Connettiti con noi

News Economia

Norvegia: forti segnali di ripresa nel settore immobiliare

Pubblicato

il

La Norvegia continua ad essere un’eccezione rispetto agli altri Paesi scandinavi. Di fatto, si prevede una crescita dei prezzi delle abitazioni nella nazione nordica, ricca di risorse fossili, anziché una contrazione, come era stato previsto in precedenza. Questi, infatti, cresceranno dello 0,3% quest’anno, rispetto alla precedente stima di un calo del 2,9% formulata a marzo.

È ciò che è stato riportato dalla banca centrale della Norvegia, la Norges Bank, le cui valutazioni si basano sulle proiezioni economiche presentate nel nuovo rapporto di politica monetaria “Monetary Policy Report 2/2023 pubblicato dall’istituto finanziario giovedì 22 giugno. Tale relazione viene pubblicata quattro volte ogni anno (a marzo, a giugno, a settembre e a dicembre) e contiene la valutazione della Norges Bank sulle prospettive del tasso di riferimento e della riserva di capitale anticiclica per le banche.

immagine di presentazione della notizia sui prezzi delle case in crescita in Norvegia
Secondo la banca centrale norvegese, nel Paese si prevede una crescita dei prezzi delle abitazioni quest’anno, a differenza degli altri Paesi scandinavi

Il contrasto con gli altri Paesi scandinavi

Nonostante si preveda un calo dei prezzi nella seconda metà dell’anno, il valore delle proprietà residenziali sarà quasi il 18% più alto rispetto ai livelli del periodo pre-pandemico alla fine dell’anno, ha aggiunto la banca centrale.

Questa nuova stima si basa sui dati che mostrano come i prezzi delle case in Norvegia abbiano mantenuto livelli vicini al record nel mese di maggio, sfidando le previsioni della Norges Bank, che invece prevedeva un calo. Questa situazione contraddistingue la Norvegia dai Paesi vicini, come la Svezia e la Danimarca, dove i prezzi delle case sono attualmente inferiori rispetto ai picchi dello scorso anno, rispettivamente del 13% e del 6%.

L’ultima volta che i prezzi delle case in Norvegia hanno registrato una diminuzione nominale è stato nel 2008. Tuttavia, nonostante questa tendenza positiva, le famiglie norvegesi presentano ancora uno dei più alti rapporti di debito rispetto al reddito disponibile a livello globale, che ammontava a circa il 240% alla fine dello scorso anno.

Nonostante le buone notizie per il settore immobiliare, ci sono anche aspetti negativi da considerare. La Norges Bank, infatti, ha affermato che una riduzione delle nuove costruzioni e delle vendite di case di nuova costruzione rispetto alle aspettative comporterà una caduta degli investimenti immobiliari maggiore di quanto previsto in precedenza dalla stessa banca centrale. Questo potrebbe a sua volta influenzare la velocità di aumento dei tassi di interesse, ha aggiunto l’istituto finanziario. Questi sono stati aumentati nella stessa giornata di giovedì.

L’economia a livello globale

Nel rapporto si legge, inoltre, che le condizioni di offerta e domanda legate alla pandemia e la guerra in Ucraina hanno portato a un’alta inflazione tra i principali partner commerciali della Norvegia dal 2021 in poi; tuttavia, l’inflazione dei prezzi al consumo su base annua è diminuita considerevolmente sia negli Stati Uniti che in Europa negli ultimi mesi.

I prezzi dell’energia hanno registrato un marcato calo nell’ultimo anno, così come quelli di una serie di materie prime, tra cui metalli e alimenti.

Per quanto riguarda, invece, le previsioni di crescita salariale tra i principali partner commerciali della Norvegia, i dati indicano un aumento del 5% nel 2023, seguito da un graduale calo nel corso del periodo di proiezione a causa di tassi di interesse più alti e di un minor utilizzo delle capacità produttive.

Anche i mercati del lavoro sono stretti. Si prevede, infatti, una debole crescita del PIL nei prossimi trimestri, prima di accelerare verso la fine del 2023 e nel 2024. La crescita del PIL è stata particolarmente forte in Svezia, Cina e in alcune altre economie emergenti.

immagine di grafico che mostra i tassi di interesse a lungo termine aumentati in Germania, Regno Unito, Stati Uniti, Svezia e Norvegia
Uno dei grafici del Monetary Policy Report 2/2023 indica che i tassi di interesse a lungo termine sono aumentati in Germania, Regno Unito, Stati Uniti, Svezia e Norvegia

L’elevata inflazione dei prezzi al consumo e i tassi di interesse più elevati stanno pesando sul potere d’acquisto e sul consumo delle famiglie europee nel 2023. Tuttavia, si presume che i tassi di interesse si muovano in linea con le aspettative del mercato e i prezzi delle materie prime si muovano in linea con i prezzi futuri.

