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Carne a base vegetale: un’opportunità per l’India

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Carne a base vegetale: un’ottima opportunità per lo sviluppo economico dell'India

Si chiama BBQ Jack, ma non è quello che potrebbe sembrare a prima vista. In realtà si tratta di jackfruit che si spaccia per carne. Era proprio questo vegetale uno degli articoli della più grande spedizione indiana di carne a base vegetale inviata di recente negli Stati Uniti. La spedizione di prodotti di jackfruit di Wakao Foods, del peso di 13 tonnellate, è il primo di due container inviati negli Stati Uniti. La spedizione include, oltre a BBQ Jack, Raw Jack, Indian Gravy, polpette di hamburger Continental Jack, polpette di hamburger Jack Supreme, salsicce alle erbe americane, salsicce piccanti e Teriyaki Jack.

La carne di origine vegetale è una tendenza che ha preso piede in Occidente nell’ultimo decennio, raggiungendo anche l’India negli ultimi anni. Per questo motivo, adesso gli indiani guardano ai mercati occidentali. L’anno scorso, a settembre, l’India ha inviato la sua prima spedizione di prodotti a base di carne di origine vegetale negli Stati Uniti.

Carne a base vegetale: un’ottima opportunità per lo sviluppo economico dell'India
Carne a base vegetale: un’ottima opportunità per lo sviluppo economico dell’India

Il potenziale di esportazione dell’India

La carne a base vegetale è composta da soia, funghi, piselli, jackfruit, tempeh, lenticchie, ceci, miglio, grano, riso, ecc. Imita la consistenza, il gusto, l’aspetto e l’odore della carne reale. Le persone che vogliono ridurre il consumo di carne o rinunciarvi completamente, e i vegetariani che vogliono aumentare l’assunzione di proteine sono i clienti target dei produttori di carne a base vegetale.

Secondo un rapporto di The Good Food Institute (GFI) India e Deloitte India, il potenziale di esportazione di carne a base vegetale in India entro il 2030 è previsto da Rs 2.194 crore a Rs 6.824 crore. L’intervallo numerico per i prodotti lattiero-caseari a base vegetale va da Rs 459 crore a Rs 1.889 crore. Il potenziale di esportazione per le uova di origine vegetale nel 2030 è compreso tra Rs 266 crore e Rs 631 crore.

Un rapporto del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti afferma che una vasta popolazione vegetariana e una maggiore domanda di cibi sani stanno alimentando la rapida espansione dei sostituti della carne a base vegetale in India. Questo andamento di mercato offre opportunità agli esportatori stranieri sia di prodotti orientati al consumatore che di materie prime per supportare i produttori locali. Tuttavia, le aziende indiane stanno guardando al mercato americano perché hanno diversi vantaggi rispetto alle aziende americane.

Nel caso delle carni coltivate in laboratorio, le aziende indiane non possono competere con quelle americane perché l’India non dispone della tecnologia necessaria. Ma la carne a base vegetale è diversa. Gli esportatori indiani possono sfruttare la forte tradizione indiana di alimenti a base vegetale. Tradizionalmente, gli indiani sanno come rendere gustoso il cibo vegetariano.

L’India ha una forza lavoro ampia e in crescita, salari bassi e materie prime abbondanti, che insieme aiutano a mantenere basso il costo della produzione alimentare di origine vegetale rispetto ad altri paesi. La tecnologia alimentare in India è già sufficientemente sviluppata per creare la carne vegetale della migliore qualità che ha il sapore, l’aspetto e l’odore della vera carne. Le colture indigene dell’India come il miglio possono essere utilizzate per produrre alimenti a base vegetale. Anche le colture tradizionali come i ceci sono disponibili in abbondanza.

La carne a base di jackfruit ne imita la consistenza, il gusto e l'aspetto
La carne a base di jackfruit ne imita la consistenza, il gusto e l’aspetto

L’importanza del mercato interno per l’India

Un fattore che favorisce gli esportatori indiani è un mercato interno in crescita. È più facile per le aziende raggiungere economie di scala in India poiché questo paese ha una popolazione molto ampia di vegetariani e anche coloro che mangiano carne potrebbero essere disposti a provare opzioni a base vegetale. Un forte mercato interno stimola anche le esportazioni in quanto aiuta l’innovazione nella qualità, nel design e nella gamma di prodotti.

