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PIL cinese aumentato del 7,3%, ma la ripresa svanisce

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L'economia cinese è probabilmente cresciuta del 7,3% nel secondo trimestre rispetto all'anno precedente a causa di una base bassa, ma lo slancio sta rapidamente vacillando

Le incertezze della scorsa settimana sui dati relativi alla ripartenza economica cinese sono state confermate. L’economia cinese è probabilmente cresciuta del 7,3% nel secondo trimestre rispetto all’anno precedente a causa di una base bassa, ma lo slancio sta rapidamente vacillando. Secondo quanto riportato dagli analisti economici intervistati da Reuters, aumentano le aspettative che Pechino dovrà presto implementare ulteriori misure di stimolo per una ripartenza economica più concreta.

Mentre la lettura sarà fortemente distorta dai problemi economici causati dai blocchi del Covid-19 dello scorso anno, l’espansione prevista sarebbe la più alta dal secondo trimestre del 2021, secondo le previsioni mediane dei 56 economisti intervistati.

L'economia cinese è probabilmente cresciuta del 7,3% nel secondo trimestre rispetto all'anno precedente a causa di una base bassa, ma lo slancio sta rapidamente vacillando
L’economia cinese è probabilmente cresciuta del 7,3% nel secondo trimestre rispetto all’anno precedente a causa di una base bassa, ma lo slancio sta rapidamente vacillando

L’andamento della crescita economica cinese

Il prodotto interno lordo è cresciuto di un 4,5% più forte del previsto nel primo trimestre, trainato dalla domanda repressa dopo tre anni di freno legato alle restrizioni implementate per la gestione della pandemia di Covid-19, ma lo slancio è svanito da aprile con l’indebolimento della domanda interna ed internazionale. Evidenziando la rapida e brusca decelerazione, gli analisti prevedono che l’economia è cresciuta solo dello 0,5% nel secondo trimestre rispetto ai primi tre mesi dell’anno, quando era cresciuta del 2,2%.

L’economista di China Merchants Securities, Zhang Yiping, ha affermato che l’economia cinese necessita di forze motrici interne e, per questo motivo, non sorprende vedere un rallentamento della crescita su base sequenziale. Ha aggiunto che ci si può aspettare di vedere delle iniziative a livello governativo, sebbene uno stimolo aggressivo sembra improbabile. 

Gli economisti incolpano lo sbiadimento della ripresa sugli effetti compensatori causati dalle rigide misure intraprese per la gestione della pandemia e dai protratti vincoli normativi sui settori immobiliare e tecnologico. Con l’aumento delle incertezze, le famiglie e le imprese private stanno indirizzando i propri risparmi verso un saldo del proprio debito piuttosto che effettuare nuovi acquisti o investimenti. I dati pubblicati nella giornata di giovedì 13 luglio hanno mostrato che le esportazioni cinesi sono diminuite maggiormente in tre anni a giugno, crollando di un 12,4% su base annua. I numeri si dimostrano peggiori del previsto, poiché il raffreddamento della domanda globale aggiunge ulteriore stress all’economia.

All’inizio di questa settimana, i dati hanno mostrato che i prezzi alla produzione sono scesi al ritmo più veloce in oltre sette anni a giugno e i prezzi al consumo hanno oscillato sull’orlo della deflazione. Il premier, Li Qiang, durante un incontro con gli economisti la scorsa settimana, si è impegnato a lanciare misure politiche in modo tempestivo al fine di stabilizzare la crescita e l’occupazione. Gli occhi sono puntati su una riunione del Politburo alla fine del mese di luglio, quando i massimi leader potrebbero tracciare il corso politico per il resto dell’anno.

Mentre la Cina è vista sulla buona strada per raggiungere il suo modesto obiettivo di crescita del 2023 di circa il 5%, un rallentamento più profondo potrebbe alimentare più perdite di posti di lavoro e alimentare i rischi deflazionistici. Secondo gli economisti, in questo modo potrebbe essere minata ulteriormente la fiducia del settore privato. È probabile che la crescita economica rallenti al 4,8% nel terzo trimestre e al 5,3% nel quarto, con una crescita per l’intero anno che dovrebbe raggiungere il 5,5%, secondo il sondaggio realizzato da Reuters.

La Cina resta sulla buona strada per raggiungere il modesto obiettivo di crescita del 2023 di circa il 5%
La Cina resta sulla buona strada per raggiungere il modesto obiettivo di crescita del 2023 di circa il 5%

Altri stimoli previsti dal governo centrale?

