Economia
I membri del G7 fissano nuovi obiettivi per le rinnovabili
I ministri del Gruppo dei Sette (G7), il forum intergovernativo composto dai sette maggiori Stati economicamente avanzati del pianeta (ossia Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti d’America) si sono incontrati domenica 16 aprile a Sapporo, una città settentrionale del Giappone.
In quest’occasione i ministri hanno deciso di fissare nuovi grandi obiettivi collettivi per l’energia solare e la capacità eolica offshore, concordando di accelerare lo sviluppo delle energie rinnovabili per facilitare una più rapida eliminazione dei combustibili fossili.
Più solare ed eolico offshore e meno combustibili fossili
I ministri del G7 concludono domenica due giorni di incontri sul clima, l’energia e la politica ambientale nella città settentrionale giapponese di Sapporo.
In questa occasione, il ministro canadese delle Risorse naturali, Jonathan Wilkinson, ha dichiarato che l’azione per il clima e gli sforzi per la sicurezza energetica si completano a vicenda. Nonostante inizialmente si pensasse che l’azione per il clima e quella per la sicurezza energetica fossero potenzialmente in conflitto, le discussioni che si sono avute e che si riflettono nel comunicato dimostrano che in realtà lavorano insieme, ha aggiunto.
Nel mezzo di una crisi energetica senza precedenti, è importante trovare misure per affrontare il cambiamento climatico e promuovere allo stesso tempo la sicurezza energetica, ha confermato il ministro dell’Industria giapponese Yasutoshi Nishimura in una conferenza stampa.
Pur riconoscendo che esistono diversi percorsi per raggiungere la neutralità delle emissioni di carbonio, i rappresentati dei sette Paesi hanno concordato sull’importanza di puntare a un obiettivo comune verso il 2050, ha aggiunto.
Tuttavia, i ministri non hanno approvato la scadenza del 2030 per l’eliminazione del carbone, richiesta dal Canada e da altri membri, e hanno lasciato aperta la porta a continui investimenti nel gas, affermando che il settore potrebbe contribuire a risolvere potenziali carenze energetiche.
Al momento, infatti, le fonti di combustibile rinnovabili e la sicurezza energetica hanno assunto una nuova urgenza a causa dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.
Nel comunicato, i membri dei sette Paesi più ricchi si sono impegnati ad aumentare collettivamente la capacità eolica offshore di 150 gigawatt entro il 2030 e la capacità solare di oltre 1 terawatt. I ministri hanno, infatti, concordato di accelerare l’eliminazione graduale dei combustibili fossili non abbattuti, ovvero la combustione di carburanti fossili senza l’utilizzo di tecnologie per catturare le emissioni di diossido di carbonio che ne derivano, per raggiungere lo zero netto nelle emissioni nei sistemi energetici entro il 2050 al più tardi.
Per quanto riguarda il carbone, invece, i Paesi hanno concordato di dare priorità a quelli che sono stati definiti passi concreti e tempestivi, come parte dell’impegno assunto lo scorso anno di raggiungere almeno un settore energetico “prevalentemente” decarbonizzato entro il 2035.
Il Canada è stato chiaro sul fatto che l’energia elettrica a carbone non smaltita dovrebbe essere eliminata entro il 2030, e Ottawa, la Gran Bretagna e alcuni altri membri del G7 si sono impegnati a rispettare questa data, ha detto Wilkinson all’agenzia di stampa Reuters. Gli altri stanno ancora cercando di capire come poter raggiungere l’obiettivo nei tempi previsti, ha aggiunto.
Per esempio, il Giappone, Paese ospitante, che dipende dalle importazioni per quasi tutto il suo fabbisogno energetico, vuole mantenere il gas naturale liquefatto (GNL) come combustibile di transizione per almeno 10-15 anni.
A tal proposito, Dave Jones, il responsabile del data insights presso il think tank energetico Ember (ovvero un gruppo di esperti impegnato nell’analisi e nella soluzione di problemi complessi, specie in campo economico e politico, che utilizza intuizioni basate sui dati per spostare il mondo verso l’elettricità pulita), ha dichiarato che si spera che questo accordo rappresenti una sfida per il Giappone, per il quale l’eolico offshore è la parte mancante del puzzle che potrebbe vedere il suo settore energetico decarbonizzarsi molto più rapidamente di quanto pensi.