L’Autorità per l’esportazione di prodotti alimentari trasformati e agricoli (APEDA), sta cercando di aggiungere più prodotti a base di carne di origine vegetale nel suo paniere di esportazione, senza disturbare il tradizionale mercato di esportazione di carne di origine animale. Ha pianificato di promuovere una varietà di prodotti in Australia, Israele e Nuova Zelanda. Il presidente di APEDA, Rajesh Agrawal, afferma che il crescente mercato indiano delle alternative alla carne a base vegetale offre un’opportunità per sfruttare la biodiversità delle colture del paese. Questo mercato rappresenta per il paese un’ottima opportunità per lo sviluppo economico che potrebbe espandersi anche ad altri settori.

Dopo aver concluso il doppio titolo di laurea magistrale in Relazioni Internazionali tra l'Università di Torino e la Tongji University di Shanghai, ha lavorato in Portogallo nell'ambito della gestione social per le aziende. Nella collaborazione con Tradingonline.com ha trovato il giusto connubio tra i suoi interessi verso la Green economy e la gestione delle materie prime a livello internazionale, insieme al suo stile di vita da nomade digitale.

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Il mercato delle auto elettriche in Cina cresce del 19,2%: Tesla ne approfitta e presenta il suo robotaxi

Il mercato dei veicoli in Cina cresce del 19,2%: Tesla ne approfitta immediatamente portando a casa un +12% a livello trimestrale.

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Il mercato delle auto elettriche in Cina cresce del 19,2%: Tesla ne approfitta e presenta il suo robotaxi

Tesla aumenta la propria quota di mercato in Cina. Stando ai dati pubblicati dalla Cina Passenger Car association (CPCA), il mercato dei veicoli elettrici nella seconda economia mondiale è aumentato del 19,2% rispetto al 2023. In questo contesto, le consegne dei veicoli Model 3 e Model Y, che vengono fabbricati direttamente nel paese asiatico, sono aumentate dell’1,9% rispetto al mese precedente.

Tesla ha già provveduto ad annunciare le consegne trimestrali a livello globale, ma non ha ancora diffuso i dati delle vendite in Cina.

Ma entriamo un po’ nel dettaglio e cerchiamo di capire cosa aspettarsi.

Tesla, crescono le vendite in Cina

Uno dei principali rivali cinesi di Tesla, ossia BYD, grazie alle sue gamme di veicoli elettrici e ibridi plug-in Dynasty e Ocean, a settembre ha registrato il suo mese migliore, registrando un aumento del 45,56% su base annua nella vendita di veicoli per passeggeri. A settembre è arrivata a commercializzare 417.603 unità.

Stando ai dati che sono stati diffusi in queste ore, BYD ha venduto 33.012 auto all’estero: il 7,9% della produzione è stata piazzata al di fuori dei confini della Cina.

Grazie agli aumenti di settembre, Tesla è riuscita a registrare una crescita del 12% nelle vendite di veicoli elettrici prodotti in Cina nel periodo compreso tra il mese di luglio e quello di settembre, riuscendo a portare a casa il suo primo aumento trimestrale di quest’anno.

Per riuscire a centrare questo obiettivo, Tesla ha esteso gli incentivi per incoraggiare i consumatori nel più grande mercato automobilistico del mondo, dove sono presenti dei rivali come Xpeng e Nio, i quali avevano intenzione di lanciare dei nuovi modelli economici.

A fine settembre Tesla ha prorogato di un altro mese, fino alla fine di ottobre, il finanziamento a tasso zero per alcune auto Model 3 e Model Y in Cina.

Stando a quanto riferisce Reuters, Tesla ha in progetto di produrre in Cina una variante a sei posti del suo modello più venduto, ma ormai obsoleto, Model Y, a partire dalla fine del 2025.