È probabile che le autorità governative implementino misure di stimolo, tra cui la spesa fiscale per finanziare progetti infrastrutturali di grandi dimensioni. Inoltre, risulta necessario un maggiore sostegno per i consumatori e le imprese private e alcuni allentamenti delle politiche immobiliari.

Lunedì la Banca Popolare Cinese ha prorogato fino alla fine del 2024 alcune politiche che erano state svelate in un pacchetto di salvataggio di novembre per sostenere il settore immobiliare, comprese le estensioni del rimborso dei prestiti per gli sviluppatori. La Cina ha tagliato i tassi sui prestiti di riferimento di 10 punti base a giugno, la prima riduzione di questo tipo in 10 mesi.

Ma è probabile che la banca centrale sia cauta nel tagliare ulteriormente i tassi sui prestiti. Una riluttanza a prendere in prestito da parte delle società private e delle famiglie significa che il continuo allentamento delle politiche potrebbe danneggiare le banche che stanno già combattendo le pressioni sui margini. Un allentamento aggressivo potrebbe anche innescare ulteriori deflussi di capitali dai mercati finanziari cinesi in difficoltà e mettere sotto pressione la valuta yuan, che recentemente è scivolata ai minimi di otto mesi.

Dopo aver concluso il doppio titolo di laurea magistrale in Relazioni Internazionali tra l'Università di Torino e la Tongji University di Shanghai, ha lavorato in Portogallo nell'ambito della gestione social per le aziende. Nella collaborazione con Tradingonline.com ha trovato il giusto connubio tra i suoi interessi verso la Green economy e la gestione delle materie prime a livello internazionale, insieme al suo stile di vita da nomade digitale.

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Investimenti

Donald Trump minaccia i BRICS: pronti dazi del 100% se attaccheranno il dollaro

Donald Trump torna su dazi e minaccia di nuovo i BRICS. Niente accesso agli USA se…

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Dazi Trump BRICS

Continuano le discussioni sui dazi negli Stati Uniti, dazi che dovranno arrivare – almeno secondo programmi – dopo il giuramento del futuro presidente Donald Trump, il prossimo 20 gennaio. Dazi che hanno già fatto discutere per quanto riguarda gli alleati storici degli Stati Uniti e che però potrebbero farsi molto più seri nei confronti dei BRICS, o meglio, dei paesi che amano maggiormente un consesso di paesi non allineati e del quale si parla con sempre maggiore insistenza. Secondo quanto affermato da Donald Trump direttamente sul social Truth, il governo USA potrà imporre dazi del 100% sui paesi BRICS che proveranno a attaccare il dollaro USA.

Secondo quanto è stato riportato da Yahoo Finance, il messaggio sarebbe stato indirizzato a tutti i principali membri dei BRICS, tra i quali figurano non solo la Russia, ma anche Brasile, India, Cina, Iran, Emirati, Egitto e Etiopia. Un consesso che presto potrebbe allargarsi e che potrebbe vedere anche l’ingresso di un alleato storico, ovvero la Repubblica di Turchia. Non è chiaro però a quali manovre per minare la supremazia del dollaro faccia riferimento Donald Trump.

Una questione emersa già in campagna elettorale

Una difesa del dollaro – costi quel che costi – era già venuta fuori durante la campagna elettorale che ha portato Donald Trump alla Casa Bianca. Questa volta però ha preso la forma di un avviso a mezzo social, che afferma che se BRICS cercherà di creare una valuta o di supportarne altre per rimpiazzare il dollaro, si vedranno negare l’accesso ai mercati USA, con dazi del 100%.

La questione è di massimo interesse politico, dato che recentemente anche Vladimir Putin si era espresso sul tema, dicendo che l’interesse nella ricerca di alternative era dettato principalmente dal controllo politico della valuta che è ad oggi ancora riserva mondiale e – soprattutto – anima principale del commercio su scala internazionale.

Trump si è dimostrato comunque in più occasioni piuttosto convinto della capacità del dollaro di preservare il suo primato. E, a quanto parrebbe dopo il post di oggi, sarebbe pronto a qualunque cosa (o quasi) affinché tale minaccia non prenda forma.

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Germania: 2 miliardi di euro per l’industria dei chip. Arriva il piano del governo

Arrivano i sussidi in Germania per l’industria dei chip. 2 miliardi sul tavolo.