Di recente, infatti, le aziende giapponesi e i gruppi che si occupano di clima hanno invitato il governo del Paese a intensificare l’introduzione delle energie rinnovabili e ad adottare rapidamente una tariffazione del carbonio al fine di affrontare il riscaldamento globale.
Per il momento, tuttavia, i membri del G7 hanno affermato che gli investimenti nel settore del gas possono essere appropriati per affrontare le potenziali carenze del mercato provocate dalla crisi in Ucraina, se attuati in modo coerente con gli obiettivi climatici.
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McDonald’s, negli Usa scatta il panico da cipolla dopo lo scoppio di un’epidemia di Escherichia coli
Dopo lo scoppio di un’epidemia di Escherichia coli in un ristorante di McDonald’s, negli Stati Uniti è scoppiato il panico da cipolla.
Le cipolle fresche sono bandite dalle principali catene di fast food statunitensi. Almeno temporaneamente. A far temere l’ortaggio è l’epidemia di Escherichia coli scoppiata in alcuni fast food di McDonald’s e della quale ne è ritenuta la probabile fonte. I casi registrati in questi mesi hanno messo a nudo uno degli incubi ricorrenti nei ristoranti: la gestione dei prodotti ortofrutticoli, che devono essere mantenuti liberi da contaminazione. Obiettivo da centrare per tutelare la salute dei clienti, ma che per gli ortaggi è più difficile da raggiungere rispetto alla carne bovina.
Ma entriamo un po’ più nel dettaglio e cerchiamo di capire cosa sta accadendo e quali sono le conseguenze di quanto accaduto nei McDonald’s.
McDonalds, l’incubo delle cipolle
Con ogni probabilità le cipolle sono responsabili dell’epidemia di Escherichia coli scoppiata da McDonald’s. Per il momento il problema ha coinvolto i locali dislocati nel Midwest statunitense: si sono ammalate 49 persone e una è morta. A comunicarlo è stato il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti. McDonald’s ha immediatamente ritirato il Quarter Pounder dal suo menù in un quinto dei suoi 1.400 ristoranti dispersi negli Stati Uniti.
A farla da padrone nei registri degli avvocati specializzati in malattie trasmesse da alimenti, in passato, erano principalmente gli hamburger di manzo. Gli enti di regolamentazione sanitaria federale hanno poi deciso di prendere dei provvedimenti severi sulla contaminazione da carne bovina, dopo che un’epidemia di Escherichia coli era stata collegata a Jack in the Box, quando gli hamburger avevo portato all’ospedalizzazione di qualcosa come 170 persone in tutti gli Stati Uniti. Quattro persone erano morte. Dopodiché, per fortuna, i focolai correlati alla carne bovina sono diventati molto più rari.
Quanto accaduto da McDonald’s riaccende il problema. In questo caso, però gli esperti mettono in evidenza che la carne di manzo viene cotta, mentre i prodotti freschi – proprio per definizione – non vengono cotti. Donald Schaffner, esperto di scienza e sicurezza alimentare della Rutgers University, spiega che la cottura corretta è una soluzione miracolosa contro la contaminazione.
I prodotti industriali utilizzati su larga scala, vengono lavati, disinfettati ed analizzati in modo simile alla carne bovina. Ma i test, spiegano gli esperti, non sempre sono in grado di rilevare livelli di contaminazione bassi.
Mansour Samadpour, uno specialista in sicurezza alimentare, spiega che le colture sono spesso coltivate all’aperto, dove le feci della fauna selvatica o degli animali nelle vicinanze possono infiltrarsi nell’acqua di irrigazione o nelle acque delle inondazioni. L’Escherichia coli è un normale agente patogeno nell’intestino degli animali. I bovini ne sono più colpiti di altri, ma è stato rilevato anche in oche, cinghiali, cervi e altri.
La contaminazione potrebbe derivare dall’uso di letame non trattato o di acqua di irrigazione contaminata, oppure dal fatto che le cipolle vengono conservate o tagliate in modo tale da risultare contaminate.
Un problema di sicurezza alimentare
La contaminazione è partita da aziende importanti e ben strutturate. McDonald’s e Taylor Farms – fornitore di cipolle gialle di McDonald’s negli stati interessati – sono delle aziende considerate dagli esperti di sicurezza alimentare come esempi di pratiche sicure.
