezza. Il codice della strada introduce un vero e proprio cambio di passo.
Mancano effettivamente pochi passi perché il Ddl che riforma il Codice della Strada diventi legge. Una volta approvato definitivamente verranno introdotte delle norme che inaspriscono le multe, mentre la sospensione della patente per quanti guidano con il telefono in mano o sotto gli effetti dell’alcol o degli stupefacenti è realmente dietro l’angolo.
Ma quali sono le principali misure che verranno introdotte attraverso il nuovo Codice della Strada? Ma soprattutto come andranno ad impattare sulla vita di tutti i giorni? Cerchiamo di capirlo insieme.
Codice della Strada, le nuove misure
Sono diverse le misure che sono contenute direttamente all’interno del nuovo Codice della Strada, che avranno un impatto diretto sugli automobilisti. Le più importanti sono le seguenti:
- il ritiro della patente per quanti stiano guidando con il telefonino in mano, siano ubriachi o drogati. O per le persone che abbandonano degli animali;
- è prevista una vera e propria stretta sui monopattini, i cui conducenti saranno tenuti ad indossare il casco e a sottoscrivere un’assicurazione;
- sale, inoltre, la cilindrata delle auto che possono guidare i neopatentati. Il limite, però, durerà unicamente tre anni.
Vediamo le varie novità introdotte dal Codice della Strada una per una. Guidare con uno smartphone in mano comporterà una sanzione da un minimo di 250 euro ad un massimo di 1.000 euro. La patente viene sospesa automaticamente per una settimana, nel caso in cui si dovesse essere sorpresi con un telefonino in mano mentre si guida. Verranno sottratti dieci punti alla patente. Nel caso in cui i punti dovessero essere più bassi, la sospensione è per quindici giorni. I recidivi devono mettere in conto una multa fino a 1.400 euro e la sospensione della patente può arrivare a tre mesi, a cui si aggiunge una decurtazione che oscilla tra 8 e 10 punti. La sospensione viene raddoppiata nel caso in cui l’uso del telefonino mentre si guida dovesse determinare un incidente.
Si inaspriscono le pene per chi guida in stato di ebbrezza. Nel caso in cui il tasso alcolemico dovesse essere compreso tra 0,5 e 0,8 grammi per litro la sanzione prevista è compresa tra 573 e 2.170 euro. La patente viene sospesa tra tre e sei mesi. Se, invece, il tasso alcolemico dovesse essere compreso tra 0,8 e 1,5 grammi per litro la sanzione viene raddoppiata, diventando detentiva e pecuniaria (c’è l’arresto fino a sei mesi e un’ammenda compresa tra 800 e 3.200 euro). Con la sospensione della patente tra sei mesi ed un anno. Qualora il tasso alcolemico dovesse essere superiore a 1,5 grammi per litro, la contravvenzione sarebbe punita con una sanzione detentiva e pecuniaria: arresto da sei mesi ad un anno e un’ammenda da 1.500 a 6.000 euro. La sospensione della patente sarebbe compresa tra uno e due anni.
Cosa e quanto si può bere
Cosa permette di bere il nuovo Codice della Strada? La risposta non è univoca per tutti gli automobilisti, ma dipende dal peso, dall’altezza e dal fatto se si è a stomaco pieno o no. Nella maggior parte dei casi si può affermare di essere al sicuro con un bicchiere di vino, una lattina di birra o un bicchierino di superalcolico.
Le regole cambiano per i neopatentati, per i quali è previsto un tasso alcolemico zero per i primi tre anni. Ricordiamo che tutte le ipotesi di guida in stato di ebbrezza prevedono una decurtazione di almeno dieci punti della patente. Tra le sanzioni previste c’è anche quella di installare l’alcolock, un dispositivo che impedisce l’avvio del motore nel caso in cui il tasso alcolemico del guidatore risulti essere superiore a zero.
È prevista anche tolleranza zero per chi fa uso di stupefacenti. In questo caso non è necessario essere in stato di alterazione psico-fisica, ma è sufficiente essere positivi perché scatti la revoca e la sospensione per tre anni della patente.
Penalizzati anche quanti superano i limiti di velocità: chi li supera di oltre dieci chilometri all’ora è soggetto ad una sanzione che può oscillare da 173 a 694 euro.
La patente viene revocata o sospesa da sei mesi ad un anno per quanti abbandonano degli animali in strada.
