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UE investiga le importazioni di biodiesel dalla Cina

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Written by Alessandro Calvo
Diplomato in Scienze Economiche presso l'Ateneo di Torino, mi dedico alla vita di nomade digitale con un focus particolare sugli investimenti azionari. Rivesto il ruolo di gestore e analista capo per il portfolio di azioni su TradingOnline.com. Come ricordato da Peter Lynch, è importante tenere a mente che investire in azioni non equivale a giocare alla lotteria; rappresenta piuttosto la detenzione di una quota parte di un'impresa
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L’Unione Europea ha annunciato un’investigazione sul biodiesel cinese, accusato di stare soffocando il settore europeo dei combustibili sostenibili attraverso pratiche scorrette volte a evitare i dazi doganali. Dopo aver annunciato l’investigazione sulle batterie al litio cinesi, e minacciato di fare la stessa cosa per le pale eoliche, ora l’Europa torna per la terza volta in pochi mesi a mettere in dubbio la liceità delle importazioni di prodotti per la transizione energetica dalla Cina. Il blocco europeo parla di pratiche sleali e non di indipendenza energetica, ma sembra che Bruxelles stia comunque cercando in tutti i modi di non far dipendere la transizione climatica europea dalle imprese manifatturiere cinesi.

Inoltre questa è la seconda volta che il biodiesel torna al centro delle discussioni sulla concorrenza all’interno dell’UE nel 2023. Già ad agosto era stata aperta una commissione d’inchiesta sul biodiesel proveniente dall’Indonesia, accusato di stare evitando i dazi d’importazione attraverso un triangolo commerciale: prima l’export verso la Cina, poi verso il Regno Unito e infine verso l’Europa, lungo una rotta studiata appositamente per evitare i dazi sulle importazioni di biodiesel.

presentazione della notizia su UE che apre inchiesta sul biodiesel cinese

Nuovo caso di concorrenza sleale dalla Cina

L’Unione Europea accusa le imprese cinesi di stare esportando il proprio biodiesel a prezzi artificialmente bassi per conquistare il nostro mercato e soffocare la concorrenza locale. Questo è un trend che si è manifestato più volte nel boom industriale cinese: il governo sovvenziona le imprese che producono beni e servizi strategici, con l’obiettivo di acquisire una leadership globale e poi alzare i prezzi una volta che non esiste più una concorrenza pronta a competere. Questa è stata la stessa accusa che Bruxelles aveva già mosso a Pechino parlando di batterie al litio, ma ora si aggiunge anche la questione dell’elusione fiscale dei dazi.

Ci potranno volere fino a 14 mesi prima che l’investigazione giunga al termine. L’inchiesta riguarda il periodo che va dal 1 ottobre 2022 al 30 settembre 2023, lungo il quale la Cina è stata per distacco il principale esportatore di biodiesel verso l’Unione Europea. In questo periodo, si stima che il giro d’affari complessivo sia stato di €31 miliardi. Con la volontà europea di promuovere l’uso di questo tipo di combustibile nel settore nautico, oltre che di accelerare sui combustibili sostenibili per l’aviazione, questo è un periodo cruciale per la competitività europea nel segmento dei combustibili a basso impatto ambientale. Per il momento, tutte le missioni diplomatiche cinesi chiamate a commentare sull’argomento hanno preferito non rispondere.

foto di un benzinaio

Bruxelles non è convinta dai prezzi

All’origine dell’inchiesta c’è la convinzione che i prezzi praticati dagli esportatori cinesi siano troppo bassi. Questo suggerisce due possibili situazioni: che i produttori locali stiano venendo sovvenzionati per poter applicare prezzi artificialmente bassi, o che i prodotti esportati non riflettano le caratteristiche dichiarate dai produttori. Il biodiesel che l’Europa intende importare è prevalentemente il frutto del recupero di olii esausti usati per i motori o per le cucine, mentre viene data una grande attenzione al fatto di non usare biodiesel ottenuto dall’olio di palma o da altre biomasse che favoriscono la deforestazione e la perdita di biodiversità.

Una pista seguita dall’UE è proprio quella che la Cina stia importando biodiesel prodotto a partire dall’olio di palma dall’Indonesia, per poi categorizzarlo come un prodotto diverso e poterlo vendere a prezzi sensibilmente più alti sul mercato europeo. Nel frattempo molte imprese europee che si dedicavano alla produzione di combustibili sostenibili sono state costrette a chiudere, non riuscendo più a essere competitive con i prezzi praticati dai fornitori cinesi.

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