McDonald’s ha spiegato che i suoi fornitori eseguono test sui prodotti frequentemente e lo hanno fatto nell’intervallo di date fornito dai Centers for Disease Control and Prevention per l’epidemia, ma nessuno di loro ha identificato questo ceppo di Escherichia coli.
Wendy’s nel 2022 ha ritirato la lattuga dai ristoranti di diversi Stati dopo che il CDC ha sospettato che fosse la fonte di un’epidemia di Escherichia coli che ha fatto ammalare decine di persone. Nel 2006, la lattuga di Taco Bell è stata identificata come la probabile fonte di un’epidemia di Escherichia coli che ha fatto ammalare 71 persone.
Il Food Safety Modernization Act del 2011 ha richiesto alla Food and Drug Administration di stabilire standard per la produzione e la raccolta sicure di frutta e verdura. La FDA ha introdotto normative per i prodotti agricoli che in precedenza non erano soggetti a molta regolamentazione.
Schaffner spiega che molto spesso ci si trova davanti ad uno schema fisso: c’è un problema di salute pubblica o di sicurezza alimentare e alla fine il Congresso reagisce e abbiamo delle normative.
News
Veicoli elettrici, l’Unione europea e la Cina riaprono i colloqui per evitare i dazi
L’Unione europea e la Cina riaprono i colloqui per scongiurare il rischio di maggiori dazi sull’importazione di veicoli elettrici.
Tra la Cina e l’Unione europea la porta rimane aperta: Pechino e Bruxelles, infatti, hanno concordato di tenere ulteriori negoziati tecnici su possibili alternative ai dazi sui veicoli elettrici prodotti in Cina. Anche se, almeno per il momento, non sembra ancora chiaro come si possano muovere le parti in causa.
Ricordiamo, infatti, che l’Unione europea è pronta ad introdurre delle tariffe aggiuntive fino al 35,5% sui veicoli elettrici costruiti in Cina, per i quali sarebbero state stanziate delle sovvenzioni statali.
Veicoli elettrici, Europa Vs Cina
Sul fronte dei veicoli elettrici sembrerebbe accendersi uno spiraglio in fondo al tunnel. A seguito di una videochiamata che si è tenuta tra Valdis Dombrovskis, rappresentante dell’UE per il commercio, e Wang Wentao, ministro del Commercio cinese, sarebbero stati concordati ulteriori negoziati tecnici che si svolgeranno a breve.
La Commissione europea, che supervisiona la politica commerciale dell’Ue a 27 nazioni, ha già tenuto otto cicli di negoziati tecnici con le controparti cinesi e ha affermato che permangono notevoli lacune residue.
Dombrovskis e Wang hanno ribadito il loro impegno a trovare una soluzione che possa essere accettabile da entrambe le parti. E che, soprattutto, dovrà garantire parità di condizioni nel mercato dell’UE e risultare compatibile con le norme dell’Organizzazione mondiale del commercio.
Due settimane fa la Cina ha esortato l’UE a non condurre negoziati separati con le aziende, avvertendo che ciò avrebbe scosso le fondamenta dei negoziati.
La Commissione ha affermato che Dombrovskis ha sottolineato che i negoziati dell’esecutivo dell’UE con la Camera di commercio cinese per l’importazione e l’esportazione di macchinari e prodotti elettronici (CCCME) non escludono discussioni con singoli esportatori.
Veicoli elettrici, importazioni cinesi in Europa
Nel corso del mese di settembre, la Cina ha inviato in Europa il secondo numero più alto di veicoli elettrici mai registrato: l’Ue ha importato qualcosa come 60.157 veicoli elettrici di produzione cinese, avvicinandosi al record registrato nel mese di ottobre 2023, quando si era arrivati a quota 67.455 veicoli. A riportare questi dati è Bloomberg, che ha citato dei dati doganali.
Nei primi giorni del mese la Commissione europea ha affermato di aver ricevuto sostegno dagli Stati membri per imporre delle tariffe che potrebbero arrivare fino al 45% sulle importazioni provenienti dalla Cina.
