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Maxi-mossa nel petrolio: Chevron compra Hess per $53 mld

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Written by Alessandro Calvo
Diplomato in Scienze Economiche presso l'Ateneo di Torino, mi dedico alla vita di nomade digitale con un focus particolare sugli investimenti azionari. Rivesto il ruolo di gestore e analista capo per il portfolio di azioni su TradingOnline.com. Come ricordato da Peter Lynch, è importante tenere a mente che investire in azioni non equivale a giocare alla lotteria; rappresenta piuttosto la detenzione di una quota parte di un'impresa
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Con il mercato del petrolio che continua a segnare prezzi in rialzo, le società del settore si muovono per assicurarsi acquisizioni strategiche. Oggi è il turno di Chevron, che ha firmato un accordo definitivo per l’acquisizione di Hess da $53 miliardi. La mossa di Chevron risponde a quella di Exxon Mobil di appena due settimane fa, quando l’altro colosso americano dell’energia aveva annunciato l’acquisizione di Pioneer Natural Resources per 60 miliardi di dollari. Il momento di favore per l’industria petrolifera, guidata da alti margini sia sull’estrazione che sulla raffinazione, implica che le società più grandi abbiano più cassa per finanziare operazioni di acquisizione come quelle di queste ultime settimane.

Chevron e Exxon Mobil hanno entrambe deciso di investire nelle prossimità di casa, con due acquisizioni mirate ad altre società americane di grandi dimensioni. Nel corso degli ultimi anni Chevron aveva già iniziato ad espandere le proprie operazioni nelle Rocky Mountains e nel bacino petrolifero del Permian, tra il Texas e il New Mexico. Con questa nuova acquisizione, si conferma il più grande player della regione e potrà aumentare le economie di scala che derivano dal controllo di una grande quantità di pozzi a poca distanza gli uni dagli altri. Inoltre questa nuova acquisizione fornisce una maggiore esposizione anche al Sud America, la seconda regione geografica che ha visto il maggior volume di investimenti da parte di Chevron nel post-pandemia.

presentazione della notizia su Chevron che acquisisce Hess

Chevron consolida il controllo della Guyana

La Guyana, piccola nazione sudamericana, sta rapidamente passando dall’essere una delle regioni più povere del mondo a potenzialmente una delle più ricche. Fino a quattro anni fa non veniva estratto qui nemmeno un barile di petrolio; le cose sono cambiate proprio quando Chevron ha fatto la prima scoperta di un grande bacino petrolifero al largo delle coste locali, dal quale oggi si estraggono oltre 400.000 barili al giorno. Di recente il governo ha messo all’asta altre 13 licenze per aumentare i livelli di produzione, che vengono assegnate a grandi multinazionali straniere in cambio di un pagamento in percentuale sui livelli di estrazione. Si prevede che, nel corso dei prossimi anni, la Guyana triplichi l’output di petrolio entro il 2027 e che poi arrivi a rappresentare l’1% della produzione mondiale entro il 2027.

Dopo l’entrata di Chevron, anche altre società si sono interessate al potenziale della Guyana. La prima è stata Exxon Mobil, storica rivale di Chevron, che ha altrettanto fatto scoperte importanti di giacimenti nella zona. Da quel momento sono poi entrate Hess e CNOOC, un competitor cinese di piccole dimensioni, alimentando la concorrenza. Con questa nuova acquisizione, Chevron si assicura una presa maggiore sulle risorse petrolifere della Guyana. Non solo significa aumentare la produzione, ma anche la propria influenza sull’economia locale e sulle politiche che determinano gli investimenti in infrastrutture da parte del settore pubblico per servire porti e terminali di spedizione del petrolio.

foto di una piattaforma petrolifera offshore

Il settore petrolifero in via di consolidamento

Secondo Peter McNally, analista del settore energetico presso Third Bridge, l’attuale consolidamento dell’industria petrolifera ricorda da vicino quello che si verificò oltre 25 anni fa durante il periodo di picco della concorrenza tra Chevron-Texaco e Exxon Mobil. A quel tempo le acquisizioni servivano per favorire le economie di scala e produrre a prezzi più bassi per migliorare i margini; oggi, invece, McNally e altri analisti ritengono che queste mosse derivino primariamente dalla necessità di sbloccare skill specializzate per tecniche di estrazione avanzate come quella dello shale oil.

Pesa anche il fatto che il settore energetico stia andando rapidamente incontro a forti politiche di de-carbonizzazione per ridurre l’impatto climatico delle imprese che ne fanno parte. Le società più grandi e consolidate riescono a coordinare meglio questi sforzi e fanno meno difficoltà ad adattarsi rispetto ai concorrenti più piccoli, che di conseguenza vengono acquisiti. In un momento di margini record e prezzi del barile superiori ai 90$ al barile, i grandi colossi petroliferi hanno anche più liquidità in cassa per poter condurre questo tipo di operazioni.

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