News Economia
PKO Bank Polski: l’amministratore delegato si dimette
La più grande banca polacca, PKO Bank Polski (PKO BP), ha dichiarato giovedì 6 aprile che Paweł Gruza, il suo amministratore delegato ad interim, si dimetterà dal suo ruolo il 12 aprile.
Secondo quanto è stato riportato in un comunicato stampa della stessa banca, le dimissioni presentate, secondo le informazioni contenute nel loro contenuto, non implicano le dimissioni di Paweł Gruza dalla partecipazione alla composizione del consiglio di amministrazione della banca o dalla funzione di vicepresidente del consiglio di amministrazione della banca.
Ciò significa che Gruza intende di fatto rimanere all’interno del consiglio di amministrazione della banca e continuare a ricoprire il ruolo di vicepresidente del consiglio di amministrazione, anche se non cercherà la posizione di amministratore delegato né continuerà a gestire il lavoro del consiglio.
Un episodio a cui la PKO BP è ormai abituata
La nomina di Paweł Gruza a presidente di PKO BP è subordinata all’approvazione da parte della commissione di vigilanza finanziaria del Paese (Komisja Nadzoru Finansowego, KNF). Pertanto, in attesa di tale approvazione, è stato nominato capo del consiglio di amministrazione di PKO BP ad interim l’8 agosto 2022. Fino ad allora, avrebbe agito come vicepresidente responsabile del consiglio di amministrazione.
Ad oggi, l’autorità di vigilanza finanziaria non ha ancora risposto alla richiesta di consenso per nominare Paweł Gruza presidente di PKO BP.
L’attuale amministratore delegato, tuttavia, non ha fornito alcuna motivazione per la sua decisione di dimettersi da CEO ad interim giovedì.
Questa mossa segna il quarto abbondono della carica in PKO BP dal maggio 2021, quando Zbigniew Jagiello ha sorpreso il mercato dimettendosi da amministratore delegato dopo 12 anni al timone. Dal suo allontanamento, poi, la banca ha già avuto tre amministratori delegati: Jan Emeryk Rosciszewski, seguito da Iwona Duda e dal CEO ad interim Gruza.
PKO Bank Polski in breve
Powszechna Kasa Oszczędności Bank Polski Spółka Akcyjna (nota anche come PKO Bank Polski SA) è la più grande banca polacca e fornisce servizi a clienti privati e aziendali. L’attività principale di PKO Bank Polski è il retail banking. Il nome polacco completo si traduce approssimativamente in “cassa di risparmio generale”.
Con 1.145 filiali situate in Polonia e all’estero e una capitalizzazione di mercato di 52 miliardi di złoty polacchi (PLN, equivalenti a 12,6 miliardi di euro) a partire dal 2018, PKO BP Group è tra le più grandi istituzioni finanziarie in Polonia ed è anche uno dei più grandi gruppi finanziari nell’area centrale e orientale Europa.
Fondata nel 1919 per ordine del Capo dello Stato Józef Piłsudski, aveva dapprima l’obiettivo di introdurre in circolazione lo zloty polacco al posto del marco polacco (come derivato del marco tedesco). Dal 1920 la banca ha avuto personalità giuridica come ente statale. I dipendenti dei fondi erano associati nell’Associazione Lavoratori Risparmiatori Postali, che aveva le proprie ruote presso le filiali più grandi, tra cui Varsavia e Łódź.
Durante l’occupazione tedesca della Polonia, nella Seconda Guerra Mondiale, la PKO BP operava sotto la gestione tedesca. Nel 1945, tuttavia, ha ripreso l’attività di registratore di cassa.
Nei decenni seguenti l’offerta di PKO BP si è arricchita di un conto di risparmio e liquidazione per persone fisiche (comunemente denominato ROR).
A partire dal 1975, le filiali di PKO BP hanno operato all’interno delle strutture della Banca nazionale polacca, conservando la propria identità. Il 1° novembre 1987, infine, PKO Bank Polski è tornata ad essere una banca indipendente, come parte delle riforme economiche attuate dal governo comunista della Polonia negli ultimi anni.
