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Eni, Esso, Q8 e altri accusate di fare cartello sui prezzi

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Written by Alessandro Calvo
Diplomato in Scienze Economiche presso l'Ateneo di Torino, mi dedico alla vita di nomade digitale con un focus particolare sugli investimenti azionari. Rivesto il ruolo di gestore e analista capo per il portfolio di azioni su TradingOnline.com. Come ricordato da Peter Lynch, è importante tenere a mente che investire in azioni non equivale a giocare alla lotteria; rappresenta piuttosto la detenzione di una quota parte di un'impresa
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L’ACGM, autorità garante della concorrenza in Italia, ha aperto un’investigazione su un presunto cartello formato dalle più grandi società petrolifere del paese. A essere accusate sono aziende del calibro di Eni, Esso, Saras, Ip e Q8. Secondo le accuse, queste aziende avrebbero cooperato tra loro per spingere a rialzo il prezzo del bio-combustibile. In questo modo ne avrebbero inflazionato artificialmente il prezzo, con ripercussioni negative per tutto il mercato. Bisogna considerare che la parte sostenibile del carburante rappresenta una componente importante del prezzo della benzina, dal momento che oltre il 5% del combustibile usato per i trasporti in Europa è fatto di biocarburante.

Il prezzo della componente biologica dei carburanti usati nei trasporti è passato dai 20€ per metro cubo del 2019 ai 60€ al metro cubo di oggi. Questo sarebbe, secondo l’ACGM, il frutto di una esplicita cooperazione tra i principali produttori e distributori italiani. Grazie a questo monopolio, le aziende coinvolte avrebbero potuto godere di margini elevati sul venduto trasmettendo ai consumatori un prezzo più alto. I consumatori, però, non possono fare molto per difendersi da un aumento dei prezzi nel momento in cui tutte le principali aziende di un settore collaborano tra loro per mantenerli elevati.

presentazione della notizia sull'indagine dell'ACGM su cartello di biocarburante in Italia
Tutti i più importanti nomi del settore petrolifero in Italia sono accusati di far parte di questo cartello dei biocarburanti

Il cartello del biocarburante

Stando alle attuali leggi italiane, almeno il 10% della benzina e del diesel messi in commercio devono essere biocombustibili. Si tratta principalmente di combustibili ottenuti dagli olii vegetali come quello di colza: attualmente gli olii vegetali rappresentano l’80% del combustibile totale utilizzato nei biocarburanti europei. L’ACGM specifica che le aziende accusate sono Eni, Esso, Tamoil, Ip, Saras, Q8 e Iplom.

Ciò che ha fatto scattare i dubbi sulla questione è che le aziende hanno aumentato costantemente il prezzo del biocombustibile nel corso degli ultimi anni. Quando una società aumentava i prezzi, nel corso di poco tempo anche tutte le altre facevano la stessa cosa. Questo è considerato un atteggiamento contrario alla trasparenza della concorrenza, dal momento che gli aumenti dei prezzi sarebbero stati artificiali e non dettati dalle condizioni di mercato. Consumatori e imprese avrebbero così pagato prezzi più alti per il combustibile al distributore, per un danno totale stimato in 2 miliardi di euro dal garante della concorrenza.

L’ACGM specifica che l’investigazione nasce anche dal fatto che fonti vicine ai fatti hanno deciso di parlare in modo anonimo con le autorità competenti. Gli uffici di queste aziende stanno venendo investigati per andare alla ricerca di eventuali prove, come comunicazioni tra le società accusate di aver gestito questo cartello dei biocombustibili.

foto di un campo di colza e una raffioneria di biocarburanti
L’olio di colza è il principale componente utilizzato in Italia nella produzione di biocarburanti

Perché si tratta di un grande affare

Quando un automobilista si reca in un distributore di benzina in Italia, ciò che mette nel suo serbatoio non deriva interamente dal petrolio. La legge stabilisce che almeno il 10% del combustibile debba essere costituito da carburante ottenuto da fonti sostenibili, come gli olii vegetali. In alternativa, le aziende del settore possono usare specifici strumenti (“Certificati di Immissione di Consumo”) per sopperire a questa richiesta. Le aziende ricevono questi certificati quando vengono biocarburante e poi possono “spenderli” per compensare eventuali vendite di combustibili che non presentano almeno il 10% di biocomponenti.

Il petrolio è quotato in Borsa a livello internazionale ed è molto difficile che imprese di una singola nazione possano fare cartello tra loro senza che il garante della concorrenza se ne accorga. Quando si tratta di biocarburanti, però, si parla di combustibili spesso coltivati in loco e per i quali esiste un mercato molto meno liquido ed efficiente. Per questo motivo, gli attori del settore possono manipolare i prezzi e farli crescere artificialmente per ottenere margini più alti sul venduto.

Secondo un report pubblicato dall’Unione Europea a luglio 2021, attualmente circa l’8% del diesel consumato nell’UE e il 6.8% della benzina provengono da biocarburanti. La quota di carburanti sostenibili è in espansione di anno in anno, sia per via delle leggi nazionali che degli obiettivi climatici europei. Il principale combustibile di questo tipo è l’olio di colza (36% del totale), seguito da quello di palma (30%). Tracciando il prezzo della colza e dell’olio di palma, è facile capire se le aziende che si occupano di commercializzare biocarburanti abbiano volutamente fatto cartello per alzare i prezzi oppure no.

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