La proposta di imporre dei dazi definitivi sulle importazioni di veicoli cinesi, stando a quanto ha comunicato la stessa Commissione europea, ha ottenuto il sostegno necessario dagli Stati membri, anche se qualcuno si è astenuto dal voto. La Spagna e la Germania, infatti, sono contrarie ai dazi: temono, infatti, una guerra commerciale totale con la Cina, con un potenziale aumento delle tariffe di Pechino sull’importazione di prodotti europei, come:
- automobili;
- carne di maiale;
- latticini;
- brandy.
In questo momento sono in vigore dei dazi provvisori, che hanno iniziato ad avere efficacia dal 5 luglio 2024 ed hanno una durata complessiva di quattro mesi: a breve, quindi, termineranno.
Nel caso in cui la Cina e l’Unione europea non dovessero riuscire a trovare delle soluzioni alternative alle tariffe, i dazi sulle importazioni di veicoli elettrici cinesi sono destinate a partire proprio dal mese di ottobre.
La maggiore preoccupazione arriva dalle case automobilistiche tedesche, che in Cina hanno un grande mercato e si sono opposte ai dazi sulle importazioni di veicoli elettrici.
VDA, l’associazione tedesca dei costruttori di automobili, ritiene che le tariffe europee antisovvenzione non colpirebbero solo i produttori cinesi, ma anche le aziende europee e le loro joint venture.
Oliver Zipse, amministratore delegato di BMW, ritiene che il voto a favore dell’introduzione di maggiori dazi sull’importazione di veicoli elettrici sia un segnale fatale per l’industria automobilistica europea. Ora è necessario un rapido accordo tra la Commissione UE e la Cina per evitare un conflitto commerciale da cui nessuno trae vantaggio.
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Boeing, gli operai rifiutano l’aumento del 35% in quattro anni e proseguono con lo sciopero
Continua lo sciopero degli operai Boeing, che rifiutano l’aumento salariale del 35% nell’arco di quattro anni e proseguono con lo sciopero.
Gli operai della Boeing continuano a scioperare. I lavoratori hanno deciso di rifiutare l’offerta contrattuale avanzata dall’azienda e continuare con lo sciopero che dura da oltre cinque settimana. Infliggendo, in questo modo, un duro colpo a Kelly Ortberg, nuovo Ceo di Boeing, che sta cercando di risollevare le finanze dell’azienda.
A votare contro l’accordo è stato il 64% degli operai: la proposta prevedeva un aumento del 35% degli stipendi nell’arco di quattro anni. Il rifiuto costituisce una pesante battuta d’arresto per Ortberg, che nel corso del mese di agosto aveva assunto l’incarico impegnandosi a collaborare in maniera più stretta con i lavoratori rispetto a quanto avevano fatto in passato i suoi predecessori.
Boeing, arriva l’ennesimo rifiuto dei lavoratori
I lavoratori hanno rifiutato ancora una volta l’offerta della Boeing. Già a settembre il 95% dei dipendenti aveva votato contro un primo contratto. Una situazione che sostanzialmente riflette un risentimento verso l’azienda, da cui in molti si sentono imbrogliati per i colloqui che si erano tenuti una decina di anni fa.
Il leader sindacati, subito dopo il voto, hanno comunicato di essere pronti a riprendere i negoziati con Boeing, in quella che è la prima importante trattativa dal 2014, quando l’azienda aveva minacciato di spostare la produzione della nuova versione del 777 fuori dalla regione. L’intento era quello di far passare un accordo che metteva la parola fine alle pensioni tradizionali.
Il sindacato chiede un aumento salariale del 40% e il ripristino del sistema pensionistico a beneficio definito.
In queste settimane la frustrazione degli operai Boeing si è resa palese: in dieci anni i loro salari sono rimasti indietro rispetto all’inflazione e i critici si sono lamentati del fatto che l’azienda ha speso decine di miliardi in riacquisto di azioni e ha pagato dei bonus record ai dirigenti.
Jon Holden, il principale negoziatore contrattuale del sindacato, ha spiegato che nel corso di queste contrattazioni si sono dovute affrontare molte difficoltà: ci sono ferite profonde. Holden ha poi aggiunto di voler tornare al tavolo, al quale dovrà venire anche Boeing.
Da quanto dura lo sciopero di Boeing
Circa 33.000 macchinisti lo scorso 13 settembre 2024 hanno interrotto la produzione negli stabilimenti sulla costa occidentale, bloccando la produzione del modello di successo 737 MAX e dei programmi wide-body 767 e 777.