Di recente, il governatore della Banca Nazionale della Polonia, Adam Glapinski, ha dichiarato che sarebbe possibile un taglio dei tassi di interesse già nell’ultimo trimestre dell’anno. Si è trattato della prima volta che un governatore di una banca centrale nell’Eurozona apre dichiaratamente a questa possibilità nel corso del 2023, un anno segnato dagli aumenti dei tassi fino a questo momento e che continuerà in questa direzione ancora per diversi mesi.
Investimenti
Donald Trump minaccia i BRICS: pronti dazi del 100% se attaccheranno il dollaro
Donald Trump torna su dazi e minaccia di nuovo i BRICS. Niente accesso agli USA se…
Continuano le discussioni sui dazi negli Stati Uniti, dazi che dovranno arrivare – almeno secondo programmi – dopo il giuramento del futuro presidente Donald Trump, il prossimo 20 gennaio. Dazi che hanno già fatto discutere per quanto riguarda gli alleati storici degli Stati Uniti e che però potrebbero farsi molto più seri nei confronti dei BRICS, o meglio, dei paesi che amano maggiormente un consesso di paesi non allineati e del quale si parla con sempre maggiore insistenza. Secondo quanto affermato da Donald Trump direttamente sul social Truth, il governo USA potrà imporre dazi del 100% sui paesi BRICS che proveranno a attaccare il dollaro USA.
Secondo quanto è stato riportato da Yahoo Finance, il messaggio sarebbe stato indirizzato a tutti i principali membri dei BRICS, tra i quali figurano non solo la Russia, ma anche Brasile, India, Cina, Iran, Emirati, Egitto e Etiopia. Un consesso che presto potrebbe allargarsi e che potrebbe vedere anche l’ingresso di un alleato storico, ovvero la Repubblica di Turchia. Non è chiaro però a quali manovre per minare la supremazia del dollaro faccia riferimento Donald Trump.
Una questione emersa già in campagna elettorale
Una difesa del dollaro – costi quel che costi – era già venuta fuori durante la campagna elettorale che ha portato Donald Trump alla Casa Bianca. Questa volta però ha preso la forma di un avviso a mezzo social, che afferma che se BRICS cercherà di creare una valuta o di supportarne altre per rimpiazzare il dollaro, si vedranno negare l’accesso ai mercati USA, con dazi del 100%.
La questione è di massimo interesse politico, dato che recentemente anche Vladimir Putin si era espresso sul tema, dicendo che l’interesse nella ricerca di alternative era dettato principalmente dal controllo politico della valuta che è ad oggi ancora riserva mondiale e – soprattutto – anima principale del commercio su scala internazionale.
Trump si è dimostrato comunque in più occasioni piuttosto convinto della capacità del dollaro di preservare il suo primato. E, a quanto parrebbe dopo il post di oggi, sarebbe pronto a qualunque cosa (o quasi) affinché tale minaccia non prenda forma.
Investimenti
Germania: 2 miliardi di euro per l’industria dei chip. Arriva il piano del governo
Arrivano i sussidi in Germania per l’industria dei chip. 2 miliardi sul tavolo.
La via europea ai chip passerà per un vecchio pallino della politica industriale dell’unione: gli incentivi. Secondo quanto è stato riportato da Bloomberg News, al fine di colmare il gap tanto con gli USA quanto con l’Asia, la Germania starebbe preparando un piano di almeno 2 miliardi di dollari in sussidi per favorire l’industria dei semiconduttori nel paese. Per ora però dal Ministero delle Finanze tedesco non arrivano conferme, per un tema che lo scorso anno era diventato più che politico a causa di una querelle riguardante gli investimenti di Intel nella Repubblica Federale.
Se tanti brinderanno ad un piano relativamente ambizioso, altri certamente contesteranno una politica di incentivi che su altri settori ha fallito, in particolare quello legato al mondo EV e delle energie pulite, per un’Europa che ormai discute incessantemente di misure per far riprendere la crescita e l’innovazione nel mercato comune. Innovazione e crescita che sono diventate, nel corso degli ultimi anni, sempre di più un miraggio, soprattutto nei settori a più alto margine e valore aggiunto.
