In Etiopia si sta presentando la stessa identica situazione che è presente in Egitto. Il paese ha disperatamente bisogno di un intervento del Fondo Monetario Internazionale e al centro delle negoziazioni c’è una svalutazione della valuta locale, che però porta con sé un corredo ampio di problemi politici e sociali. Per quanto mantenere i cambi fissi finisca sempre o quasi per svuotare le casse di valuta pregiata, rimane per molti governi una misura necessaria per contenere lo scontento sociale, per guadagnare consensi politici e per attuare programmi di welfare diretto, laddove gli apparati statali sono meno efficienti.
La cosa però non piace ai piani di risanamento del Fondo Monetario Internazionale, che in situazioni di crisi di questo tipo ritiene l’enorme spesa a sostegno del cambio qualcosa se non da eliminare, quantomeno da ridurre per pensare anche soltanto ad un piano di risanamento. Ora il nodo è venuto al pettine e nella prossima visita del Fondo Addis Abeba dovrà offrire delle risposte convincenti alle richieste, pressanti, del fondo. Una visita che arriverà dopo quella di ottobre 2023, che il Fondo stesso aveva giudicato come positiva.
L’accordo agli sgoccioli e la necessità di trovare una quadra con il Fondo Monetario Internazionale
A novembre è stato offerto, dai creditori, una sorta di ultimatum al governo etiope: trovare un accordo per il risanamento con il Fondo Monetario Internazionale, pena la sospensione dell’accordo che permette di restituire l’importante debito accumulato con piani dilazionati. Per il governo di Addis Abeba dunque l’accordo con il Fondo Monetario è diventato una questione di vita o di morte metaforica, dato che la mancanza dell’ok finirebbe per tagliare il governo dall’accesso al debito sui mercati internazionali. Il prestito da parte del Fondo Monetario Internazionale è di circa 3,5 miliardi di dollari e fa il paio con un programma simile con la Banca Mondiale.
Manca dunque poco, soltanto un paio di mesi per siglare un accordo che però sembrerebbe avere ancora diversi ostacoli alla sua realizzazione. Il birr, la valuta locale, ha un cambio gestito dalle autorità centrali da parecchio tempo – ed è uno strumento di carattere politico del quale difficilmente si vuole fare a meno. Da un lato si mettono sul tavolo le problematiche certe in caso di svalutazione: inflazione ulteriore e maggiore difficoltà soprattutto per gli strati più poveri della popolazione. Dall’altra si parla il meno possibile dell’importante potere politico che è legato a questo tipo di attività. Attività che però dovrà comunque ridursi, dato che FMI non sembra voler cedere sulla necessità di svalutare la valuta locale.
Una questione di come e quando, non di se
La svalutazione dovrà però essere approcciata in modo graduale, in un paese già colpito da una gravissima crisi economica e con un’inflazione che sfiora il 30% già prima della svalutazione. Sarà un gioco di equilibri complicatissimo per il governo centrale, che da un lato dovrà cercare di mostrare il suo volto migliore, quello dell’impegno, al Fondo Monetario e dall’altro dovrà evitare eccessivi shock ad un’economia già in un pessimo stato di salute.
Nel frattempo di tempo ce n’è sempre meno. E l’accordo si dovrà fare probabilmente a tre: IMF, governo e anche i creditori che aspettano un piano ragionevole di rientro, dopo le promesse del governo stesso.
Non sarà l’unica crisi di questo tipo che IMF dovrà affrontare nel 2024, con quella egiziana che segue pressoché in modo identico i passi di quella etiope. Con i prestiti che diventano però sempre più fondamentali, si dovrà certamente correre.