Materie prime
OCSE: gli svantaggi delle restrizioni sulle materie prime
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Secondo una ricerca dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Organization for Economic Co-operation and Development, OECD) pubblicata martedì 11 aprile sul suo sito web, il forte aumento delle restrizioni all’esportazione di materie prime fondamentali per le tecnologie verdi da parte di Paesi come la Cina e l’India ha un impatto potenzialmente notevole sull’economia globale e potrebbe rendere più difficile il raggiungimento degli obiettivi climatici.
Le restrizioni, la maggior parte delle quali sono tasse, ma anche limiti quantitativi, sono aumentate di oltre cinque volte nell’ultimo decennio, al punto che il 10% del valore globale delle esportazioni è soggetto ad almeno una misura, secondo quanto è stato riportato dall’organizzazione internazionale, che lavora per costruire politiche migliori in più ambiti per una vita più felice.
Mentre le restrizioni alle esportazioni aumentano…
Un nuovo documento politico sulle materie prime per la transizione verde dell’OCSE (Production, International Trade and Export Restrictions) presenta i dati sulla produzione e sulle concentrazioni commerciali di materie prime e getta una prima luce sull’impatto delle restrizioni all’esportazione.
Il report mostra che, sebbene la produzione e il commercio della maggior parte delle materie prime critiche siano aumentati rapidamente negli ultimi dieci anni, la crescita non sta tenendo il passo con la domanda prevista di metalli e minerali necessari per trasformare l’economia globale da un’economia dominata dai combustibili fossili a una guidata dalle tecnologie energetiche rinnovabili.
Come si legge nel report, il litio, gli elementi delle terre rare, il cromo, l’arsenico, il cobalto, il titanio, il selenio e il magnesio hanno registrato le maggiori espansioni dei volumi di produzione (tra il 33% per il magnesio e il 208% per il litio) negli ultimi dieci anni. Tuttavia, ciò è di gran lunga inferiore agli aumenti di quattro o sei volte della domanda previsti per la transizione verde.
Allo stesso tempo, la produzione globale di alcune materie prime critiche, come il piombo, la grafite naturale, lo zinco, i minerali e i concentrati di metalli preziosi e lo stagno, è invece diminuita nell’ultimo decennio.
La produzione di materie prime essenziali si sta concentrando sempre più tra i Paesi, con Cina, Russia, Australia, Sudafrica e Zimbabwe tra i principali produttori e detentori di riserve. Anche le importazioni e le esportazioni di materie prime critiche sono sempre più concentrate tra i Paesi, ma il commercio di queste materie rimane relativamente ben diversificato.
Per esempio, come di recente affermato dal governo australiano in un aggiornamento delle sue prospettive quinquennali, con l’accelerazione della transizione energetica globale i ricavi delle esportazioni del Paese di minerali critici come il litio e il nichel aumenteranno. Nel report si prevede addirittura che l’aumento della domanda di litio e nichel porterà a raggiungere quasi l’attuale seconda maggiore fonte di esportazioni, il carbone, entro il 2028.
Tuttavia, le restrizioni all’esportazione di materie prime critiche sono quintuplicate da quando l’OCSE ha iniziato a raccogliere i dati nel 2009, e il 10% delle esportazioni globali di materie prime critiche è ora soggetto ad almeno una misura di restrizione all’esportazione.
In particolare, le restrizioni all’esportazione di minerali (in sostanza le materie prime situate a monte delle catene di approvvigionamento delle materie prime critiche) sono cresciute più rapidamente rispetto alle restrizioni negli altri segmenti della catena di approvvigionamento delle materie prime critiche, in correlazione con i crescenti livelli di produzione, importazione ed esportazione, nonché con la concentrazione in un numero ridotto di Paesi.
Cina, India, Argentina, Russia, Vietnam e Kazakistan, infatti, sono i primi sei Paesi in termini di nuove restrizioni alle esportazioni di materie prime critiche nel periodo dal 2009 al 2020 e rappresentano anche le quote più elevate di dipendenza dalle importazioni dei Paesi OCSE.