2 miliardi per colmare il gap
Non è chiaro se si tratterebbe per il momento di un primo tentativo di sussidio all’interno di un programma più ampio, oppure di una mossa una tantum. Per avere un metro di paragone, il governo degli Stati Uniti ha assegnato a TMSC la scorsa settimana 6,5 miliardi di dollari di sussidio, all’interno di un programma di inshoring delle industrie ritenute strategiche.
Nel complesso il solo sito in Arizona di TMSC ha comportato spese per 65 miliardi di dollari, ovvero di circa 30 volte i sussidi che la Germania sarebbe pronta a mettere in campo.
L’unica conferma che arriva dal Ministero delle Finanze tedesco è che si tratta, citiamo testualmente, di un investimento in singola cifra sulla parte bassa (calcolata in miliardi). Difficilmente si tratterà di cifre più elevate. Al centro delle proposte che saranno ricevute, ci sarà la sostenibilità della stessa industria, altro tema che si è fatto in queste settimane molto scottante ai massimi livelli della discussione politica europea.
Investimenti
Dal FOMC poche sorprese: Federal Reserve delinea una strada possibile per i 25 punti base a dicembre
Dai verbali del FOMC non vengono fuori grandi sorprese. Mercati immobili, tranne quello delle criptovalute.
I verbali del FOMC, la riunione di Federal Reserve che si occupa (anche) di tassi di interesse, non hanno riservato grandi sorprese. La più potente delle riunioni monetarie globali aspetterà altri dati dall’andamento dei prezzi prima di prendere ulteriori decisioni. Le proiezioni rimangono grossomodo vicine a quelle del meeting precedente, con l’aspettativa concreta di vedere un rallentamento di tutti i principali indicatori dei prezzi. Atteggiamento simile alla precedente riunione anche per quanto riguarda invece il mercato del lavoro. Un suo ulteriore rallentamento avrebbe un impatto certo sull’andamento dell’economia, comandando in quel caso un’accelerazione del percorso di tagli.
La grande incognita però riguarda il tasso di interesse neutrale: i falchi in seno a Federal Reserve continuano a ripetere che per questo ciclo saranno più alti del solito, cosa però incerta data l’incertezza dei modelli che vengono utilizzati per misurarli. L’indicarli come più alti è funzionale ad un percorso di riduzione dei tassi più lento. I mercati non hanno reagito granché alla notizia, con il grosso nervosismo che si nota solo sul fronte delle criptovalute, con Bitcoin che si trova a correggere complessivamente dai massimi vicino ai 100.000$ ai 91.500$ di oggi.
Ancora grande incertezza per il FOMC
Sarà ancora un FOMC data driven quello del 18 dicembre. E per il 18 dicembre i mercati continuano con un rapporto 60/40 sì tagli, no tagli, che è fondamentalmente immutato ormai da qualche giorno. Secondo le precedenti proiezioni del FOMC, quelle del dot plot di settembre, ci dovrebbe essere un altro taglio. Ma sia la resilienza del mondo del lavoro, sia invece una certa persistenza dell’inflazione sembrerebbero mettere in dubbio il percorso.
Saranno fondamentali i dati in arrivo il 27 novembre, alle 14:30, per il PCE, uno degli indicatori ritenuti più utili da Federal Reserve e in particolare da Jerome Powell per rendersi conto di come stiano andando i mercati.
Investimenti
Borse pimpanti per nomina di Scott Bessent, poi correggono. Male Bitcoin, sotto i 95.000$. La settimana del Black Friday si conferma…
…una settimana fatta anche di assurdità sui mercati risk on. A fondo il petrolio, che paga l’aria di cessate il fuoco in Medio Oriente.