L’aumento dei salari reali e il calo dei pagamenti degli interessi porteranno a un aumento del potere d’acquisto delle famiglie, mentre gli investimenti in difesa e energia in Europa probabilmente stimoleranno l’attività nel corso del periodo di proiezione, si continua a leggere nel rapporto.

Con un forte interesse per i fondamentali delle società e le notizie interne, è una persona curiosa e versatile che cerca di approfondire le sue conoscenze e rimanere sempre aggiornata leggendo report trimestrali.

Clicca per commentare

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Investimenti

Donald Trump minaccia i BRICS: pronti dazi del 100% se attaccheranno il dollaro

Donald Trump torna su dazi e minaccia di nuovo i BRICS. Niente accesso agli USA se…

Pubblicato

il

Dazi Trump BRICS

Continuano le discussioni sui dazi negli Stati Uniti, dazi che dovranno arrivare – almeno secondo programmi – dopo il giuramento del futuro presidente Donald Trump, il prossimo 20 gennaio. Dazi che hanno già fatto discutere per quanto riguarda gli alleati storici degli Stati Uniti e che però potrebbero farsi molto più seri nei confronti dei BRICS, o meglio, dei paesi che amano maggiormente un consesso di paesi non allineati e del quale si parla con sempre maggiore insistenza. Secondo quanto affermato da Donald Trump direttamente sul social Truth, il governo USA potrà imporre dazi del 100% sui paesi BRICS che proveranno a attaccare il dollaro USA.

Secondo quanto è stato riportato da Yahoo Finance, il messaggio sarebbe stato indirizzato a tutti i principali membri dei BRICS, tra i quali figurano non solo la Russia, ma anche Brasile, India, Cina, Iran, Emirati, Egitto e Etiopia. Un consesso che presto potrebbe allargarsi e che potrebbe vedere anche l’ingresso di un alleato storico, ovvero la Repubblica di Turchia. Non è chiaro però a quali manovre per minare la supremazia del dollaro faccia riferimento Donald Trump.

Una questione emersa già in campagna elettorale

Una difesa del dollaro – costi quel che costi – era già venuta fuori durante la campagna elettorale che ha portato Donald Trump alla Casa Bianca. Questa volta però ha preso la forma di un avviso a mezzo social, che afferma che se BRICS cercherà di creare una valuta o di supportarne altre per rimpiazzare il dollaro, si vedranno negare l’accesso ai mercati USA, con dazi del 100%.

La questione è di massimo interesse politico, dato che recentemente anche Vladimir Putin si era espresso sul tema, dicendo che l’interesse nella ricerca di alternative era dettato principalmente dal controllo politico della valuta che è ad oggi ancora riserva mondiale e – soprattutto – anima principale del commercio su scala internazionale.

Trump si è dimostrato comunque in più occasioni piuttosto convinto della capacità del dollaro di preservare il suo primato. E, a quanto parrebbe dopo il post di oggi, sarebbe pronto a qualunque cosa (o quasi) affinché tale minaccia non prenda forma.

Continua a leggere

Investimenti

Germania: 2 miliardi di euro per l’industria dei chip. Arriva il piano del governo

Arrivano i sussidi in Germania per l’industria dei chip. 2 miliardi sul tavolo.

Pubblicato

il

Chip sussidi germania

La via europea ai chip passerà per un vecchio pallino della politica industriale dell’unione: gli incentivi. Secondo quanto è stato riportato da Bloomberg News, al fine di colmare il gap tanto con gli USA quanto con l’Asia, la Germania starebbe preparando un piano di almeno 2 miliardi di dollari in sussidi per favorire l’industria dei semiconduttori nel paese. Per ora però dal Ministero delle Finanze tedesco non arrivano conferme, per un tema che lo scorso anno era diventato più che politico a causa di una querelle riguardante gli investimenti di Intel nella Repubblica Federale.