Finanza Personale
Tari, le famiglie arrivano a pagare fino a 329 euro. La stangata sui rifiuti
Le famiglie italiane devono fare i conti con la stangata sui rifiuti: la Tari inizia ad essere più costosa in tutte le città.
Gestire i rifiuti, per una famiglia media, diventa sempre più costoso. Anche alla luce degli incrementi della Tari che sono stati registrati in molte città. Nel 2024, rispetto solo allo scorso anno, le famiglie arrivano a pagare il 2,6% in più, pari, grosso modo, a 329 euro. Purtroppo il costo medio della Tari, almeno in alcune città del Sud Italia è molto più caro, arrivando a sfiorare i 600 euro. Nei centri del Nord italia, invece, la spesa si ferma al di sotto dei 200 euro.
Fortunatamente, invece, inizia a migliorare la raccolta differenziata: la media nazionale è arrivata a superare il 65%, anche se sono state messe in evidenza delle notevoli differenze tra i diversi capoluoghi. A scattare la fotografia dell’andamento del costo della Tari ci ha pensato il Rapporto 2024 dell’Osservatorio Prezzi e Tariffe di Cittadinanzattiva.
Tari, di cosa stiamo parlando
Ricordiamo brevemente che la Tari è stata introdotta per finanziare il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti. A partire dal 2014 ha sostituito una serie di imposte e tributi che i contribuenti dovevano pagare per questo servizio. Prima che la tari venisse introdotta, infatti, c’erano le seguenti imposte:
- Tares, ossia il Tributo comunale sui rifiuti e sui servizi;
- Tia, la Tariffa di Igiene Ambientale;
- Tarsu, la Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
Questa serie di tributi andavano a coprire, in un modo o nell’altro, i costi per il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti. Attraverso la Tari, ad ogni modo, si è riusciti a semplificare il sistema e ad unificare i vari tributi sotto il cappello di un’unica imposta.
Tari, dove si paga di più
Andando a dare uno sguardo ai costi della Tari nelle diverse città italiane, si pososno scorgere delle differenze tra i vari capoluoghi. L’analisi ha tenuto conto di una famiglia tipo composta da tre persone, che abitano in una casa di 100 metri quadrati di proprietà. Il capoluogo con la tariffa più alta è Catania, dove si arrivano a pagare 594 euro all’anno. In questo caso non sono state registrate delle variazioni rispetto al 2023. Il costo più basso è registrato a Trento, dove si arrivano a spendere 183 euro, leggermente meno rispetto allo scorso anno.
Dando uno sguardo a livello regionale, è possibile affermare che la Puglia è la regione più costosa: mediamente si pagano 427 euro. Seguono la Campania, con 407 euro e la Sicilia con 390 euro. Le regioni dove si trovano le tariffe più basse sono:
- Trentino Alto Adige: 203 euro;
- Lombardia e il Molise, in entrambi i casi si pagano mediamente meno di 254 euro.
Stando ai dati diffusi dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, nel corso del 2022 nel nostro Paese sono stati prodotti qualcosa come 29,1 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, in calo dell’1,8% rispetto a quelli del 2021. La produzione pro capite si attesta sui 494 chilogrammi per abitante, in calo dell’1,6% rispetto all’anno precedente.
Una delle zone che produce il numero maggiore di rifiuti è il Centro Italia, dove c’è una media di 532 chilogrammi per abitante. Seguono il Nord (506 chilogrammi per abitante) e dal Sud (454 chilogrammi per abitante). Per quanto riguarda la raccolta differenziata, la media nazionale ha raggiunto il 65,2%: rispetto al 2021 è stato registrato un incremento dell’1,2%. I rifiuti urbani smaltiti in discarica, invece, ammontano al 18%.
A dare i migliori risultati in termini di raccolta differenziata è il Nord Italia, con il 71,8%. Seguono il Centro, con il 61,5%, e il Sud con il 57,5%. Soffermandosi un po’ di più a livello locale, il 57% i capoluoghi di provincia hanno superato o raggiunto il 65% della raccolta differenziata. in 20 capoluoghi la percentuale è inferiore al 50%. Tra i capoluoghi con le peggiori performance ci sono:
- Palermo: 15,6%;
- Crotone: 21,4%;
- Catania: 22%;
- Foggia: 26%.
Finanza Personale
Bonus elettrodomestici, dal 2025 arriva il contributo da 100 euro per cambiarli
Dal 2025 dovrebbe arrivare il bonus elettrodomestici, il nuovo incentivo per cambiare i grandi apparecchi presenti in casa, diventati ormai obsoleti.