Pertanto, l’organizzazione internazionale ritiene che la tendenza all’aumento delle restrizioni all’esportazione possa avere un ruolo nei principali mercati internazionali, con effetti potenzialmente rilevanti sia sulla disponibilità che sui prezzi di queste materie prime.
… la transizione verde è minacciata
I risultati giungono mentre l’OCSE ha dichiarato che per soddisfare l’aumento della domanda previsto da quattro a sei volte per la transizione verde e raggiungere gli obiettivi globali di emissioni nette di diossido di carbonio pari a zero, è necessario un significativo aumento della produzione e del commercio internazionale di materie prime essenziali.
Il Segretario Generale dell’OCSE, Mathias Cormann, ha dichiarato a tal proposito che i responsabili politici devono esaminare attentamente il modo in cui la concentrazione della produzione e del commercio, unita al crescente ricorso alle restrizioni all’esportazione, influisce sui mercati internazionali delle materie prime essenziali, affinché le carenze di materiali non impediscano di rispettare gli impegni in materia di cambiamenti climatici.
News
Litio, la sovraproduzione cinese ne ha fatto crollare i prezzi. Una politica che si rivolta contro la stessa Pechino
La sovraproduzione cinese ha avuto un impatto immediato sui prezzi del litio, che sono scesi drasticamente. Ma la politica ha delle conseguenze per la stessa Pechino.
Obiettivo abbassamento delle quotazioni del litio. Possiamo sintetizzare in questo modo la politica commerciale attuata dai produttori cinesi, che stanno provocando un vero e proprio calo dei prezzi, con l’intento di eliminare i progetti dei concorrenti. A renderlo noto è un alto funzionario statunitense citato da Reuters, che in questi giorni è in viaggio in Portogallo, un paese in cui ci sono ampie riserve di litio.
Nel corso di una briefing che si è tenuto ieri, lunedì 7 ottobre 2024, Jose Fernandez, sottosegretario per la crescita economica, l’energia e l’ambiente del Dipartimento di Stato statunitense, ha affermato che la Cina starebbe producendo molto più litio di quanto sia necessario in questo momento.
Ma entriamo nel dettaglio e cerchiamo di capire cosa sta accadendo.
Litio, la Cina produce più di quanto sia necessario
Ma cosa sta accadendo in questo momento. E perché l’attenzione della maggior parte degli osservatori è rivolta proprio al litio? Jose Fernandez ha spiegato che quella messa in atto da Pechino è, a tutti gli effetti, una risposta intenzionale a quanto gli Stati Uniti stanno cercando di fare attraverso l’Inflation Reduction Act, uno dei più importanti pacchetti di investimento per il clima e l’energia della storia degli Usa, che è valutato oltre 400 miliardi di dollari.
Secondo Fernandez la Cina si sta impegnando in prezzi predatori, abbassando i prezzi in modo da annullare e far scomparire del tutto la concorrenza.
In questo momento la Cina rappresenta circa due terzi della produzione chimica di litio al mondo. Ricordiamo che questa commodity viene utilizzata principalmente nelle batterie, comprese quelle delle auto elettriche. Nel corso dell’ultimo anno, i prezzi del litio sono scesi dell’80%: a determinare questo crollo delle quotazioni è principalmente la sovrapproduzione cinese e il calo della domanda di veicoli elettrici. Il crollo dei prezzi, ad ogni modo, ha colpito anche la stessa Cina, perché molte aziende – tra le quali il gigante delle batterie CATL – sono state costrette a sospendere la produzione in alcune miniere.
L’impatto della riduzione del prezzo del litio
L’Unione europea ha intenzione di ridurre la propria dipendenza dalle importazioni di litio e di altri minerali necessari per la transizione verde. Soprattutto quando provengono dalla Cina e da altri paesi.
Il prezzo basso del litio, secondo Fernandez, limita la capacità di diversificare le catene di fornitura su vasta scala globale. Ma soprattutto danneggia alcuni paesi – come il Portogallo – che hanno bisogno di una serie di investimenti per sviluppare queste industrie. Il calo dei prezzi ha costretto molti produttori mondiali di litio a ridurre la produzione e a tagliare posti di lavoro.
