Patricia Scotland, segretario generale del Commonwealth, ha tenuto un intervento al COP 28 parlando degli effetti del cambiamento climatico. Il Commonwealth include tantissime micronazioni insulari: 33 dei 42 paesi più piccoli al mondo, la gran parte dei quali isole oceaniche, fanno parte di questa organizzazione. Di conseguenza, non è un caso che Patricia Scotland abbia deciso di concentrare l’attenzione proprio sugli effetti migratori che potrebbero essere causati dal cambiamento climatico.
Il Commonwealth si è dimostrato molto attivo nel corso del tempo per cercare di favorire le politiche ambientali. Non soltanto ne fanno parte molte delle nazioni che sono più esposte agli effetti dell’innalzamento del livello dei mari, ma oltre il 60% dei 2.5 miliardi di abitanti delle nazioni del Commonwealth hanno meno di 29 anni. I giovani sono quelli che hanno più interesse a difendere il Pianeta dagli effetti nocivi dell’intervento umano, e la struttura dell’organizzazione è particolarmente favorevole per difendere i loro interessi. Ogni nazione ha infatti lo stesso peso sulle politiche complessive, a prescindere dal numero dei suoi abitanti e dal suo prodotto interno lordo.
Previste migrazioni di massa
L’intervento della Segretaria Generale si è concentrato soprattutto sul Global South, quella grande fascia di paesi che si trovano in Africa, Sud America e Asia, soprattutto vicino alle equatore. Nel suo discorso ha spiegato in modo chiaro come sia inevitabile che si verifichino delle migrazioni di massa dovute agli effetti del cambiamento climatico, a meno che le nazioni del mondo non siano disposte a intervenire da subito con i dovuti fondi e strumenti. Il discorso mette in comunione due tematiche scottanti del momento: le ondate migratorie e il cambiamento climatico, i cui effetti sono sempre più evidenti. Il 2023 ha visto segnare temperature record in quasi tutto il mondo, con un boom di eventi naturali catastrofici come roghi di grande scala e siccità.
Proprio in queste settimane, il mondo sta facendo i conti che a causa della siccità il canale di Panama si sta ritrovando costretto a più che dimezzare i passaggi giornalieri. Un report delle Nazioni Unite ha anche messo un numero sulla cifra che sarebbe necessaria per mettere in moto gli adattamenti necessari a evitare tutto questo: $366 miliardi all’anno. Il fondo per le emergenze climatiche lanciato al COP 28 ha raggiunto appena impegni per $726 milioni, e non è detto che tutti verranno effettivamente versati. Sono cifre che lasciano capire bene la distanza tra la grandezza del problema e la disposizione delle nazioni ad affrontarlo.
Nel frattempo, l’accordo finale rimane lontano
Mentre Patricia Scotland teneva il suo intervento, altrove continuavano i dialoghi per cercare di arrivare a una bozza finale dell’impegno che le Nazioni Unite sottoscriveranno alla fine dell’evento. I dialoghi termineranno domani e la distanza è ancora siderale: oggi il Kuwait si è unito, in conformità con le politiche generali dei paesi OPEC, al coro delle nazioni che vogliono tenere i combustibili fossili al di fuori dell’accordo finale.
Secondo l’impostazione delle Nazioni Unite e del COP 28, è necessario che tutte le 198 nazioni che stanno prendendo parte all’evento sottoscrivano lo stesso accordo. Altrimenti salterà tutto. Considerando che il rappresentante inviato dall’Unione Europea ha definito “inaccettabile” un accordo in cui non vengano considerati i combustibili fossili, sembra molto difficile che nelle prossime ore si possano fare dei progressi significativi. La spaccatura che si è creata tra produttori e importatori di petrolio non sembra riconciliabile.