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La Germania chiama gli alleati: “Ridurre dipendenza da Pechino”

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Written by Gianluca Grossi
Attivo come analista economico dal 2009, collaboro con TradingOnline.com dove fornisco approfondimenti sul Forex, sulla macroeconomia e sul mercato azionario, prestando particolare attenzione alle economie in ascesa quali quelle di Turchia, Brasile, Indonesia e Cina. Ricopro inoltre il ruolo di caporedattore per il rinomato giornale online Criptovaluta.it, una risorsa chiave per chi è interessato al settore delle criptovalute e del Bitcoin. Il mio interesse si estende al mercato degli ETF, soprattutto quelli negoziati a New York, mantenendo sempre un'attenta osservazione sulle dinamiche di mercato.
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C’è un nuovo capitolo della guerra commerciale che ormai bolle in pentola da qualche settimana e che vede da un lato la Cina nel ruolo di incassatrice e dall’altro l’Europa/Germania all’attacco. A prendere il microfono in mano e a rivolgere accuse a Pechino è il ministro degli esteri tedesco Annalena Baerbock, che chiama l’Europa alla riduzione della dipendenza dalla Cina. Al centro questioni di denaro, e di mercati, e in particolare del mercato delle auto elettriche.

Le imprese dell’automotive tedesche stanno infatti soffrendo la concorrenza dei brand di Pechino, tensioni che sono già sfociate nell’avvio di indagini da parte della Commissione Europea che sono state annunciate la scorsa settimana da Ursula von der Leyen. Indagini che sono state già contestate apertamente da Pechino, che ha minacciato ritorsioni. E che le ha minacciate anche per le recenti uscite del ministero degli affari esteri di Berlino, che almeno ai più cinici sembra il vero mandante di questa guerra per il momento solo epistolare.

Chiamata armi pechino
Chiamata alle armi della Germania in chiave anti-cinese

La Germania chiede una mano all’Europa

È la Germania a prendere in mano le redini di quella che è già una guerra commerciale nel pieno svolgimento, per quanto manchino ancora dei provvedimenti in concreto che la rendano evidente anche ai più scettici. Annalena Baerbock, che a Berlino è Ministro degli Affari Esteri ha infatti chiesto all’Europa di ridurre la sua dipendenza dall’economia cinese.

Un vecchio politico italiano ricordava che nelle nostre accuse siamo un po’ tutti autobiografici, e sembrerebbe essere questo il caso per le accuse che Berlino muove anche ai partner europei. A dipendere maggiormente – e a soffrire altrettanto maggiormente della crisi di Pechino.

La chiamata alle armi – commerciale, si intende – c’è. E vedremo quali saranno le risposte degli alleati tedeschi, alcuni dei quali non potrebbero però essere completamente persuasi dalla lettura che Berlino sta dando della situazione. In particolare se nel territorio di suddetti alleati non ci sono industrie automobilistiche da difendere, perché questo è l’altro punto della questione.

Ancora al centro i rapporti tra Pechino e Berlino

In ballo il mercato auto, e il 6% della forza lavoro europea

Il settore auto impiega, in Europa, un importante numero di addetti. Tra impiego diretto e indotto parliamo di circa 14 milioni di residenti in Europa, che ammontano a circa il 6% della forza lavoro dell’Unione. Numeri importanti che giustificano la presa di posizione protezionista di Bruxelles (e se vogliamo di Berlino) a fronte di un’industria cinese EV che sembrerebbe avere una marcia in più.

È questo, almeno per ora, il punto più importante della guerra tra blocco europeo e Cina – che informerà anche le prossime decisioni in senso protezionistico.

Possibile ritorno al protezionismo?

Per quanto si tratterebbe comunque di una versione edulcorata di quanto avveniva qualche decennio fa, è una delle opzioni sul tavolo. L’idea tedesca sarebbe quella di rimodulare accordi commerciali seguendo una sorta di do ut des in termini di regole comuni. Dove ci sarà più spazio per la collaborazione – e per regole almeno in parte comuni – si potrebbe rimanere in un regime come quello attuale.

Per gli altri potrebbe maturare la scure dei dazi, già presente nei confronti della Cina, e tesa ad aiutare almeno una parte della manifattura europea.

Questo a patto che a Pechino non decidano di optare per la ritorsione – a tutela questa volta delle loro, di aziende – e che i piani protezionistici non finiscano per frammentare il mercato ai danni, ultimi, dei consumatori.

La tensione cresce. Che sfoci però in una guerra commerciale aperta non è così automatico: la crisi in Europa potrebbe cominciare a mordere – e i dazi potrebbero essere mal digeriti da una popolazione, quella europea, che di prodotti a basso costo ne consuma e vuole continuare a consumarli.

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