Il Portogallo, con circa 60.000 tonnellate di riserve note, è già il più grande produttore europeo di litio, tradizionalmente estratto per la ceramica.
Insieme alla vicina Spagna, il Paese vuole sfruttare i giacimenti locali di litio, puntando a coprire l’intera filiera, dall’estrazione e raffinazione alla produzione di celle e batterie, fino al riciclaggio delle batterie. Diverse società minerarie in Portogallo sono alla ricerca di finanziamenti, clienti e fornitori per avviare i loro progetti.
Fernandez ha spiegato che l’intenzione è quella di aiutarli e ritiene di poterlo fare. Le aziende minerarie del litio, ovunque esse siano, devono sopravvivere a questa fase difficile, creata dai prezzi predatori.
A giugno, il premier cinese Li Qiang ha utilizzato il suo discorso al World Economic Forum di Dalian per rispondere alle accuse degli Stati Uniti e dell’Unione Europea secondo cui le aziende cinesi traggono vantaggio da sussidi ingiusti e sono pronte a inondare i loro mercati con tecnologie verdi a basso costo.
Le tensioni commerciali si sono intensificate venerdì scorso quando l’Unione Europea ha dichiarato che avrebbe continuato a imporre pesanti dazi sui veicoli elettrici fabbricati in Cina per contrastare quelli che considera sussidi cinesi ingiusti, dopo un’indagine anti-sovvenzioni durata un anno. Martedì la Cina ha imposto misure anti-dumping temporanee sulle importazioni di brandy dall’UE.
News
Petrolio, le quotazioni Wti superano i 75 dollari al barile. Il Brent si avvicina agli 80 dollari
Le quotazioni del petrolio subiscono le tensioni dell’anniversario dell’attacco ad Israele. Arrivano anche le prime prese di profitto degli investitori.
Oggi 7 ottobre 2024, anniversario dell’attacco di Hamas a Israele, le quotazioni del petrolio tornano a salire. Scambiato a 75,43 dollari al barile il greggio WTI con consegna a novembre guadagna l’1,41%, ai massimi da agosto. Il Brent, invece, viene scambiato in mattinata a 79,89 dollari al barile con una crescita dell’1,08%.
Il prezzo del petrolio, la scorsa settimana, ha registrato l’aumento settimanale più repentino da un anno a questa parte. I timori di un eccesso di offerta in un contesto di domanda più debole hanno contrastato i timori che il conflitto in Medio Oriente si potesse allargare. Situazione che avrebbe potuto compromettere le esportazioni di una delle più importanti regioni nelle quali si produce il petrolio
La scorsa settimana il petrolio Brent ha registrato un aumento dell’8%, registrando la migliore performance da gennaio 2023. I contratti WTI, invece, sono cresciuti del 9,1%, sfiorando i massimi da marzo 2023. A tenere alta l’attenzione sulle quotazioni del petrolio erano le aspettative che Israele potesse colpire le infrastrutture petrolifere iraniane in risposta all’attacco missilistico del 1° ottobre 2024. Al momento, però, si è ancora in attesa di una risposta da parte di Tel Aviv: alcuni investitori potrebbero aver venduto futures per monetizzare i guadagni derivati dalle recenti oscillazioni delle quotazioni.
Arrivano le prime prese di profitto sul petrolio
Priyanka Sachdeva, analista di mercato senior presso Phillip Nova, ritiene logico che sul petrolio siano arrivate le prime prese di profitto tecniche. Ad ogni modo il mercato sembra essere destinato a sperimentale dei venti favorevoli, determinati proprio dai timori di possibili ritorsioni di Israele con l’Iran. Secondo Sachdeva la potenziale escalation su vasta scala del conflitto in Medio Oriente, fino a questo momento, ha sostanzialmente contrastato le crescenti pressioni dal lato della domanda.
Il giorno prima dell’anniversario degli attacchi di Hamas contro Israele (7 ottobre), Tel Aviv ha preso di mira gli obiettivi di Hezbollah in Libano e nella Striscia di Gaza. Il ministro della Difesa israeliano ha ribadito che tutte le opzioni erano aperte per una ritorsione contro l’Iran.
