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Fed, Kashari pronto a mantenere i tassi invariati a giugno
Gli investitori continuano a chiedersi cosa deciderà di fare la Federal Reserve con i tassi centrali di interesse, ora che molto probabilmente si avvicina il loro apice. Una dichiarazione molto importante è arrivata nella giornata di venerdì da Neel Kashkari, Presidente della Fed di Minneapolis. Secondo la sua opinione, il tasso di inflazione sarebbe già in netto calo e la Federal Reserve avrebbe già intrapreso dei seri passi per contenere la pressione sui prezzi: a fronte di ciò, si dichiara aperto alla possibilità di mantenere i tassi invariati durante la prossima votazione sulla politica monetaria.
Il direttivo della banca centrale statunitense sembra comunque diviso a riguardo. Lo stesso Kashkari ammette di non essere ancora totalmente sicuro della propria decisione e di voler guardare prima ai dati che verranno pubblicati nel corso delle prossime settimane. Dati che probabilmente non potranno avere a che fare soltanto con la macroeconomia: per la Fed, ogni decisione sui tassi di interesse è diventata anche una questione di salvaguardare il comparto bancario. Dopo il crollo di First Republic Bank, quarta banca a fallire in meno di tre mesi, è diventato ancora più evidente che alti rialzi dei tassi potrebbero colpire duramente l’ecosistema finanziario.
Questione di rallentare, più che di fermare
Kashkari ha voluto apertamente sottolineare che la sua posizione non sposa uno stop completo ai rialzi dei tassi di interesse, per lo meno in questo momento. Il Presidente della Fed di Minneapolis ritiene che sia un buon momento per rallentare gli aumenti, potendosi prendere più tempo per valutare i dati pubblicati da una riunione di politica monetaria e la seguente. Anziché alzare i tassi a giugno, ad esempio, la Federal Reserve potrebbe decidere di lasciare i tassi invariati e di aumentarli poi a luglio se il calo del tasso di inflazione non fosse soddisfacente. Questo permetterebbe di valutare meglio anche le proiezioni di ogni scatto rialzista e il relativo impatto sull’economia.
Un altro punto evidenziato da Kashkari è che si dice pronto a obiettare contro qualunque ipotesi di non rialzare affatto i tassi di interesse nel corso delle prossime decisioni sulla politica monetaria. La sua posizione è che, in ogni, caso, non sia ancora il momento di pensare di essere arrivati al picco. Per questo motivo parla di “rallentamento” nei rialzi dei tassi, mentre poco più a Sud la banca centrale messicana ha già deciso di mantenere i tassi invariati. La priorità della Federal Reserve rimane quella di mantenere sotto controllo il tasso di inflazione, ma i tassi sono già al record storico post-crisi del 2008 e iniziano a emergere i dubbi sulla tenuta dell’economia.
Intanto si cerca di evitare il default
Gli Stati Uniti sono ormai da settimane vicini a raggiungere il loro limite sul debito, così come sancito dalle leggi attuali. Senza una soluzione, gli USA potrebbero letteralmente ritrovarsi in default. Un’eventualità che i mercati finanziari sembrano non stare nemmeno prendendo in considerazione fino a qui, anche considerando che eventualmente le parti politiche decideranno di venirsi incontro per evitare il peggio. A sentire la pressione più grande per questi eventi è Joe Biden, che per tutti è responsabile di mettere d’accordo le camere e far passare un’estensione del limite sul debito.
Al momento, il Dipartimento del Tesoro ritiene che la soluzione venga trovata entro il 1 giugno per evitare il default. Significa che rimangono meno di 10 giorni per evitare un problema che farebbe collassare il sistema finanziario mondiale, ma un accordo non sembra affatto impossibile. I Repubblicani chiedono tagli alla spesa pubblica per alzare il tetto sul debito, e più si avvicina il 1 giugno, più entrambe le parti cercheranno di collaborare per evitare il peggio.
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Dollaro, la forte economia statunitense e gli impulsi di Trump gli danno vigore
Il dollaro beneficia della forte economia statunitense e delle aspettative relative alla possibile vittoria di Donald Trump.
Il dollaro è salito mentre i Bitcoin hanno raggiunto il massimo da tre mesi a questa parte. I mercati, ad ogni modo, sembrano essere influenzati più che altro dall’aumento dei rendimenti obbligazionari statunitensi e dalle imminenti elezioni presidenziali.