Tesla presenta il nuovo robotaxi

Elon Musk, nel corso della giornata di giovedì, dovrà salire sul palco dello studio Warner Bros di Hollywood per svelare i piani, a lungo rimandati, per un robotaxi firmato Tesla. Un progetto che ha riacceso le azioni del produttore di veicoli elettrici, nonostante le fredde aspettative per la crescita dei veicoli elettrici.

Musk ha affermato che robotaxi, battezzato CyberCab, sarà un nuovo modello di veicolo in grado di guidare da solo e di funzionare su una piattaforma di ride-hailing Tesla. La casa automobilistica, inoltre, consentirà ai proprietari di guadagnare denaro dalle loro auto, inserendole nella rete di ride-hailing come taxi autonomi, che ha definito come una combinazione di Airbnb e Uber.

Tesla si affida a telecamere e all’intelligenza artificiale per guidare le auto attuali, con la supervisione del conducente, ma senza il costoso hardware aggiuntivo associato ai sistemi radar e alla tecnologia lidar utilizzati da altri operatori del settore robotaxi.

Musk si aspetta che il miglioramento di questa tecnologia gli consentirà di entrare in un settore ancora nascente e rigidamente regolamentato, che ha causato miliardi di dollari di perdite ad altri.

Gli investitori, attratti dalla stima di Musk secondo cui il business dei robotaxi di Tesla potrebbe portare la valutazione dell’azienda a 5 trilioni di dollari dagli attuali 750 miliardi di dollari, vogliono vedere un prototipo e scoprire quanto velocemente Musk può produrlo in serie, con un profitto. Vogliono comprendere gli ostacoli normativi e come l’FSD, ancora classificato come un tipo di automazione parziale, possa diventare più sicuro di un guidatore umano.

Elliot Johnson, responsabile degli investimenti presso Evolve ETFs, che gestisce gli investimenti in Tesla, ritiene che debbano muoversi perché se ne è discusso, si è vociferato, si è parlato e si è annunciato in varie forme per un po’ di tempo. Ad ogni modo Elliot Johnson non si aspetta che nulla di quanto annunciato giovedì abbia un impatto finanziario per uno o due anni.

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BP abbandona la politica di riduzione della produzione di petrolio entro il 2030

BP ha abbandonato la politica di riduzione della produzione del petrolio entro il 2030. Rimane in piedi l’obiettivo finale previsto per il 2050.

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BP abbandona la politica di riduzione della produzione di petrolio entro il 2030

Cambio di passo per BP, che ha deciso di abbandonare l’obiettivo di ridurre la produzione di petrolio e gas entro il 2030. Murray Auchincloss, amministratore delegato della società, vuole ridimensionare la strategia di transizione energetica dell’azienda: l’obiettivo è quello di riconquistare la fiducia degli investitori.

BP aveva annunciato la propria strategia nel 2020: al momento della presentazione costituiva la più ambiziosa del settore. L’impegno prevede la riduzione della produzione del 40% e l’incremento delle energie rinnovabili entro il 2030. Già a febbraio 2023, però, BP aveva deciso di ridimensionare l’obiettivo, portato ad un 25%, scelta che, ad ogni modo, avrebbe permesso di portare la produzione di petrolio a 2 milioni di barili al giorno entro la fine del decennio. La decisione, in quel momento, era stata determinata dal fatto che gli investitori si concentravano sui rendimenti a breve termine più che sulla transizione energetica.

Ma entriamo un po’ più nel dettaglio.

BP non ridurrà la produzione di petrolio

Stando ad alcune fonti citate da Reuters, BP starebbe puntando a nuovi investimenti nel Golfo del Messico e in Medio Oriente con l’obiettivo di incrementare la produzione di gas e petrolio.

Auchincloss ha assunto la guida a gennaio, ma ha faticato ad arginare il calo del prezzo delle azioni BP, che quest’anno hanno avuto risultati inferiori a quelli dei suoi rivali, poiché gli investitori mettono in dubbio la capacità dell’azienda di generare profitti con la sua attuale strategia.

Il 54enne canadese, in precedenza responsabile finanziario della BP, ha cercato di prendere le distanze dall’approccio del suo predecessore Bernard Looney, licenziato per aver mentito sui rapporti con i colleghi, promettendo invece di concentrarsi sui rendimenti e di investire nelle attività più redditizie, in primis nel settore petrolifero e del gas.