Stando a quanto ha riferito la polizia, nelle prime ore della giornata i razzi di Hezbollah hanno colpito Haifa, la terza città più grande di Israele e i media israeliani hanno riferito di 10 feriti nel nord del Paese.
ANZ Research ha avvertito che, nonostante l’aumento dei prezzi del petrolio la scorsa settimana, l’impatto del conflitto sulla fornitura di petrolio sarà relativamente limitato. Gli analisti ritengono che un attacco diretto alle strutture petrolifere dell’Iran sia la risposta meno probabile tra le opzioni di Israele. Secondo ANZ Research abbiamo assistito a un impatto ridotto degli eventi geopolitici sulla fornitura di petrolio. Ciò ha portato a un premio di rischio geopolitico significativamente più basso applicato ai mercati petroliferi negli ultimi anni. I sette 7milioni di barili al giorno di capacità inutilizzata dell’Opec costituiscono a tutti gli effetti un ulteriore cuscinetto.
La politica dell’Operc
L’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (Opec) e i suoi alleati, tra cui Russia e Kazakistan, hanno a disposizione di milioni di barili di capacità inutilizzata: nel corso degli ultimi anni è stata ridotta la produzione per sostenere i prezzi in un contesto di debole domanda globale.
Secondo gli analisti, il gruppo di produttori ha una capacità di riserva di petrolio sufficiente a compensare l’eventuale perdita totale delle forniture iraniane nel caso in cui Israele dovesse decidere di distruggere gli impianti di quel paese, ma avrebbe difficoltà nel caso in cui l’Iran dovesse reagire colpendo gli impianti dei suoi vicini del Golfo.
Nell’ultima riunione del 2 ottobre, l’Opec ha deciso di mantenere invariata la sua politica sulla produzione di petrolio, compreso un piano per iniziare ad aumentare la produzione a partire da dicembre.
Materie prime
Trovato negli USA il più grande giacimento di litio al mondo
All’interno di un’antica caldera tra Nevada e Oregon, una recente ricerca suggerisce la presenza di una riserva di litio mai vista prima. Questa caldera, conosciuta come McDermitt Caldera, potrebbe contenere quantità di litio che superano qualsiasi altro giacimento noto, oscillando tra i 20 e i 40 milioni di tonnellate metriche. Per fare un confronto, attualmente si ritiene che il più grande giacimento esistente di litio si trovi in Bolivia. Si tratta del deposito di Salar de Uyuni: con un potenziale di oltre 10 milioni di tonnellate metriche, la sua dimensione sarebbe eclissata da quella di McDermitt nel caso in cui lo studio avesse ragione.
Ma non è oro tutto ciò che luccica. La ricerca è stata finanziata da una società mineraria, il che solleva dubbi sulla sua obiettività. Inoltre le prospettive di estrarre il litio da questa zona hanno scatenato una tempesta di controversie, legate tanto alla salvaguardia ambientale quanto al rispetto delle tribù indiane d’America che ancora vivono in quest’area. La McDermitt Caldera non è solo un giacimento: è un luogo sacro per molte tribù indigene e un habitat prezioso per la fauna selvatica. Ora, però, potrebbe diventare anche la sede di un progetto minerario chiamato Thacker Pass Lithium mine, recentemente approvato dal governo statunitense.
Un’occasione estremamente ghiotta per gli USA
Il litio è essenziale per le batterie, e le batterie sono essenziali per la transizione ecologica. Attualmente però negli Stati Uniti se ne produce ancora poco, malgrado i progetti sviluppati da Albemarle in South Carolina. Prevalentemente gli USA devono fare affidamento sulle importazioni per soddisfare il proprio bisogno di litio, importandone una parte importante dalla Cina. Con le relazioni sempre più tese tra Washington e Pechino, per la Casa Bianca sarebbe un grande colpo quello di poter sviluppare il più grande progetto di estrazione di litio al mondo.
Lo sviluppo del progetto dovrebbe essere affidato a Lithium Nevada LLC, una controllata del grande gruppo Lithium Americas Corporation (LAC). Il gruppo LAC è anche quello che ha finanziato la ricerca in questione, secondo la quale la grande entità del giacimento si dovrebbe a una maxi-eruzione del vulcano McDermitt risalente a 16 milioni di anni fa.