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Chip sussidi germania

La via europea ai chip passerà per un vecchio pallino della politica industriale dell’unione: gli incentivi. Secondo quanto è stato riportato da Bloomberg News, al fine di colmare il gap tanto con gli USA quanto con l’Asia, la Germania starebbe preparando un piano di almeno 2 miliardi di dollari in sussidi per favorire l’industria dei semiconduttori nel paese. Per ora però dal Ministero delle Finanze tedesco non arrivano conferme, per un tema che lo scorso anno era diventato più che politico a causa di una querelle riguardante gli investimenti di Intel nella Repubblica Federale.

Se tanti brinderanno ad un piano relativamente ambizioso, altri certamente contesteranno una politica di incentivi che su altri settori ha fallito, in particolare quello legato al mondo EV e delle energie pulite, per un’Europa che ormai discute incessantemente di misure per far riprendere la crescita e l’innovazione nel mercato comune. Innovazione e crescita che sono diventate, nel corso degli ultimi anni, sempre di più un miraggio, soprattutto nei settori a più alto margine e valore aggiunto.

2 miliardi per colmare il gap

Non è chiaro se si tratterebbe per il momento di un primo tentativo di sussidio all’interno di un programma più ampio, oppure di una mossa una tantum. Per avere un metro di paragone, il governo degli Stati Uniti ha assegnato a TMSC la scorsa settimana 6,5 miliardi di dollari di sussidio, all’interno di un programma di inshoring delle industrie ritenute strategiche.

Nel complesso il solo sito in Arizona di TMSC ha comportato spese per 65 miliardi di dollari, ovvero di circa 30 volte i sussidi che la Germania sarebbe pronta a mettere in campo.

L’unica conferma che arriva dal Ministero delle Finanze tedesco è che si tratta, citiamo testualmente, di un investimento in singola cifra sulla parte bassa (calcolata in miliardi). Difficilmente si tratterà di cifre più elevate. Al centro delle proposte che saranno ricevute, ci sarà la sostenibilità della stessa industria, altro tema che si è fatto in queste settimane molto scottante ai massimi livelli della discussione politica europea.

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Investimenti

Dal FOMC poche sorprese: Federal Reserve delinea una strada possibile per i 25 punti base a dicembre

Dai verbali del FOMC non vengono fuori grandi sorprese. Mercati immobili, tranne quello delle criptovalute.

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FED FOMC VERBALI

I verbali del FOMC, la riunione di Federal Reserve che si occupa (anche) di tassi di interesse, non hanno riservato grandi sorprese. La più potente delle riunioni monetarie globali aspetterà altri dati dall’andamento dei prezzi prima di prendere ulteriori decisioni. Le proiezioni rimangono grossomodo vicine a quelle del meeting precedente, con l’aspettativa concreta di vedere un rallentamento di tutti i principali indicatori dei prezzi. Atteggiamento simile alla precedente riunione anche per quanto riguarda invece il mercato del lavoro. Un suo ulteriore rallentamento avrebbe un impatto certo sull’andamento dell’economia, comandando in quel caso un’accelerazione del percorso di tagli.

La grande incognita però riguarda il tasso di interesse neutrale: i falchi in seno a Federal Reserve continuano a ripetere che per questo ciclo saranno più alti del solito, cosa però incerta data l’incertezza dei modelli che vengono utilizzati per misurarli. L’indicarli come più alti è funzionale ad un percorso di riduzione dei tassi più lento. I mercati non hanno reagito granché alla notizia, con il grosso nervosismo che si nota solo sul fronte delle criptovalute, con Bitcoin che si trova a correggere complessivamente dai massimi vicino ai 100.000$ ai 91.500$ di oggi.

Ancora grande incertezza per il FOMC

Sarà ancora un FOMC data driven quello del 18 dicembre. E per il 18 dicembre i mercati continuano con un rapporto 60/40 sì tagli, no tagli, che è fondamentalmente immutato ormai da qualche giorno. Secondo le precedenti proiezioni del FOMC, quelle del dot plot di settembre, ci dovrebbe essere un altro taglio. Ma sia la resilienza del mondo del lavoro, sia invece una certa persistenza dell’inflazione sembrerebbero mettere in dubbio il percorso.

Saranno fondamentali i dati in arrivo il 27 novembre, alle 14:30, per il PCE, uno degli indicatori ritenuti più utili da Federal Reserve e in particolare da Jerome Powell per rendersi conto di come stiano andando i mercati.

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Investimenti

Borse pimpanti per nomina di Scott Bessent, poi correggono. Male Bitcoin, sotto i 95.000$. La settimana del Black Friday si conferma…

…una settimana fatta anche di assurdità sui mercati risk on. A fondo il petrolio, che paga l’aria di cessate il fuoco in Medio Oriente.