La scorsa settimana i movimenti valutari hanno cavalcato il taglio dei tassi d’interesse della Banca Centrale Europea e hanno beneficiato dei solidi dati provenienti dagli Usa, che hanno ridimensionato le aspettative sulla rapidità attraverso la quale la Fed possa decidere di farli scendere. In particolare nel caso in cui donald trump dovesse vincere le elezioni
L’indice del dollaro, che misura il biglietto verde rispetto alle principali valute rivali, è salito dello 0,17% a 103,65. Venerdì risulta essere sceso dello 0,3%: il motivo è da ricercare nella propensione al rischio che è aumentata dopo che la Cina ha fornito maggiori dettagli sul suo ampio pacchetto di stimoli. Ma nel corso della settimana ha registrato guadagni dello 0,55%.
Sceso dello 0,16% l’euro scambiato a 1,0849 dollari, mentre la sterlina ha perso lo 0,18% a 1,3025 dollari.
In cosa consiste la forza del dollaro
Erik Nelson, stratega macroeconomico di Wells Fargo, spiega che la forza del dollaro è stata condizionata in gran parte dai tassi ed è stata una questione di crescita relativa. Secondo Nelson ci sono stati alcuni dati relativamente solidi negli USA, a partire dal rapporto sull’occupazione di inizio mese. Ma non solo: ci sono state le vendite al dettaglio decenti, il PIL che sta seguendo un andamento piuttosto buono in questo trimestre. D’altra parte l’Europa non sta andando altrettanto bene, la Bce è dalla parte dei accomodanti: è stata questa storia di divergenza.
Ad aiutare il dollaro, secondo molti analisti, ci sono anche i sondaggi che indicano un aumento delle probabilità che Donald Trump vinca le elezioni il prossimo 5 novembre. Le sue proposte di politica tariffaria e fiscale sembrerebbero destinate a mantenere elevati i tassi di interesse statunitensi e a danneggiare i partner commerciali.
Bitcoin ha ricevuto una spinta, poiché ci si aspetta che l’amministrazione Trump adotti una linea più morbida sulla regolamentazione delle criptovalute. L’ultima volta è sceso dello 0,1% a 68.333 dollari dopo aver toccato in precedenza 69.487 dollari, il suo massimo da fine luglio.
A scendere è lo yen giapponese
Scende dello 0,24% lo yen, che è scambiato a 149,89 dollari, dopo che in passato a superato il livello di 150, cosa che ha fatto brevemente la scorsa settimana per la prima volta da inizio agosto.
Chris Weston, responsabile della ricerca presso il broker online australiano Pepperstone, ha spiegato che il modo più chiaro per esprimere il rischio tariffario di Trump era acquistare dollari anziché euro, franchi svizzeri e pesos messicani. Secondo Weston i trader devono decidere se questo è il momento giusto per iniziare a piazzare operazioni elettorali con maggiore convinzione.
La scorsa settimana, lo yen è sceso dello 0,3%, l’euro dello 0,6% e la sterlina è rimasta invariata. Il peso messicano è sceso del 3%. L’euro è sceso di oltre il 3% in tre settimane, ha superato la media mobile a 200 giorni e si è attestato vicino al minimo degli ultimi 2 mesi e mezzo.
Il divario tra i rendimenti dei titoli di Stato americani e tedeschi a 10 anni si è ampliato fino a circa 189 punti base (bps), poiché i rendimenti statunitensi sono aumentati nelle ultime settimane, mentre quelli tedeschi sono diminuiti.
Anche in Gran Bretagna i rendimenti si sono mossi contro la sterlina questo mese, a causa di dati più deboli sull’inflazione e delle aspettative che il ministro delle Finanze Rachel Reeves annuncerà un bilancio favorevole alle obbligazioni il 30 ottobre.
Lo spread tra i rendimenti dei titoli di Stato statunitensi e quelli dei titoli di Stato è passato da 24 punti a favore della sterlina a 3 punti negativi.
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L’euro guarda alla Bce, ma il mercato ha già prezzato tre tagli dei tassi
Euro sorvegliato speciale questa mattina: rimane in attesa della decisione della Bce, ma ha già prezzato tre tagli dei tassi.