Forti critiche da comunità locali e indigeni
Il progetto non è stato accolto da tutti nello stesso modo. Se l’industria degli EV e dello stoccaggio energetico può celebrare un grande passo in avanti per la stabilizzazione dell’offerta di litio, ci sono anche altri stakeholder meno felici. Gli allevatori della zona lamentano il fatto che i livelli di acque superficiali sono destinati a calare bruscamente, rendendo molto difficili sia l’allevamento che l’agricoltura in quest’area di confine tra Nevada e Oregon. Ma le critiche più aspre provengono dalle tante tribù indigene che vedono in questo vulcano un luogo sacro.
I membri delle tribù indigene hanno scritto una lettera ufficiale di opposizione al nuovo progetto, in cui si legge che sono consapevoli di quanto la nuova miniera possa impattare positivamente la lotta al cambiamento climatico. Al tempo stesso, però, chiedono che la lotta al cambiamento climatico non diventi l’ennesima scusa per appropriarsi dei territori sacri ai primi abitanti degli Stati Uniti.
Materie prime
Petrolio e gas: picco entro il 2023. Parla il capo di IEA
Secondo Fatih Birol, a capo dell’agenzia energetica IEA, entro il 2030 il mondo vedrà il picco di domanda per i combustibili fossili. Una previsione che, come vedremo, è in realtà contestata da più studi e più proiezioni, ma che indica al tempo stesso chiaramente le tendenze di policymaker e di agenzie internazionali, che pur hanno una parola importante in uno dei dibattiti più accesi del mondo moderno.
Secondo Birol il mondo starebbe assistendo all’inizio della fine per l’era dei combustibili fossili e sarà necessario prepararsi a questa transizione verso una nuova era, fatta principalmente di energie rinnovabili. E questo sarebbe segno del fatto che le politiche sul clima stanno funzionando. Per qualcuno, però, è come chiedere all’oste quanto sia buono il vino. Il discorso è tuttavia più complesso, almeno quello che possiamo ascoltare dalla viva voce e dalla viva penna di Fatih Birol – e merita dunque ulteriori approfondimenti, anche per le ripercussioni che certe previsioni potrebbero avere sul mercato delle materie prime.
Picco entro il 2030: l’inizio della fine per i combustibili fossili
La previsione è netta: ha una data che permetterà a tutti di verificarne la bontà ed è basata, almeno secondo il leader dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, su trend tanto economici quanto politici.
Secondo Fatih Birol siamo infatti davanti ad un punto di svolta per il settore energetico: il picco di consumo dei combustibili fossili sarà tra noi entro il 2030, sia grazie a riorganizzazioni dei sistemi produttivi, sia invece grazie a politiche che stanno, afferma Birol, indirizzando certe scelte economiche.
- Il caso economico della Cina
Ad interessare maggiormente l’analisi di Birol sono le condizioni industriali della Cina. Negli ultimi 10 anni, ricorda Birol, l’aumento di domanda di gas naturale (per un terzo) e di petrolio (per 2 terzi) sono imputabili alla Cina, che comunque si sta muovendo verso industrie meno bisognose di energia in grandi quantità e a basso costo.
- Il ruolo delle rinnovabili
Ad essere parte integrante della profezia di Birol è anche la possibilità che solare, nucleare e eolico finiscano per erodere la potenziale crescita dell’utilizzo di carbone in Cina. Previsioni, queste, che incontrano però la resistenza di altre proiezioni, che non arrivano da IEA.
- Resistenze da parte degli elettorati
Fatih Birol ammette però che il cammino potrebbe essere meno tranquillo di quanto preventivato. Esistono, lo riconosce anche il direttore di IEA, delle resistenze nell’elettorato a cambiamenti rapidi.