Se tanti brinderanno ad un piano relativamente ambizioso, altri certamente contesteranno una politica di incentivi che su altri settori ha fallito, in particolare quello legato al mondo EV e delle energie pulite, per un’Europa che ormai discute incessantemente di misure per far riprendere la crescita e l’innovazione nel mercato comune. Innovazione e crescita che sono diventate, nel corso degli ultimi anni, sempre di più un miraggio, soprattutto nei settori a più alto margine e valore aggiunto.

2 miliardi per colmare il gap

Non è chiaro se si tratterebbe per il momento di un primo tentativo di sussidio all’interno di un programma più ampio, oppure di una mossa una tantum. Per avere un metro di paragone, il governo degli Stati Uniti ha assegnato a TMSC la scorsa settimana 6,5 miliardi di dollari di sussidio, all’interno di un programma di inshoring delle industrie ritenute strategiche.

Nel complesso il solo sito in Arizona di TMSC ha comportato spese per 65 miliardi di dollari, ovvero di circa 30 volte i sussidi che la Germania sarebbe pronta a mettere in campo.

L’unica conferma che arriva dal Ministero delle Finanze tedesco è che si tratta, citiamo testualmente, di un investimento in singola cifra sulla parte bassa (calcolata in miliardi). Difficilmente si tratterà di cifre più elevate. Al centro delle proposte che saranno ricevute, ci sarà la sostenibilità della stessa industria, altro tema che si è fatto in queste settimane molto scottante ai massimi livelli della discussione politica europea.

Clicca per votare questo articolo!
[Voti: 1 Media: 5]
Continua a leggere

Investimenti

Dal FOMC poche sorprese: Federal Reserve delinea una strada possibile per i 25 punti base a dicembre

Dai verbali del FOMC non vengono fuori grandi sorprese. Mercati immobili, tranne quello delle criptovalute.

Pubblicato

il

FED FOMC VERBALI

I verbali del FOMC, la riunione di Federal Reserve che si occupa (anche) di tassi di interesse, non hanno riservato grandi sorprese. La più potente delle riunioni monetarie globali aspetterà altri dati dall’andamento dei prezzi prima di prendere ulteriori decisioni. Le proiezioni rimangono grossomodo vicine a quelle del meeting precedente, con l’aspettativa concreta di vedere un rallentamento di tutti i principali indicatori dei prezzi. Atteggiamento simile alla precedente riunione anche per quanto riguarda invece il mercato del lavoro. Un suo ulteriore rallentamento avrebbe un impatto certo sull’andamento dell’economia, comandando in quel caso un’accelerazione del percorso di tagli.

La grande incognita però riguarda il tasso di interesse neutrale: i falchi in seno a Federal Reserve continuano a ripetere che per questo ciclo saranno più alti del solito, cosa però incerta data l’incertezza dei modelli che vengono utilizzati per misurarli. L’indicarli come più alti è funzionale ad un percorso di riduzione dei tassi più lento. I mercati non hanno reagito granché alla notizia, con il grosso nervosismo che si nota solo sul fronte delle criptovalute, con Bitcoin che si trova a correggere complessivamente dai massimi vicino ai 100.000$ ai 91.500$ di oggi.

Ancora grande incertezza per il FOMC

Sarà ancora un FOMC data driven quello del 18 dicembre. E per il 18 dicembre i mercati continuano con un rapporto 60/40 sì tagli, no tagli, che è fondamentalmente immutato ormai da qualche giorno. Secondo le precedenti proiezioni del FOMC, quelle del dot plot di settembre, ci dovrebbe essere un altro taglio. Ma sia la resilienza del mondo del lavoro, sia invece una certa persistenza dell’inflazione sembrerebbero mettere in dubbio il percorso.

Saranno fondamentali i dati in arrivo il 27 novembre, alle 14:30, per il PCE, uno degli indicatori ritenuti più utili da Federal Reserve e in particolare da Jerome Powell per rendersi conto di come stiano andando i mercati.

Continua a leggere

Investimenti

Borse pimpanti per nomina di Scott Bessent, poi correggono. Male Bitcoin, sotto i 95.000$. La settimana del Black Friday si conferma…

…una settimana fatta anche di assurdità sui mercati risk on. A fondo il petrolio, che paga l’aria di cessate il fuoco in Medio Oriente.