A condizionare l’andamento dell’euro, quest’oggi, è il previsto taglio dei tassi da parte della Bce. Il dollaro, invece, ha sfiorato il massimo da undici settimane a questa parte, galvanizzato dalla prospettiva che Donald Trump possa vincere le elezioni e possa mettere in atto le sue politiche, che il mercato ritiene più rialziste.
Ha faticato a mantenere quota 150 dollari lo yen e si è attestato intorno a 149,765. Rispetto all’euro la sterlina si è rafforzata, scambiato a 83,54 penny, anche se la valuta inglese è riuscita a tenersi vicina ai minimi da due mesi a questa parte raggiunti nella giornata di mercoledì nei confronti del dollaro, grazie principalmente ai dati sull’inflazione inferiori alle attese nel Regno Unito.
L’euro guarda alla riunione della Bce
A tenere sotto scacco l’euro, questa mattina, sono stati principalmente i deboli dati economici e i commenti accomodanti della Bce, che hanno convinto la maggior parte degli investitori che la Banca Centrale Europea possa fare un terzo taglio dei tassi a partire da giugno. Sono in molti, infatti, a ritenere che possano essere tagliati i tassi sui depositi di un quarto di punto.
Roberto Mialich, stratega forex di UniCredit, ritiene che la Bce non si voglia impegnare in ulteriori tagli dei tassi e non ritiene che l’impatto sull’euro possa essere drammaticamente negativo.
Al momento i mercati valutari sembrano aver già scontato altre tre riduzioni fino a marzo 2025 per contenere l’onda lunga dell’inflazione nell’Unione europea.
Mialich ha spiegato che l’euro è diventato molto più fragile, soprattutto perché continua ad avvicinarsi a 1,08 o 1,0780: una rottura definitiva al di sotto di questi livelli rappresenterebbe la completa cancellazione dei guadagni realizzati da agosto e potrebbe aumentare la pressione di vendita.
Nel mercato più ampio, il dollaro ha raggiunto il massimo delle ultime 11 settimane rispetto a un paniere di valute analoghe, attestandosi a 103,65.
Il dollaro ha tratto sostegno da una serie di dati positivi sull’economia statunitense, che a loro volta hanno spinto i trader a ridurre le aspettative sui tagli dei tassi da parte della Fed, ma anche sulle maggiori probabilità di una vittoria del candidato repubblicano alla presidenza Donald Trump alle elezioni di novembre.
Thierry Wizman, stratega globale per i tassi e i cambi di Macquarie, spiega che le sue politiche fondamentali in materia di tariffe, immigrazione e tasse determinerebbero una prospettiva più inflazionistica negli Stati Uniti, riducendo le possibilità di tagli aggressivi dei tassi da parte della Fed nel corso del ciclo.
Gli analisti prevedono un rafforzamento del dollaro in caso di vittoria di Trump e una pressione sui titoli obbligazionari.
Cosa sta accadendo in Cina
Dall’altra parte del mondo, in Cina, una conferenza stampa si concentrata sulle misure volte a sostenere il settore immobiliare del paese. Anche se, sostanzialmente non è riuscita ad entusiasmare il mercato: le autorità, in estrema sintesi, hanno confermato il loro impegno a rilanciare il mercato immobiliare. Ma non sono state fornite delle indicazioni aggiuntive sulle misure che intendono adottare. Lasciando a bocca asciutta la maggior parte degli operatori.
Lo yuan onshore ha invertito i guadagni iniziali e ha ceduto lo 0,05% a 7,1225 per dollaro, mentre la sua controparte offshore è salita di poco a 7,1358 per dollaro.
Jeff Zhang, analista azionario di Morningstar, ritiene che nella conferenza stampa di oggi siano state annunciate poche politiche incrementali per aumentare la domanda di immobili residenziali, poiché il ministro ha ribadito l’autonomia dei governi municipali nell’allentare le restrizioni agli acquisti.
Il dollaro australiano, spesso utilizzato come valuta sostitutiva dello yuan, ha guadagnato solo lo 0,2%, attestandosi a 0,66780 dollari, poiché la delusione proveniente dalla Cina ha compensato parte dei forti guadagni della valuta antipodea derivanti da un rapporto positivo sull’occupazione in patria.
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Il dollaro si stabilizza sulle prospettive della Fed, mentre la sterlina paga dazio ai dati sull’inflazione inglese
La sterlina è penalizzata dai dati sull’inflazione nel Regno unito, mentre il dollaro si stabilizza in attesa della Fed. In Europa i riflettori sono puntati sulla Bce.