Il tempo stringe perché Boeing, storicamente il più grande esportatore degli Stati Uniti, e il suo sindacato più importante raggiungano un accordo prima del periodo politico intenso che circonda le elezioni presidenziali del 5 novembre.
Con Boeing e IAM in una situazione di stallo all’inizio di questo mese, Julie Su, segretaria del Lavoro statunitense ad interim, ha contribuito a far sì che l’ultima offerta venisse sottoposta a votazione dopo aver partecipato di persona ai colloqui con entrambe le parti a Seattle la scorsa settimana.
Dopo il voto del sindacato, Holden ha dichiarato che avrebbe contattato la Casa Bianca per verificare se il sindacato potesse ottenere maggiore assistenza nelle trattative con la Boeing.
Scott Hamilton, un consulente aeronautico, spiega che dopo che la prima offerta contrattuale è stata respinta, la luna di miele è finita. Questo nuovo stop è una cattiva notizia per tutti: per la Boeing, per i lavoratori, per i fornitori, per i clienti e perfino per l’economia nazionale. L’azienda, infatti è il più grande cliente di una catena di fornitura aerospaziale statunitense che sta già affrontando una forte pressione finanziaria.
Spirit AeroSystems, il fornitore della fusoliera, ha avvertito che se lo sciopero fosse continuato oltre la fine di novembre, ci sarebbero stati licenziamenti e congedi più drastici. L’azienda, che è in procinto di essere acquisita da Boeing, ha già annunciato una sospensione di 21 giorni per 700 dipendenti.
Ricordiamo che Boeing ha annunciato l’intenzione di tagliare 17.000 posti di lavoro e si sta avvicinando a un piano per raccogliere fino a 15 miliardi di dollari dagli investitori per aiutarla a preservare il suo rating creditizio di grado di investimento, mentre alcune compagnie aeree hanno dovuto ridurre i programmi a causa dei ritardi nelle consegne degli aeromobili.
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Trovato un chip TSMC in un prodotto Huawei. Violate le restrizioni USA?
All’interno di un prodotto Huawei trovato un chip TSMC. Si teme che siano state violate le restrizioni commerciali statunitensi.
Un chip di TSMC è stato trovato all’interno di un prodotto Huawei. A scoprirlo è stata una società di ricerca tecnologica, Techinsights, che ha smontato il prodotto. Si potrebbe configurare, quindi, un potenziale violazione delle restrizioni imposte dagli Stati Uniti verso l’azienda cinese.
A finire sul tavolo dei ricercatori è stato l’Ascend 910B di Huawei: il 910B viene considerato come il chip AI più avanzato disponibile da un’azienda cinese. Il chip TSMC, stando a quanto riferiscono alcune fonti informate sui fatti citate da Reuters, sarebbe stato all’interno di un sistema multi-chip.
TechInsight ha provveduto ad informare immediatamente TSMC prima della pubblicazione delle sue scoperte all’interno di un rapporto. Ma soprattutto ha spinto l’azienda di Taiwan ad informare il Dipartimento del Commercio statunitense alcune settimane fa.
Un chip TSMC all’interno di Huawei
Il chip TSMC all’interno di un prodotto Huawei rende evidente quanto sia difficile riuscire a far rispettare i controlli sulle esportazioni, sia per le aziende che realizzano i prodotti, ma anche per le autorità preposte a questo scopo. Ma non solo: mette in evidenza quanto siano importanti per Huawei i chip più sofisticati e complessi.
Da parte sua TSMC ha già provveduto a contattare in modo attivo il Dipartimento del Commercio Usa, confermando di non aver fornito chip a Huawei a partire dal mese di settembre 2020. L’azienda ha poi specificato che al momento non è a conoscenza di alcuna indagine in corso nei confronti di TSMC.
Ricordiamo che Huawei nel 2019 è stata inserita nella lista nera delle aziende soggette a restrizioni commerciali da parte degli Stati Uniti per motivi di sicurezza nazionale.
Da parte sua Huawei, in una nota, ha dichiarato di non aver prodotto alcun chip tramite TSMC dopo l’introduzione delle norme statunitensi nel 2020. Non è chiaro come il chip sia arrivato a Huawei. Nel 2019, l’azienda ha rilasciato la sua serie di chip Ascend 910. All’epoca, prima dei controlli sulle esportazioni, i chip erano prodotti da TSMC.
