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Inflazione USA: costo del lavoro e dei mutui in aumento

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Written by Alessandro Calvo
Diplomato in Scienze Economiche presso l'Ateneo di Torino, mi dedico alla vita di nomade digitale con un focus particolare sugli investimenti azionari. Rivesto il ruolo di gestore e analista capo per il portfolio di azioni su TradingOnline.com. Come ricordato da Peter Lynch, è importante tenere a mente che investire in azioni non equivale a giocare alla lotteria; rappresenta piuttosto la detenzione di una quota parte di un'impresa
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Per quanto gli Stati Uniti stiano mostrando una forte resilienza al periodo di tassi di interesse in rialzo, corredata anche da una rapida discesa del tasso di inflazione, rimangono dei dubbi sull’evoluzione del ciclo economico. Molti analisti ritengono che il tasso di inflazione sia destinato ad aumentare nuovamente, a meno che il mercato del lavoro e quello immobiliare non risentano di una flessione nel corso dei prossimi mesi. Gli ultimi dati, però, indicano che sia il costo dei mutui che quello per contrattare lavoratori sono in aumento.

Si tratta di dati interessanti per diverse ragioni. I mutui tendono a scontare le attese sui tassi della Federal Reserve. In un momento di tassi in calo e inflazione in calo, dovrebbero diminuire anche gli interessi sul pagamento delle rate; se questo non accade, significa che per le banche rimangono alte le attese legate a inflazione e tassi centrali. Il costo del lavoro, invece, indica uno dei principali costi che le aziende dovranno sostenere e che dovranno poi passare ai consumatori attraverso i rincari dei loro prodotti e servizi. Se il costo del lavoro aumenta, è facile che aumenti anche il tasso di inflazione.

presentazione della notizia sui rincari dei mutui e delle assunzioni negli USA
Malgrado il tasso di inflazione americano si attesti attualmente intorno al 3,0%, molti analisti prevedono un aumento in caso di mancato raffreddamento del mercato del lavoro

I dati su mutui e lavoro mostrano rincari

Secondo il Freddie Mac Primary Mortgage Survey, un sondaggio che studia i tassi sui mutui praticati dalle principali banche americane, attualmente un mutuo medio a 30 anni porta con sé un tasso di interesse del 6,81%; l’aumento è di 13 punti base rispetto alla settimana scorsa e di 151 punti base rispetto a un anno fa. Il mutuo a tasso fisso a 30 anni è considerato il benchmark di riferimento per quanto riguarda il credito immobiliare negli Stati Uniti, essendo stata storicamente la forma di mutuo più richiesta dagli americani.

Sam Khater, chief economist presso Freddie Mac, ritiene che i tassi dei mutui elevati siano giustificati dal fatto che le banche non hanno fiducia -in un periodo di tassi in rialzo- in mercati che possono risentire fortemente della politica economica come quello immobiliare. Il tutto nonostante la fiducia dei consumatori negli USA sia quasi ai massimi da due anni.

Per quanto riguarda il mondo del lavoro, il costo per ogni dipendente nuovo è aumentato del 1.0% nel secondo trimestre del 2023 contro una previsione del 1.1% e un dato del 1.2% nel primo trimestre dell’anno. Considerando che il mercato del lavoro è tra le principali variabili che regolano l’inflazione, è un dato rilevante per le attese legate alla pressione sui prezzi. Rispetto a un anno fa, i salari sono aumentati tra il 4.2% e il 5.3% per tutti i principali settori economici americani.

grafico andamento mutui a 30 anni negli USA
Il fatto che le attese di inflazione siano in calo non sembra avere avuto effetto sul costo dei mutui

Nel frattempo si pensa alla solidità delle banche

I tassi di interesse in rialzo hanno funzionato nel contenere l’inflazione, ma rimangono alcuni dubbi circa la tenuta del settore bancario. Dal momento che il mercato del lavoro rimane incandescente e che la crescita è ancora forte, non è da escludere che altri rialzi dei tassi possano arrivare nei prossimi mesi. Per questo, i tre maggiori regolatori del sistema bancario negli Stati Uniti hanno proposto una riforma che prevede nuovi requisiti di stabilità per le banche più grandi. Si dovrebbe trattare di una misura rivolta esclusivamente a banche con oltre $100 miliardi in asset, che esclude le piccole banche regionali.

Questa riforma andrebbe a modificare i requisiti di capitale, essenzialmente costringendo le banche a mantenere maggiori riserve di liquidità e a operare con una leva finanziaria più bassa. In questo modo si migliorerebbe la stabilità in caso di fuga dei depositi, lo stesso tipo di eventualità che ha colpito e portato al fallimento Silicon Valley Bank e First Republic Bank. Al momento si tratta soltanto di una proposta, ma che in caso di approvazione porterebbe ad aumentare del 16% circa il capitale di equity tier-1 -quello più prontamente liquidabile- per i maggiori istituti di credito americani.

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