L’azienda continua a perseguire l’obiettivo di emissioni nette pari a zero entro il 2050.

Auchincloss presenterà la sua strategia aggiornata, inclusa la rimozione dell’obiettivo di produzione del 2030, in un investor day a febbraio, anche se in pratica BP l’ha già abbandonata. Non è chiaro se BP fornirà una nuova guida alla produzione.

Ma i problemi della catena di fornitura e il forte aumento dei costi e dei tassi di interesse hanno messo ulteriormente sotto pressione la redditività di molte aziende del settore delle energie rinnovabili.

Una fonte interna all’azienda ha affermato che, mentre i rivali avevano investito nel petrolio e nel gas, la BP aveva trascurato l’esplorazione per alcuni anni.

BP torna in Medio Oriente

BP attualmente sarebbe in trattativa per investire in tre nuovi progetti in Iraq, tra cui uno nel campo di Majnoon. La società, tra l’altro, detiene una quota del 50% in una joint venture che gestisce il gigantesco giacimento petrolifero di Rumaila nel sud del paese, dove opera da un secolo.

Ad agosto, la BP ha firmato un accordo con il governo iracheno per sviluppare ed esplorare il giacimento petrolifero di Kirkuk nel nord del paese, che include anche la costruzione di centrali elettriche e capacità solare. Stando a quanto riporta Reuters, a differenza dei contratti storici che offrivano alle aziende straniere margini ridottissimi, i nuovi accordi dovrebbero includere un modello di condivisione degli utili più generoso.

BP starebbe anche valutando di investire nella riqualificazione dei giacimenti in Kuwait.

Nel Golfo del Messico, la BP ha annunciato che proseguirà con lo sviluppo di Kaskida, un grande e complesso bacino, e la società prevede inoltre di dare luce verde allo sviluppo del giacimento Tiber.

La società, inoltre, dovrebbe valutare anche l’acquisizione di asset nel prolifico bacino di scisto del Permiano per espandere la sua attuale attività onshore negli Stati Uniti, che ha aumentato le sue riserve di oltre 2 miliardi di barili dall’acquisizione dell’attività nel 2019.

Auchincloss, che a maggio ha annunciato un piano di riduzione dei costi pari a 2 miliardi di dollari entro la fine del 2026, negli ultimi mesi ha sospeso gli investimenti in nuovi progetti eolici offshore e di biocarburanti e ha ridotto il numero di progetti sull’idrogeno a basse

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Francia: buco da 100.000 lavoratori nell’idrogeno verde

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Idrogeno Verde Francia

Il mondo delle rinnovabili avanza, e con esso anche la necessità di lavoratori: stando a France Hydrogen, associazione che accorpa le principali società nel mondo dell’idrogeno verde in Francia, mancheranno 100.000 lavoratori negli impianti francesi dedicati alla produzione di idrogeno verde da qui al 2030. La mancanza di forza lavoro è già un problema oggi, secondo quanto segnalato dall’associazione, con oltre 6.000 posti vacanti. Molti di queste offerte riguardano anche posizioni estremamente ben ricompensate: addirittura il 17% del totale riguarda capi di progetto, project manager o manager che gestiscano interi stabilimenti; un’altra parte importante riguarda il settore di progettazione e il lato commerciale.

Si guarda quindi al mondo della formazione per cercare delle risposte. Le imprese lamentano il fatto che, malgrado siano già disponibili diversi corsi legati al mondo delle rinnovabili, pochi di questi entrino in profondità sui temi che riguardano l’idrogeno verde. Inoltre viene anche criticato il fatto che i corsi con un buon livello di informazioni siano spesso poco pratici, e incapaci di fornire ai lavoratori esattamente le skill necessarie per poter iniziare a lavorare. Con un’intera industria da costruire e ordini da record nel corso del 2023, questo sarà un tema cruciale andando avanti.

presentazione della notizia su mancanza di lavoratori nel mondo dell'idrogeno verde in Francia
La francese Total è una delle società europee che stanno investendo di più nell’idrogeno verde