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WS BESSENT

Una giornata coi fiocchi quella che da il benvenuto al nuovo Segretario del Tesoro degli Stati Uniti, Scott Bessent. La scelta di Donald Trump piace ai mercati, con SPX500 che supera i 6.000 in apertura, salvo poi correggere all’interno di una giornata dal gusto dolce-amaro per i principali asset di rischio. Notevole anche la performance di Bitcoin, che perde il supporto dei 95.000$, correggendo dopo essere stato per giorni ad un passo dalla soglia psicologica dei 100.000$.

Una giornata di quelle da ricordare presso le principali piazze finanziarie internazionali, complici diverse evoluzioni che hanno contribuito ad un indebolimento del dollaro. Male anche il petrolio, che lascia oltre il 3% sui mercati e chiude sotto i 70$, complice un avvicinamento tra Israele e Hamas in termini di una possibile soluzione del conflitto, con un raggiungimento del cessate il fuoco che sembrerebbe essere di nuovo sul tavolo.

Arriva Scott Bessent: i mercati reagiscono a modo loro

L’entusiasmo c’è stato, ed è stato però limitato alla prima sessione della seduta americana, che ha visto un impennata dei principali indici, trascinati principalmente da aziende che hanno una parte rilevante del loro business all’interno dei confini degli Stati Uniti. La scelta di Scott Bessent, navigato operatore nel mondo dei fondi hedge, sembrerebbe essere piaciuta ai mercati di rischio, che però poi hanno corretto trascinandosi dietro i più estesi degli asset di questa categoria. Su tutti Bitcoin, che chiude una giornata forse non da incubo, ma comunque di importante correzione sotto quota 95.000$.

Il tutto all’interno di una settimana storicamente particolare per i mercati USA: è la settimana infatti del Ringraziamento (che vedrà le borse chiuse giovedì) e del Black Friday, tra le altre cose di un anno elettorale. Manca comunque poco alla configurazione finale del governo Trump, che darà forse, almeno a livello di promesse elettorali, una prima direzione ai mercati. Con un occhio vigile sempre sui dati della settimana, che saranno dominati dal PCE, ritenuto un indicatore di enorme importanza da parte di Federal Reserve.

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Indagine di Fed: mercati temono recessione più di inflazione. Timore per i dazi di Donald Trump e per spesa pubblica

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Paura Mercati Inflazione Fed

Secondo una recente indagine di Federal Reserve, l’inflazione non sarebbe più una preoccupazione, almeno per i professionisti della finanza. A preoccupare maggiormente ci sono gli effetti che la vittoria di Trump avrà sul debito pubblico, insieme a preoccupazioni per una recessione e anche per limitazioni al commercio globale. La prima e la terza, senza dubbio alcuno, sono legate al prossimo ciclo politico degli USA, che sarà governato da un presidente che ha promesso dazi importanti verso i paesi non allineati e anche verso quelli allineati che non riconosceranno la supremazia del dollaro.

Sul debito pubblico in crescita, ci saranno invece da valutare gli impegni, per ora solo di propositi, sulla riduzione considerevole delle agenzie federali e conseguentemente della spesa pubblica. Si tratta di DOGE, il dipartimento guidato da Elon Musk e Vivek Ramaswamy, i cui esiti per il momento però non possono che essere incerti.

Addio preoccupazioni per l’inflazione, benvenute preoccupazioni per la recessione

In realtà sono preoccupazioni che albergano sui mercati – e che sono parzialmente riflesse nel mercato dei bond – ormai da qualche settimana. L’atteggiamento più hawkish in pubblico di Jerome Powell non sembrerebbe aver tolto dalla mente dei mercati che ora il rischio è quello di essere in ritardo sul ciclo e di arrivare con tassi troppo alti (e superiori al tasso neutrale). Tassi troppo alti che finirebbero per favorire un trend di rallentamento atteso per l’economia USA e più in generale per l’economia a livello mondiale.

A esacerbare il rischio recessione, i dazi di Trump: un rallentamento considerevole dei commerci internazionali avrebbe, secondo gli specialisti, un effetto recessivo importante su tutte le principali economie. Siamo però ancora nel campo delle ipotesi. Chi ha una certa esperienza delle cose dei mercati e di quelle politiche non potrà che ricordarsi di quanto, in passato, le promesse elettorali siano state poi diverse dalla realtà.

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