Stando a quanto hanno riportato The Information e dal Financial Times, gli Stati Uniti starebbero indagando su TSMC e Huawei. Attraverso una nota il Dipartimento del Commercio statunitense ha comunicato di essere a conoscenza di segnalazioni di presunte potenziali violazioni dei controlli sulle esportazioni degli Stati Uniti, ma non può confermare se siano in corso delle indagini.
Nella sua dichiarazione TSMC ha affermato di mantenere un sistema di esportazione solido e completo per monitorare e garantire la conformità.
Il governo di Taiwan, che ha adottato rigide regole per impedire l’a produzione’esportazione di chip avanzati in Cina, ha più volte affermato che garantirà che le aziende tecnologiche taiwanesi rispettino le regole statunitensi.
Cambio al vertice in Huawei
Mentre a Taiwan sta scoppiando un vero e proprio bubbone arriva un cambio al vertice nell’azienda cinese. Meng Wanzhou ha sostituito Eric Xu nel ruolo di presidente a rotazione per i prossimi sei mesi.
Meng, che è anche figlia del fondatore di Huawei Ren Zhengfei, continuerà contemporaneamente a ricoprire la carica di direttore finanziario dell’azienda.
La 52enne prende le redini in un momento in cui il colosso cinese è in competizione con la rivale Apple sulle vendite di smartphone. Entrambe le aziende hanno lanciato i loro ultimi dispositivi lo stesso giorno di settembre, con Huawei che ha lanciato un telefono premium tri-fold che costa 2.800 dollari.
Meng, definita dai media cinesi la Principessa di Huawei, diversi anni fa è rimasta coinvolta in un caso di estradizione. È stata arrestata a Vancouver nel dicembre 2018 dopo che un tribunale di New York ha emesso un mandato di arresto, affermando che Meng aveva cercato di nascondere i tentativi delle aziende legate a Huawei di vendere apparecchiature all’Iran, violando le sanzioni statunitensi. A Meng è stato consentito di tornare in Cina nel settembre 2021 dopo aver raggiunto un accordo con i procuratori statunitensi per chiudere un caso di frode bancaria nei suoi confronti.
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Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) alza le stime degli Stati Uniti e abbassa quelle della Cina
Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha alzato le stime per gli Stati Uniti e abbassato quelle della Cina. Vediamo cosa dice nel suo rapporto semestrale.
Dal rapporto semestrale del Fondo Monetario Internazionale (FMI) emerge che i rischi finanziari globali, almeno nel breve termine, sono contenuti. Deve essere tenuto sotto controllo, però, l’allentamento della politica monetaria, che potrebbe alimentare una vera e propria bolla speculativa. Ma non solo: i mercati potrebbero sottovalutare i rischi posti dai conflitti militari e dalle imminenti elezioni.
Nel suo consueto rapporto il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha segnalato che la crescente scollatura tra l’incertezza geopolitica crescente e la bassa volatilità concorrono ad aumentare la possibilità di uno shock di mercato simile alle oscillazioni che sono state registrate nel corso del mese di agosto, proprio quando una massiccia riduzione della leva finanziaria era stata innescata da un aumento dei tassi di interesse della Banca del Giappone.
Fondo Monetario Internazionale, il rapporto sull’economia
Stando a quanto si legge nel rapporto Fondo Monetario Internazionale (FMI) anche i mercati azionari e del credito non sembrano essere stati scoraggiati dal rallentamento della crescita degli utili e dal continuo deterioramento nei segmenti più fragili del settore immobiliare aziendale e commerciale.
Nel documento viene, inoltre, messo in evidenza che, mentre l’allentamento monetario da parte della maggior parte delle altre principali banche centrali stava creando condizioni finanziarie accomodanti, i tagli dei tassi di interesse potrebbero alimentare valutazioni elevate degli asset, un aumento globale del debito privato e pubblico e della leva finanziaria non bancaria.
Secondo il Fondo Monetario Internazionale (FMI) queste crescenti vulnerabilità potrebbero amplificare gli shock negativi, diventati più probabili a causa dell’elevata incertezza economica e geopolitica, dei conflitti militari in corso e delle incerte politiche future dei governi appena eletti
Il rapporto è stato pubblicato mentre i responsabili della finanza mondiale si incontrano a Washington per le riunioni annuali del Fondo Monetario Internazionale (FMI) e della Banca Mondiale, in uno dei periodi più incerti a livello geopolitico ed economico degli ultimi decenni.