In mattinata la sterlina è crollata al minimo degli ultimi due mesi. A condizionare l’andamento della valuta britannica sono i dati sull’inflazione nel Regno Unito, che sono risultati essere inferiori alle attese. E che, proprio per questo, lasciano ampio spazio alla Banca d’Inghilterra per tagliare i tassi in modo decisivo. L’euro si attesta ai minimi delle ultime dieci settimane, in attesa della riunione della Bce.
Rispetto al dollaro la sterlina ha registrato un calo dello 0,65% e si è attestata a 1,2988 dollari, scendendo sotto il livello di 1,30 dollari per la prima volta dallo scorso 20 agosto: i dati appena resi noti mostrano che il tasso di inflazione annuale dei prezzi al consumo è sceso all’1,7% a settembre contro il 2,2% di agosto.
Ma entriamo un po’ più nel dettaglio e scopriamo cosa sta accadendo.
Sterlina ai minimi da agosto
A condizionare l’andamento della sterlina, indubbiamente, sono i dati sul tasso di inflazione in Gran Bretagna, i quali risultano essere i più bassi da aprile 2021 ed inferiori rispetto all’1,9% previsto da sondaggio effettuato presso gli economisti da Reuters. I trader, tra l’altro, hanno rafforzato le scommesse su un taglio dei tassi di interesse della Bank of England, che potrebbe avvenire nel corso del prossimo mese. E che potrebbe essere ripetuto nel corso del mese di dicembre.
Francesco Pesole, stratega FX di ING, spiega che i dati sono inequivocabilmente accomodanti per la Banca d’Inghilterra e aprono la strada a tagli dei tassi nelle ultime due riunioni rimanenti di quest’anno. Pesole ritiene che ciò abbia incidentalmente aperto le porte a un periodo di sottoperformance della sterlina ed ha previsto che la sterlina possa essere scambiata ben al di sotto di 1,30 dollari e l’euro sopra gli 84 penny.
L’ultima volta la moneta unica ha registrato un rialzo dello 0,6% rispetto alla sterlina, attestandosi a 83,80 penny.
Come si muove il dollaro
Discorso diverso per le altre valute. Rispetto al dollaro l’euro è sceso si un ulteriore 0,1%, portandosi a 1,0883 dollari, il minimo dallo scorso 2 agosto. L’euro ha esteso i cali delle ultime settimane, perché i trader hanno sostanzialmente scontato i tagli dei tassi della Fed e hanno incluso, tra le loro ipotesi, una potenziale vittoria di Donald Trump, che potrebbe costituire un fattore positivo per il dollaro.
A finire sotto la lente d’ingrandimento, ad ogni modo, ci sarà la riunione della Banca Centrale Europea in programma per giovedì 16 ottobre 2024: se si configurasse l’ipotesi di un taglio dei tassi di 25 punti base e se la presidente Christine Lagarde si astenesse dal dare troppi indizi sulle ulteriori prospettive dei tassi, l’impatto sul mercato potrebbe essere limitato.
Negli Stati Uniti, i trader attualmente scommettono il 92% di probabilità per un taglio di 25 punti base quando la Fed deciderà la prossima politica il 7 novembre, con una probabilità dell’8% di non cambiare, secondo il FedWatch Tool del CME Group. Un mese fa, i trader hanno visto più del 29% di probabilità di una riduzione di 50 punti base.
I prezzi di mercato sono ancora fortemente a favore di un totale di 50 punti base di allentamento quest’anno, ma i commenti dei banchieri centrali durante la notte sono stati orientati verso un atteggiamento aggressivo.
Il dollaro ha guadagnato lo 0,1% a 149,345 yen, non lontano dal massimo di lunedì di 149,98 yen, il più forte dal 1° agosto.
Il dollaro australiano e quello neozelandese hanno perso valore a causa del crescente scetticismo nei confronti degli stimoli offerti dalla Cina, il principale partner commerciale.
L’Aussie è sceso fino allo 0,51% a 0,6669 dollari, il livello più basso dal 12 settembre, prima di recuperare a 0,6703 dollari, mentre il Kiwi è sceso fino allo 0,69% a 0,6041 dollari, un livello visto l’ultima volta il 19 agosto.