Boom di assunzioni ma con pochi candidati

Il numero di posti di lavoro disponibili in Francia nel mondo dell’idrogeno verde è aumentato del 77% tra il 2019 e oggi. La quasi totalità dei progetti sono ancora in fase di progettazione, per cui stanno venendo aggiudicati importanti ruoli ingegneristici e di management; una grande opportunità per fare carriera, soprattutto per gli ingegneri più giovani, ma con una grande difficoltà: con le Università che non si sono ancora realmente adeguate alla necessità di formare figure in questo settore, spesso le posizioni vengono aggiudicate con pochissimi candidati. France Hydrogen riconosce la necessità di fare qualcosa per cambiare la situazione, a partire dalle certificazioni.

Un sistema che l’impresa starebbe studiando è quello di un mercato per le certificazioni legate alle skill dei lavoratori, così da poter attestare in un modo univoco a livello nazionale il livello di formazione dei candidati. Inoltre si guarda alla possibilità di far passare i lavoratori tra un’impresa e l’altra, soprattutto in questo momento in cui ci sono ancora tanti progetti embrionali, in modo che la conoscenza dei lavoratori più qualificati possa essere trasferita in modo efficiente ad altri lavoratori. La situazione ricorda da vicino il boom tech e la necessità di programmatori degli anni ’80-90.

foto di un impianto di produzione di idrogeno verde
La Francia è anche l’unica nazione europea che sta pensando a produrre idrogeno verde con l’energia nucleare

Si cerca la riconversione da altri ruoli

Se il mondo dell’idrogeno verde è ai suoi albori, al tempo stesso ci sono delle tecnologie che stanno diventando gradualmente meno importanti: si pensa soprattutto al nucleare e alle centrali a carbone, sempre meno necessarie e con sempre meno investimenti che vanno in questa direzione. France Hydrogen vede un’opportunità nella riqualificazione professionale degli ingegneri che lavorano in questo campo, trasformandoli in esperti del mondo dell’idrogeno verde.

Si tratta di un’opportunità per le imprese del settore, che potrebbero trovare un pool di talenti pronti per lavorare nel mondo dell’idrogeno verde, ma anche per i professionisti: chi rischia di trovarsi senza lavoro per via della transizione ecologica, avrà un’occasione importante per trovare nuove opportunità in un settore che si trova nel pieno della sua espansione. E infine sarà una grande opportunità per i più giovani, che spesso fanno difficoltà a emergere nelle grandi multinazionali dell’energia dove molte posizioni sono già consolidate: le tante posizioni aperte nel campo dell’idrogeno verde, anche in ruoli manageriali, sono un’occasione ghiotta per gli ingegneri neolaureati che puntano a fare carriera nelle rinnovabili.

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Via libera a più grande progetto di battery storage al mondo

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Carlton Power ha ottenuto il via libera per procedere con il suo maxi-progetto da 750 milioni di sterline che vedrà nascere, nell’area metropolitana intorno a Manchester, il più grande progetto di battery storage al mondo. I progetti di battery storage si basano sull’installazione di grandi pacchi di batterie su scala industriale, per accumulare l’energia prodotta nei momenti in cui le fonti rinnovabili generano più corrente elettrica. Rimane in capo all’azienda la decisione finale su questo investimento, ma oggi le istituzioni si sono dette favorevoli alla sua realizzazione. Nel caso fosse completato, il campo di battery storage di Manchester diventerebbe il più grande al mondo.

Al momento questo tipo di progetti è ancora sporadico, ma sta diventando sempre più comune. Con la transizione energetica che continua a guadagnare slancio, diventa sempre più importante gestire i picchi di energia. Addirittura, in Italia esiste una rete di cittadini su due piccole isole siciliane che gestisce una propria rete per accumulare e distribuire energia prodotta con i pannelli fotovoltaici. Quello di Manchester sarà un progetto simile a livello di funzionamento, ma su una scala decisamente più grande: complessivamente, dovrebbe avere una capacità di 1 GW.

presentazione della notizia sul via libera al più grande progetto di battery storage al mondo
Il battery storage è una tecnologia che permette di conservare l’energia prodotta -soprattutto da fonti rinnovabili- per immetterla nella rete nei momenti di maggior necessità