Oltre alla guerra in Ucraina e a un conflitto in escalation in Medio Oriente, metà della popolazione mondiale ha eletto o eleggerà nuovi governi nel 2024, compresi gli Stati Uniti. In molti casi i piani politici di quei nuovi leader non sono chiari, ma avranno conseguenze economiche significative.
In particolare, economisti e dirigenti di Wall Street hanno espresso preoccupazione per il fatto che gli aumenti dei dazi sulle importazioni pianificati dal candidato repubblicano alla presidenza Donald Trump potrebbero riaccendere l’inflazione, mentre i tagli fiscali da lui promessi potrebbero ampliare il deficit degli Stati Uniti.
Le esortazioni Fondo Monetario Internazionale (FMI)
Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha esortato le banche centrali a comunicare in modo chiaro e a tagliare gradualmente i tassi. Ma soprattutto ha sottolineato che i regolatori dovrebbero monitorare attentamente il debito aziendale e il settore immobiliare commerciale, e garantire una solida supervisione bancaria.
Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ritiene, inoltre, che le autorità dovrebbero migliorare i requisiti di segnalazione per le istituzioni finanziarie non bancarie come gli hedge fund e le società di private equity, che stanno svolgendo un ruolo più importante nei mercati finanziari. Le autorità, tuttavia, hanno generalmente meno visibilità sulle attività di tali società e sui livelli di leva finanziaria rispetto ai finanziatori tradizionali.
Anche l’ascesa dell’intelligenza artificiale è stata evidenziata nel rapporto. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha osservato che una maggiore adozione dell’IA da parte delle società finanziarie potrebbe aumentare la velocità e l’efficienza, ma anche la volatilità.
Inoltre, secondo il rapporto, la crescente dipendenza da un pugno di fornitori di servizi di intelligenza artificiale comporta altri rischi operativi e potrebbe rappresentare una sfida per gli enti di regolamentazione che cercano di controllare quella che è generalmente considerata una tecnologia poco trasparente.
Bene gli Stati Uniti, male la Cina
Il Fondo monetario internazionale ha aumentato le sue previsioni di crescita economica per il 2024 per Stati Uniti, Brasile e Gran Bretagna, ma le ha ridotte per Cina, Giappone e Zona Euro, aggiungendo che abbondano i rischi derivanti da conflitti armati, potenziali nuove guerre commerciali e gli effetti collaterali di una politica monetaria restrittiva. Secondo l’ultimo World Economic Outlook del FMI, questi cambiamenti lasceranno la crescita del PIL globale del 2024 invariata rispetto al 3,2% previsto a luglio, creando un clima di debolezza per la crescita mentre i leader della finanza mondiale si riuniscono questa settimana a Washington per le riunioni annuali del FMI e della Banca Mondiale.
Secondo il rapporto, la crescita globale dovrebbe attestarsi al 3,2% nel 2025, un decimo di punto percentuale in meno rispetto alle previsioni di luglio, mentre la crescita a medio termine dovrebbe attestarsi a un mediocre 3,1% in cinque anni, ben al di sotto del trend pre-pandemia. Pierre-Olivier Gourinchas, l’economista capo del FMI, ha affermato che Stati Uniti, India e Brasile stanno dimostrando resilienza e che è stato raggiunto un atterraggio morbido in cui l’inflazione si è raffreddata senza ingenti perdite di posti di lavoro.
Il FMI ha rivisto al rialzo le sue previsioni di crescita degli Stati Uniti per il 2024 di due decimi di punto percentuale al 2,8%, in gran parte a causa di consumi più forti del previsto alimentati dall’aumento dei salari e dei prezzi delle attività.
La Germania non vedrà alcuna crescita quest’anno, un ribasso di due decimi di punto percentuale, poiché il suo settore manifatturiero continua a lottare, ha previsto il FMI. La riduzione ha contribuito a trascinare leggermente verso il basso le previsioni per la crescita complessiva della zona euro allo 0,8% per il 2024 e all’1,2% per il 2025, nonostante un upgrade di mezzo punto percentuale che ha spinto la crescita prevista per la Spagna al 2,9%.
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