Una giornata coi fiocchi quella che da il benvenuto al nuovo Segretario del Tesoro degli Stati Uniti, Scott Bessent. La scelta di Donald Trump piace ai mercati, con SPX500 che supera i 6.000 in apertura, salvo poi correggere all’interno di una giornata dal gusto dolce-amaro per i principali asset di rischio. Notevole anche la performance di Bitcoin, che perde il supporto dei 95.000$, correggendo dopo essere stato per giorni ad un passo dalla soglia psicologica dei 100.000$.
Una giornata di quelle da ricordare presso le principali piazze finanziarie internazionali, complici diverse evoluzioni che hanno contribuito ad un indebolimento del dollaro. Male anche il petrolio, che lascia oltre il 3% sui mercati e chiude sotto i 70$, complice un avvicinamento tra Israele e Hamas in termini di una possibile soluzione del conflitto, con un raggiungimento del cessate il fuoco che sembrerebbe essere di nuovo sul tavolo.
Arriva Scott Bessent: i mercati reagiscono a modo loro
L’entusiasmo c’è stato, ed è stato però limitato alla prima sessione della seduta americana, che ha visto un impennata dei principali indici, trascinati principalmente da aziende che hanno una parte rilevante del loro business all’interno dei confini degli Stati Uniti. La scelta di Scott Bessent, navigato operatore nel mondo dei fondi hedge, sembrerebbe essere piaciuta ai mercati di rischio, che però poi hanno corretto trascinandosi dietro i più estesi degli asset di questa categoria. Su tutti Bitcoin, che chiude una giornata forse non da incubo, ma comunque di importante correzione sotto quota 95.000$.
Il tutto all’interno di una settimana storicamente particolare per i mercati USA: è la settimana infatti del Ringraziamento (che vedrà le borse chiuse giovedì) e del Black Friday, tra le altre cose di un anno elettorale. Manca comunque poco alla configurazione finale del governo Trump, che darà forse, almeno a livello di promesse elettorali, una prima direzione ai mercati. Con un occhio vigile sempre sui dati della settimana, che saranno dominati dal PCE, ritenuto un indicatore di enorme importanza da parte di Federal Reserve.
Investimenti
Indagine di Fed: mercati temono recessione più di inflazione. Timore per i dazi di Donald Trump e per spesa pubblica
Secondo una recente indagine di Federal Reserve, l’inflazione non sarebbe più una preoccupazione, almeno per i professionisti della finanza. A preoccupare maggiormente ci sono gli effetti che la vittoria di Trump avrà sul debito pubblico, insieme a preoccupazioni per una recessione e anche per limitazioni al commercio globale. La prima e la terza, senza dubbio alcuno, sono legate al prossimo ciclo politico degli USA, che sarà governato da un presidente che ha promesso dazi importanti verso i paesi non allineati e anche verso quelli allineati che non riconosceranno la supremazia del dollaro.
Sul debito pubblico in crescita, ci saranno invece da valutare gli impegni, per ora solo di propositi, sulla riduzione considerevole delle agenzie federali e conseguentemente della spesa pubblica. Si tratta di DOGE, il dipartimento guidato da Elon Musk e Vivek Ramaswamy, i cui esiti per il momento però non possono che essere incerti.
Addio preoccupazioni per l’inflazione, benvenute preoccupazioni per la recessione
In realtà sono preoccupazioni che albergano sui mercati – e che sono parzialmente riflesse nel mercato dei bond – ormai da qualche settimana. L’atteggiamento più hawkish in pubblico di Jerome Powell non sembrerebbe aver tolto dalla mente dei mercati che ora il rischio è quello di essere in ritardo sul ciclo e di arrivare con tassi troppo alti (e superiori al tasso neutrale). Tassi troppo alti che finirebbero per favorire un trend di rallentamento atteso per l’economia USA e più in generale per l’economia a livello mondiale.
A esacerbare il rischio recessione, i dazi di Trump: un rallentamento considerevole dei commerci internazionali avrebbe, secondo gli specialisti, un effetto recessivo importante su tutte le principali economie. Siamo però ancora nel campo delle ipotesi. Chi ha una certa esperienza delle cose dei mercati e di quelle politiche non potrà che ricordarsi di quanto, in passato, le promesse elettorali siano state poi diverse dalla realtà.
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