L’ambizioso progetto di Carlton Power

Carlton Power è una società indipendente inglese che si occupa di gestire grandi progetti nel settore dell’energia rinnovabile. Non è quotata in Borsa, ma ha grandi capitali che derivano soprattutto dall’autofinanziamento prodotto con i progetti già attualmente in corso. La società si è interessata da diverso tempo alla possibilità di realizzare un grande campo di battery storage nell’area periferica di Manchester, ma questo richiede una serie di permessi pubblici che sono arrivati solo a distanza di mesi. Con oggi, però, si può dire che ci sia il via libera definitivo per poter procedere con la costruzione: il cantiere ha una durata prevista di due anni, salvo ritardi.

Una volta operante a regime, l’impianto potrà immagazzinare fino a 1 GW di energia nei momenti in cui questa è più facilmente reperibile nella rete elettrica. Dopo averla immagazzinata potrà rimetterla nella rete pubblica nei momenti in cui non se ne produce a sufficienza, contribuendo alla stabilità delle forniture e alla gestione delle fonti rinnovabili. Infatti sono soprattutto l’eolico e il fotovoltaico che richiedono, per via della natura incostante della loro produzione di energia, il supporto di progetti di accumulo come questo. Carlton Power dichiara di avere già dei grandi partner industriali e finanziari per assicurarsi le fonti di liquidità e capacità necessarie per poter procedere con la costruzione.

foto di un progetto di battery storage
Essenzialmente, con le tecnologie attuali, il battery storage si basa su grandi pacchi di batterie con un funzionamento simile a quelli delle auto elettriche

Battery storage: sempre più realtà

Uno dei grandi ostacoli storici alla transizione energetica è il fatto che mancano dei modi per accumulare l’energia prodotta da fonti rinnovabili. Nelle reti elettriche tradizionali, l’energia viene consumata poco dopo essere stata prodotta: tra la centrale elettrica e il consumatore finale, solitamente il viaggio è di pochi secondi. Le centrali a combustibili fossili possono facilmente regolare i livelli di produzione per venire incontro alla domanda, garantendo comunque che ci sia stabilità nel mercato anche se la domanda oscilla nel corso del tempo. Con le fonti rinnovabili, però, anche la produzione è incostante: a seconda del sole e del vento, si può produrre di più o di meno.

La necessità di accumulare l’energia in eccesso prodotta in alcuni momenti per poi re-immetterla nella rete quando necessario ha portato alla realizzazione di batterie specifiche pensate per questo scopo. Sono simili alle batterie delle auto elettriche, almeno fino a questo momento: per ora domina la tecnologia delle batterie al litio, ma ci sono diversi progetti di ricerca e startup che hanno dimostrato il potenziale -a oggi solo su piccola scala- di tecnologie più mirate.

Nel corso dei prossimi anni ci si attende che sia la ricerca, sia l’installazione di battery storage vadano incontro a un forte aumento. Sarà indispensabile poter contare su sistemi di accumulo efficienti per portare avanti con successo la transizione energetica, soprattutto nelle aree dove l’energia eolica è più utilizzata. Se i picchi di produzione di energia solare tendono grossomodo a combaciare con le esigenze di mercato, infatti, per quanto riguarda il vento è più difficile fare previsioni sull’equilibrio tra domanda e offerta.

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Arriva il super-pannello fotovoltaico creato con l’AI

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I ricercatori dell’Università di Bar-Ilan in Israele hanno costruito un nuovo tipo di pannello fotovoltaico, la cui composizione è stata studiata con l’intelligenza artificiale. Fornendo al modello i dati su centinaia di materiali e sulle loro proprietà fisico-chimiche, l’AI è riuscita a trovare una formula in grado di convertire più radiazione solare in energia elettrica di quanto possano fare i migliori pannelli fotovoltaici in circolazione. Queste, almeno, sono le proiezioni: ora sarà il momento di testare le caratteristiche del pannello in casi di utilizzo reale e non in laboratorio, ma i dati raccolti fino a questo momento sono senza dubbio incoraggianti.