Pubblicato

il

WS BESSENT

Una giornata coi fiocchi quella che da il benvenuto al nuovo Segretario del Tesoro degli Stati Uniti, Scott Bessent. La scelta di Donald Trump piace ai mercati, con SPX500 che supera i 6.000 in apertura, salvo poi correggere all’interno di una giornata dal gusto dolce-amaro per i principali asset di rischio. Notevole anche la performance di Bitcoin, che perde il supporto dei 95.000$, correggendo dopo essere stato per giorni ad un passo dalla soglia psicologica dei 100.000$.

Una giornata di quelle da ricordare presso le principali piazze finanziarie internazionali, complici diverse evoluzioni che hanno contribuito ad un indebolimento del dollaro. Male anche il petrolio, che lascia oltre il 3% sui mercati e chiude sotto i 70$, complice un avvicinamento tra Israele e Hamas in termini di una possibile soluzione del conflitto, con un raggiungimento del cessate il fuoco che sembrerebbe essere di nuovo sul tavolo.

Arriva Scott Bessent: i mercati reagiscono a modo loro

L’entusiasmo c’è stato, ed è stato però limitato alla prima sessione della seduta americana, che ha visto un impennata dei principali indici, trascinati principalmente da aziende che hanno una parte rilevante del loro business all’interno dei confini degli Stati Uniti. La scelta di Scott Bessent, navigato operatore nel mondo dei fondi hedge, sembrerebbe essere piaciuta ai mercati di rischio, che però poi hanno corretto trascinandosi dietro i più estesi degli asset di questa categoria. Su tutti Bitcoin, che chiude una giornata forse non da incubo, ma comunque di importante correzione sotto quota 95.000$.

Il tutto all’interno di una settimana storicamente particolare per i mercati USA: è la settimana infatti del Ringraziamento (che vedrà le borse chiuse giovedì) e del Black Friday, tra le altre cose di un anno elettorale. Manca comunque poco alla configurazione finale del governo Trump, che darà forse, almeno a livello di promesse elettorali, una prima direzione ai mercati. Con un occhio vigile sempre sui dati della settimana, che saranno dominati dal PCE, ritenuto un indicatore di enorme importanza da parte di Federal Reserve.

Continua a leggere

Investimenti

Indagine di Fed: mercati temono recessione più di inflazione. Timore per i dazi di Donald Trump e per spesa pubblica

Pubblicato

il

Paura Mercati Inflazione Fed

Secondo una recente indagine di Federal Reserve, l’inflazione non sarebbe più una preoccupazione, almeno per i professionisti della finanza. A preoccupare maggiormente ci sono gli effetti che la vittoria di Trump avrà sul debito pubblico, insieme a preoccupazioni per una recessione e anche per limitazioni al commercio globale. La prima e la terza, senza dubbio alcuno, sono legate al prossimo ciclo politico degli USA, che sarà governato da un presidente che ha promesso dazi importanti verso i paesi non allineati e anche verso quelli allineati che non riconosceranno la supremazia del dollaro.

Sul debito pubblico in crescita, ci saranno invece da valutare gli impegni, per ora solo di propositi, sulla riduzione considerevole delle agenzie federali e conseguentemente della spesa pubblica. Si tratta di DOGE, il dipartimento guidato da Elon Musk e Vivek Ramaswamy, i cui esiti per il momento però non possono che essere incerti.

Addio preoccupazioni per l’inflazione, benvenute preoccupazioni per la recessione

In realtà sono preoccupazioni che albergano sui mercati – e che sono parzialmente riflesse nel mercato dei bond – ormai da qualche settimana. L’atteggiamento più hawkish in pubblico di Jerome Powell non sembrerebbe aver tolto dalla mente dei mercati che ora il rischio è quello di essere in ritardo sul ciclo e di arrivare con tassi troppo alti (e superiori al tasso neutrale). Tassi troppo alti che finirebbero per favorire un trend di rallentamento atteso per l’economia USA e più in generale per l’economia a livello mondiale.

A esacerbare il rischio recessione, i dazi di Trump: un rallentamento considerevole dei commerci internazionali avrebbe, secondo gli specialisti, un effetto recessivo importante su tutte le principali economie. Siamo però ancora nel campo delle ipotesi. Chi ha una certa esperienza delle cose dei mercati e di quelle politiche non potrà che ricordarsi di quanto, in passato, le promesse elettorali siano state poi diverse dalla realtà.

Continua a leggere

Trending