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La fetta della Cina è sempre più piccola. Il dato peggiore dal 1994
Il motore dell’economia mondiale dell’ultimo decennio si è inceppato, e per quanto continui a lavorare a giri che l’economia europea può soltanto sognare, le preoccupazioni crescono senza sosta. Secondo una recente analisi pubblicata da Bloomberg per la prima volta dal 1994 la quota di prodotto lordo a livello globale che è imputabile alla Cina è sceso, per quanto servano aggiustamenti per capire quanto rilevante sia effettivamente questa lettura. Si tratta però di un segnale certamente importante, dato che è arrivato in un anno complessivamente interessante per quelle che vengono chiamate, con una locuzione forse un po’ datata, economie emergenti.
L’India intanto preme, per quanto sarà lungo il percorso che potrebbe portarla alla posizione di vertice, a insidiare la Cina come economia di riferimento per la crescita, per gli investimenti che arrivano dalle economie avanzate e più in generale come cavallo sul quale puntare le fiches della prossima crescita globale. Grossi guai per la Cina, che sta effettivamente affrontando una delle fasi più complicate degli ultimi 3 decenni.
Cina: per la prima volta dal ’94 perde quote sull’economia globale
La crescita della Cina nel corso degli ultimi due decenni passerà certamente alla storia. Una crescita dirompente e su ritmi tali da spingere molti analisti a ritenere non solo possibile, ma in taluni frangenti anche certo il sorpasso sulla prima economia del mondo, gli Stati Uniti. Questioni che qualche decennio fa si facevano con l’economia sovietica, salvo poi essere smentiti dalla storia, ma che continuano comunque a informare certe analisi dei principali centri studi.
Una rondine non fa primavera neanche per gli avversari della Cina, ma del dato riportato da Bloomberg vale comunque la pena di parlare: per la prima volta dal 1994 la fetta di torta globale della Cina, per quanto calcolata su valori nominali, si è ridotta. Una fetta che si è ridotta in un periodo di buona forma per le economie emergenti.
- Il ruolo dell’azione “preventiva” delle economie emergenti
A contribuire a questo quadro il gioco d’anticipo, fanno giocare in molti, di economie come quella brasiliana, che forse anche per evitare che si riproponesse il disastro degli anni 80 in seguito al rialzo dei tassi statunitensi, hanno giocato d’anticipo per combattere l’inflazione. Cosa che non ha fatto ancora Pechino e che per molti potrebbe essere uno degli indizi di ulteriori difficoltà per i prossimi mesi e, chissà, per i prossimi anni.
Per quanto la situazione del Brasile e quella della Cina siano difficilmente comparabili, questo parallelo aiuta comunque a comprendere quanto non sia più compatto il fronte dei cosiddetti paesi emergenti.
Una situazione complicata, ma per qualcuno esagerata
In realtà il tam tam ribassista sulla Cina suona sui metaforici tamburi da qualche mese. Molte delle società straniere che avevano investito anche in impianti produttivi hanno affermato di temere il nuovo corso di Xi Jinping e l’utilizzo della giustizia, anche finanziaria, per fini politici. La crisi del settore immobiliare non ha aiutato né il dato reale né l’outlook futuro sull’economia cinese, che deve al mattone una parte consistente del suo boom.
A poco è servito inoltre il ricevimento in pompa magna di Xi Jinping da parte del gotha dell’economia privata statunitense: le preoccupazioni sia per il calo della domanda interna, sia per certe operazioni che profumano più di politica che di giustizia continuerà a mantenere i rapporti tesi tra i due blocchi e, di conseguenze, a prosciugare il flusso di investimenti stranieri che è fondamentale per ogni economia emergente, in particolare quando vuole mantenere quei livelli di crescita.
Certo, inutile fasciarsi la testa, a Pechino, per un anno in controtendenza. Tuttavia i problemi ci sono, i competitor anche e il rischio che non sia più la tigre cinese a guidare la locomotiva mondiale sono sempre più alti.