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Rupia al suo minimo storico. Scambiata a 84,07 dollari
La rupia indiana ha sfiorato il suo minimo storico, toccando quota 84,07 dollari. Si comporta, ad ogni modo, meglio delle altre valute locali.
Nel corso della giornata la rupia indiana è oscillata vicina al suo minimo storico. A condizionare le quotazioni sono state le altre valute regionali, mentre le vendite dei dollari hanno sostanzialmente sostenuto le rupia, che nel corso del mese è stata, ad ogni modo, debole.
In tarda mattinata, la valuta indiana era scambiata a 84,07 dollari Usa, invariata rispetto alla chiusura di lunedì, quando si era attestata a 84,06. Nel corso dell’ultima sessione la moneta era scesa al minimo storico di 84,0750, dopo essersi indebolita per la prima volta sotto quota 84 la scorsa settimana.
Rupia ai minimi storici
Nel corso del mese di ottobre la rupia è scesa dello 0,3%, anche se ha avuto un andamento migliore rispetto a quello delle altre valute regionali, che hanno registrato dei cali compresi tra lo 0,8% e il 3% a fronte di un dollaro Usa in ripresa.
L’indice del dollaro era a 103,3 martedì, il suo livello più forte in oltre due mesi. Le altre valute asiatiche erano in calo tra lo 0,1% e lo 0,8%.
Secondo alcune fonti citate da Reuters, alcune banche avrebbero acquistato dei dollari, con ogni probabilità per conto dei loro clienti depositari. I continui deflussi dai titoli azionari locali, questo mese, hanno danneggiato la rupia: gli investitori stranieri hanno finora ritirato circa 8 miliardi di dollari.
Gli indici azionari di riferimento – il BSE Sensex e il Nifty 50 – hanno registrato un calo dello 0,2% oggi, divergendo dai guadagni registrati dalla maggior parte delle altre azioni asiatiche.
Amit Pabari, amministratore delegato della società di consulenza FX CR Forex, ritiene che nel breve termine, la valuta locale possa essere scambiata tra 83,90 e 84,10. Tuttavia, con il giusto mix di intervento della RBI e trend globali favorevoli, la rupia potrebbe tornare a 83,80.
Nel frattempo, i premi forward dollaro-rupia sono scesi, con il rendimento implicito a 1 anno in calo di 1 punto base al 2,20%, pressato da un aumento dei rendimenti dei titoli obbligazionari statunitensi prossimi alla scadenza. Il rendimento dei Treasury Usa a 1 anno è salito di 7 punti base al 4,25% nelle ore asiatiche.
La rupia e le riserve valutarie indiane
Stando ai dati diffusi dalla Reserve Bank of India (RBI), le riserve valutarie dell’India sono scese per la prima volta in otto settimane e hanno superato il massimo storico attestandosi a 701,18 miliardi di dollari al 4 ottobre.
Le riserve sono diminuite di 3,71 miliardi di dollari nella settimana in esame, dopo essere aumentate complessivamente di quasi 35 miliardi di dollari nelle sette settimane precedenti. Avevano raggiunto il massimo storico di 704,89 miliardi di dollari e sono aumentati di 12,6 miliardi di dollari nella settimana conclusasi il 27 settembre, registrando il loro più grande incremento settimanale da metà luglio 2023.
Le variazioni delle attività in valuta estera sono state causate dall’intervento della banca centrale sul mercato dei cambi e dall’apprezzamento o dal deprezzamento delle attività estere detenute nelle riserve.
La RBI è intervenuta su entrambi i lati del mercato forex per impedire un’eccessiva volatilità della rupia. Le riserve valutarie includono anche la posizione di riserva dell’India nel Fondo monetario internazionale.
Nel periodo a cui si riferiscono i dati sulle riserve valutarie, la rupia ha registrato la sua settimana peggiore da maggio ed è scesa dello 0,3% su base settimanale, poiché i deflussi azionari sono aumentati vertiginosamente e i prezzi del petrolio greggio sono aumentati a causa del peggioramento del conflitto in Medio Oriente.
I trader ritengono che la RBI è intervenuta sia sui forward non consegnabili che sul mercato forex spot locale per aiutare la rupia a mantenersi sopra la soglia psicologicamente importante di 84.
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Inghilterra, l’economia non ristagna più. La sterlina scambiata a 1,3069 dollari
L’economia dell’Inghilterra ha smesso di ristagnare. Ma la buona notizia è servita a poco: la sterlina ha raggiunto i minimi da un mese a questa parte sul dollaro.