E, aggiungiamo noi, anche preoccupazioni su chi dovrà sopportare i costi di questi cambiamenti rapidi. Lettura che è condivisa a Bruxelles anche da chi guida il Parlamento Europeo, quella Roberta Metsola che ha avvisato i membri del consesso più elevato dell’Unione Europea che politiche energetiche costose e con impatto sulla vita quotidiana della cittadinanza potrebbero favorire uno spostamento degli elettori verso partiti populisti.
Un problema per il petrolio?
Per ora – non ce ne voglia Fatih Birol – i mercati non sembrano essere granché preoccupati di queste proiezioni, pur tenendo conto del fatto che gli orizzonti del mercato commodities sono in genere di respiro molto meno ampio.
Per quanto Birol dichiari i nuovi investimenti in attività estrattive potenziale capitale morto – nel Regno Unito il governo sembrerebbe essere di diverso avviso. E presto, con la crisi che morde, potrebbero seguire le orme di Londra anche altri governi europei.
Materie prime
Goldman Sachs: Petrolio in aumento e domanda da record
Secondo Goldman Sachs, i prezzi del petrolio sono proiettati in un aumento fino a 86 dollari al barile entro la fine dell’anno, rispetto agli attuali 80 dollari. Questo incremento è previsto a causa di una domanda di petrolio record e di una riduzione dell’offerta, che creeranno un significativo deficit di mercato.
Daan Struyven, capo della ricerca sul petrolio presso Goldman Sachs, ha riferito al programma “Squawk Box Asia” di CNBC che sono previsti deficit piuttosto rilevanti nella seconda metà dell’anno, si parla di quasi 2 milioni di barili al giorno nel terzo trimestre a causa della domanda che raggiungerà livelli senza precedenti.
L’incertezza regna sovrana
Recentemente, il numero delle piattaforme petrolifere attive negli Stati Uniti è sceso ai minimi livelli degli ultimi 16 mesi, con una diminuzione del 15% rispetto al picco raggiunto alla fine del 2022, come evidenziato da un rapporto recente di Goldman, che ha preso in considerazione dati forniti da Baker Hughes e Haver.
La scorsa settimana, Baker Hughes ha riportato un calo di 7 piattaforme petrolifere negli Stati Uniti, portando il totale a 530, il livello più basso registrato da marzo 2022. Struyven ha aggiunto che il mancato accordo dopo la riunione dei ministri dell’energia del G20 indica un’importante incertezza riguardo alla domanda futura di petrolio.
I ministri dell’energia del Gruppo dei 20 si sono riuniti in India nel corso del fine settimana, senza però raggiungere un consenso sulla riduzione graduale dei combustibili fossili, complicando così la transizione verso fonti di energia pulita.
Nel mese di giugno, l’Agenzia Internazionale dell’Energia aveva previsto una crescita della domanda globale di petrolio di 2,4 milioni di barili al giorno nel 2023, superando così l’aumento di 2,3 milioni di barili al giorno dell’anno precedente.
Durante il fine settimana, il segretario generale del Forum Internazionale dell’Energia, Joseph McMonigle, ha previsto che sia l’India che la Cina contribuiranno con un aumento di 2 milioni di barili al giorno nella domanda nel secondo semestre del 2023.
Diminuiscono anche le esportazioni di Russia e OPEC
Contemporaneamente, emergono prove tangibili di una riduzione nell’offerta da parte dell’OPEC+. Le esportazioni russe di petrolio greggio hanno segnato una seconda settimana consecutiva di calo e si stima che siano scese al livello più basso degli ultimi sei mesi nel periodo di quattro settimane fino al 16 luglio.
Inoltre, la Russia si prepara a tagliare di 500.000 barili al giorno le sue esportazioni di petrolio per il mese di agosto, e le attuali pianificazioni di spedizione suggeriscono che potrebbe rispettare almeno in parte l’impegno preso di ridurre le esportazioni il prossimo mese.
Analogamente, anche l’Arabia Saudita sta registrando una diminuzione delle esportazioni di petrolio greggio, che sono scese sotto i 7 milioni di bpd a maggio per la prima volta in molti mesi. Questa tendenza potrebbe ulteriormente diminuire in quanto l’Arabia Saudita ha annunciato di ridurre la produzione di 1 milione di bpd sia a luglio che ad agosto.
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