La stagione degli incentivi e dei contributi non è destinata a fermarsi nel 2025. Un nuovo bonus elettrodomestici potrebbe arrivare a partire dal prossimo anno. A promuovere la misura è la Lega, che attraverso una serie di emendamenti alla Legge di Bilancio 2025 ne ha inserito uno che prevede un incentivo per quanti hanno intenzione di cambiare i grandi elettrodomestici obsoleti e più inquinanti. Andandoli a sostituire con delle apparecchiature più nuove e in una classe energetica più alta, che non dovrà essere inferiore alla B.
Il bonus elettrodomestici, quindi, servirà a sostituire, solo per fare degli esempi, il frigo, la lavatrice, l’asciugatrice o la lavastoviglie. Il contributo sarà costituito da una detrazione Irpef che potrebbe arrivare a coprire il 30% del costo, nel limite massimo di 100 euro. Nel caso in cui la famiglia dovesse avere un Isee inferiore a 25.000 euro il contributo verrebbe aumentato a 200 euro. A firmare il provvedimento è Alberto Gusmeroli, presidente della commissione Attività produttive della Camera e responsabile Fisco della Lega, il quale ritiene che per questa misura possano essere impiegate delle risorse per un importo massimo pari a 100 milioni di euro per il triennio compreso tra il 2025 ed il 2027.
Bonus elettrodomestici, come funziona
Nel caso in cui il bonus elettrodomestici dovesse essere confermato verrà applicato attraverso una detrazione, che arriverà nel momento della presentazione della dichiarazione dei redditi. Il contribuente dovrà inserire i dati relativi all’acquisto e i documenti giustificativi: le fatture e le ricevute di pagamento.
Il saldo deve essere effettuato con delle modalità tracciabili: potranno essere utilizzati i bonifici, le carte di credito o di debito e qualsiasi altro mezzo che permetta di verificare la transazione. Attraverso il bonus elettrodomestici verranno coperti anche i costi di trasporto e di montaggio, purché queste spese siano assoggettate alle stesse modalità di pagamento tracciabili che vengono impiegate per ottenere la detrazione. Questi costi sono ammissibili solo e soltanto se sono strettamente connessi con gli acquisti incentivati, ma è necessario che siano documentati in maniera adeguata.
Questa agevolazione si andrà a sommare con il bonus mobili, che la Legge di Bilancio 2025 ha già provveduto a prorogare. La misura consiste in un contributo pari al 50% delle spese sostenute, fino ad un massimo di 5.000 euro: può essere utilizzata per l’acquisto di mobili nuovi e di grandi elettrodomestici che siano di una classe energetica elevata.
Quali elettrodomestici si possono acquistare
Cosa si intende per grandi elettrodomestici? A chiarire questo dubbio ci ha pensato direttamente l’Agenzia delle Entrate che ha spiegato che all’interno dell’agevolazione rientrano:
- frigoriferi;
- congelatori;
- lavatrici;
- lavasciuga;
- asciugatrici;
- lavastoviglie;
- apparecchi di cottura;
- stufe elettriche;
- piastre riscaldanti elettriche;
- forni a microonde;
- apparecchi elettrici di riscaldamento;
- radiatori elettrici;
- ventilatori elettrici;
- apparecchi per il condizionamento.
Anche per il bonus mobili – come abbiamo visto per il bonus elettrodomestici – all’interno delle spese possono essere considerate quelle per il trasporto ed il montaggio dei beni acquistati, purché siano sostenute con le stesse modalità di pagamento necessario per ottenere le varie detrazioni.
In alcuni casi gli acquisti devono essere comunicati direttamente all’Enea.
Le misure che abbiamo appena visto hanno degli obiettivi ben precisi: quello di andare a svecchiare il parco grandi elettrodomestici presenti in Italia, che è obiettivamente vetusto. Alberto Gusmeroli ha spiegato, inoltre, che la misura permetterà ai beneficiari di risparmiare sul costo delle bollette, grazie ai minori consumi, che porteranno ad un minor inquinamento. Ma non solo: si stimolerà il nostro sistema industriale tutelando i livelli occupazionali e la competitività dei siti produttivi che operano in questo comparto. E si supporta il settore del riciclo dei vecchi elettrodomestici, nel quale il nostro Paese ha un ruolo leader in Europa.
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