In questi ultimi mesi si è parlato molto di pannelli a base di perovskite, una roccia comunemente trovata nelle catene montuose russe e utilizzata con successo da un team di ricerca australiano per generare un pannello con efficienza record. Il nuovo pannello studiato dall’Università israeliana è invece composto da 676 materiali diversi, e non è soltanto un’interessante scoperta scientifica: il team di ricerca ha lavorato per assicurarsi che si tratti di una formulazione economicamente sostenibile, in grado di arrivare ai processi industriali nel corso dei prossimi anni. Con il fermento per la transizione energetica, continuano a nascere soluzioni interessanti per migliorare il livello attuale dei pannelli fotovoltaici.

presentazione della notizia sul nuovo pannello fotovoltaico studiato dall'AI
Israele si conferma come uno dei principali poli di ricerca mondiali per le tecnologie legate alla sostenibilità ambientale

Più efficienza con meno costi

L’efficienza di un pannello fotovoltaico è determinata come il rapporto tra l’energia emessa dalla radiazione solare che colpisce la superficie del pannello e la quantità di energia elettrica che questo è in grado di produrre. Attualmente i migliori pannelli fotovoltaici hanno un’efficienza energetica del 20-25%, con le prossime generazioni che potrebbero arrivare al 30%. Lo studio dei materiali e della progettazione della superficie del pannello è ciò che impatta maggiormente la sua capacità di essere efficiente, per cui la ricerca si basa soprattutto su queste caratteristiche.

Il lavoro dell’Università di Bar-Ilan, guidato dalla ricercatrice Dr. Hannah-Noa Barad, ha voluto testare le capacità dell’intelligenza artificiale per studiare su larga scala le caratteristiche dei materiali impiegabili nei pannelli fotovoltaici. Il vantaggio offerto dall’AI è quello di poter creare un elevato numero di combinazioni, testando i risultati su modelli matematici prima di procedere con l’effettiva costruzione del pannello. Il modello testa è apprende per conto proprio, senza dover creare manualmente le combinazioni da testare.

Questo nuovo “super pannello” ha caratteristiche che lo rendono facilmente producibile su larga scala e con costi contenuti. Il fatto di poter rendere scalabile una tecnologia è ciò che in questo momento è più necessario nel mondo dei pannelli fotovoltaici, dal momento che la sostenibilità ambientale deve combinarsi con quella economica.

foto di una ricercatrice al lavoro
Il lavoro di ricerca sui pannelli fotovoltaici e sui materiali in generale sta beneficiando molto delle innovazioni offerte dall’AI

Un futuro senza silicio

Uno dei progetti più ambiziosi di questo lavoro di ricerca e la volontà di rimpiazzare il silicio usato nelle celle solari. Attualmente si tratta di un materiale fortemente impiegato nella costruzione dei pannelli fotovoltaici, ma si tratta anche di un materiale con un impatto non trascurabile sull’ambiente. Il silicio libera elettroni quando viene colpito dalla radiazione solare, elettroni che sono poi guidati lungo il circuito elettrico dei pannelli per formare un flusso ordinato di energia. I ricercatori israeliani sono convinti che il futuro dei pannelli fotovoltaici sia legato all’uso di altri materiali che possano offrire al tempo stesso più efficienza, meno costi e meno impatto ambientale.

Il team di ricerca sta anche lavorando su un altro progetto molto importante. Si tratta di una tecnologia per combinare i pannelli fotovoltaici con una tecnologia di ricattura della CO2. L’intento è addirittura quello di trasformare l’anidride carbonica in un carburante completamente sostenibile, il che rappresenterebbe un grande passo avanti per contrastare il cambiamento climatico. I pannelli fotovoltaici studiati dall’Università di Bar-Ilan sono così interessanti da essere addirittura stati presentati a Kamala Harris, vice-Presidente degli Stati Uniti, durante una sua vita ufficiale in Israele.

La nuova tecnologia si candida dunque a rappresentare la svolta per la prossima generazione di pannelli fotovoltaici, insieme alla perovskite. Il 2023 si conferma come uno degli anni più dinamici per l’innovazione nel mondo del fotovoltaico, ed è probabile che già nel 2024-25 arriveranno progetti su scala industriale basati sulle invenzioni scientifiche di quest’anno.

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