Dopo due mesi consecutivi di stagnazione l’economia dell’Inghilterra, ad agosto, ha ripreso a crescere, riuscendo a fornire un po’ di sollievo a Rachel Reeves, Ministro delle Finanze del Regno Unito, che, proprio alla fine di questo mese, deve presentare il primo bilancio del nuovo governo laburista.
Tra i numeri più importanti registrati in Inghilterra c’è la produzione economica, che è cresciuta dello 0,2% su base mensile ad agosto. A riportare questi dati è l’Ufficio per le Statistiche Nazionali, che, sostanzialmente, ha confermato quanto si aspettavano i principali economisti, almeno stando ad un recente sondaggio effettuato da Reuters.
Ma entriamo un po’ più nel dettaglio e cerchiamo di comprendere come è migliorata l’economia dell’Inghilterra.
Inghilterra, l’economia non è più in stagnazione
L’economia dell’Inghilterra, almeno per il mese di agosto, è uscita dalla stagnazione. Secondo Yael Selfin, capo economista di KPMG UK, questo potrebbe fornire una spinta tempestiva per il cancelliere in un contesto di crescenti pressioni di spesa.
Reeves ha accolto con favore la notizia e ha detto che la crescita economica era una priorità assoluta per il governo. Ad agosto hanno mostrato una crescita tutti i principali settori, anche se è stata più debole del previsto nel settore dei servizi: i dati, però, sono stati compensati da un forte rimbalzo nella produzione e nell’edilizia.
Per il momento non sono state riviste le stime della produzione interna lorda mensile dei mesi di luglio e giugno, quando l’economia stava ristagnando. Ma sono state riviste al ribasso le stime per i mesi di aprile e maggio, che sono state portate rispettivamente a -0,1% e a +0,2% contro i precedenti 0,0% e +0,4%.
Rispetto a un anno fa, la produzione economica era dell’1,0% più alta, al di sotto delle previsioni di crescita dell’1,4% degli economisti, un errore che rifletteva le revisioni al ribasso rispetto ai mesi precedenti.
L’Inghilterra ha cambiato passo
In Inghilterra l’economia sembra essersi indirizzata sulla buona strada per crescere, almeno nella seconda metà dell’anno. Il ritmo, però, sembra essere più lento rispetto a quello del primo trimestre.
A settembre la Banca d’Inghilterra ha dichiarato di aspettarsi che la crescita economica potesse rallentare allo 0,3% nel terzo trimestre, attestandosi su un tasso di crescita simile a quello registrato nel corso degli ultimi tre mesi del 2024.
Nel corso della riunione del 7 novembre 2024, la banca centrale dovrebbe ridurre i costi di prestito dopo il primo taglio effettuato ad agosto ed una pausa che si è presa a settembre.
Barret Kupelian, capo economista di PwC, ha spiegato che il grande punto interrogativo è la visione del governo per l’economia. Affinché la crescita economica continui su base sostenuta, le imprese, le famiglie e gli investitori stranieri hanno bisogno di certezza per fare scelte e decisioni di investimento.
Il primo ministro Keir Starmer ospiterà un vertice internazionale sugli investimenti il 14 ottobre, volto a promuovere gli investimenti diretti esteri per contribuire a migliorare la crescita economica: una delle sue principali missioni da quando è salito al potere a luglio.
Starmer ha detto che puntava a una crescita economica annuale del 2,5% quando faceva campagna elettorale in vista delle elezioni: un tasso che la Gran Bretagna non ha raggiunto regolarmente da prima del crollo finanziario del 2008.
L’economia britannica è stata più lenta a riprendersi dalla pandemia di Covid 19 rispetto a molti dei suoi colleghi del Gruppo dei Sette, ma l’ufficio statistico ha detto che l’economia era del 3,4% più grande ad agosto rispetto a febbraio 2020, prima della crisi.
La sterlina ha raggiunto il minimo da un mese a questa parte sul dollaro: a poco sono serviti i dati che hanno mostrato che l’economia britannica è tornata a crescere ad agosto. La sterlina è stata scambiata 1,3069 dollari, poco sopra i 1,3011 dollari raggiunti giovedì, quando ha raggiunto il suo livello più basso da metà settembre.
Era anche piatto sull’euro, a 83,70 pence alla valuta comune.
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