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Turchia: duro colpo a EV cinesi con legge specifica

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Written by Gianluca Grossi
Attivo come analista economico dal 2009, collaboro con TradingOnline.com dove fornisco approfondimenti sul Forex, sulla macroeconomia e sul mercato azionario, prestando particolare attenzione alle economie in ascesa quali quelle di Turchia, Brasile, Indonesia e Cina. Ricopro inoltre il ruolo di caporedattore per il rinomato giornale online Criptovaluta.it, una risorsa chiave per chi è interessato al settore delle criptovalute e del Bitcoin. Il mio interesse si estende al mercato degli ETF, soprattutto quelli negoziati a New York, mantenendo sempre un'attenta osservazione sulle dinamiche di mercato.
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Ancora problemi per le vetture elettriche Made in China. Dopo che l’Europa ha avviato un’inchiesta su presunti aiuti di stato, ora è il turno della Turchia. Ankara ha imposto delle nuove norme per i veicoli elettrici importati: norme di carattere generale ma che, per come sono strutturate, colpiranno principalmente i veicoli prodotti nella Repubblica Popolare Cinese, o comunque di brand cinesi. E per chi dovesse avere dubbi sull’incisività di tali norme, basti ricordare che la Turchia è il sesto mercato automobilistico d’Europa per dimensioni.

Continua così la stretta verso un settore molto florido in Cina, complici anche pratiche che almeno in Europa potrebbero essere presto considerate come aiuto di stato, all’interno di un più complesso quadro di guerra commerciale che non coinvolge soltanto Washington contro Pechino, ma anche Bruxelles e ora Ankara. Questo mentre Pechino invece diffonde delle previsioni di crescita per il PIL nel 2024.

Stretta turca sugli EV cinesi

Stretta turca sui veicoli elettrici made in China

Le società che importano veicoli elettrici in Turchia dovranno sottostare a nuove regole: oltre ad avere assistenza clienti nel paese dovranno al tempo stesso offrire almeno 140 officine autorizzate.

Si tratta di condizioni piuttosto stringenti, dalle quali saranno però esentate tutte le compagnie che arrivano da paesi che hanno accordi di libero commercio con la Turchia oppure che hanno sede principale in Europa. È un colpo duro che taglierà fuori almeno per un certo periodo i produttori cinesi e gli importatori dei loro veicoli nel paese.

La natura delle norme, per quanto non sia specificato, è un attacco diretto e duro alle possibilità delle aziende cinesi di fare affari nel sesto mercato automobilistico d’Europa per volumi. Nel frattempo partono le trattative per prolungare l’entrata in vigore delle norme o per ammorbidirle, perché di fatto – commentano gli analisti – si tratta di un ban per i veicoli cinesi su tutto il territorio turco.

Il requisito maggiormente contestato è quello delle officine autorizzate, che secondo la legge di cui stiamo discutendo dovranno rispondere ed essere di proprietà direttamente della casa madre, cosa che complica anche la possibilità che tali officine vengano aperte e mantenute con accordi in loco con terze parti.

140 centri assistenza richiesti per vendere auto nel paese

Un mercato dove le auto elettriche hanno già avuto un enorme successo

I turchi sembrano essere particolarmente ricettivi quando si parla di veicoli elettrici. Il 7% circa delle vendute nel 2023 sono appunto elettriche, per una crescita di 10 volte rispetto all’anno precedente. Un mercato ghiotto sia per Togg, produttore locale, sia per Tesla e – inutile forse anche sottolinearlo – per i brand cinesi che possono proporre veicoli più economici in un mercato forse più price sensitive di quello dell’Unione Europea.

Secondo Ankara non si tratterebbe però di una norma pensata direttamente per la Cina. Si tratterebbe della risposta alla necessità di normare un mercato nascente tenendo conto di quelle che saranno le esigenze dei consumatori. Al momento il governo non avrebbe alcun tipo di intenzione di rivedere, come richiesto a gran voce dai produttori coinvolti, le norme prima che entrano in vigore.

Il sospetto è anche, almeno da un certo angolo, che si voglia favorire Togg, produttore locale nato da una joint venture di alcuni dei gruppi industriali e bancari più importanti del paese.

Intanto in Cina è business as usual. Il Politburo – che ha recentemente introdotto lo slogan usare il progresso promuovere la stabilità – sembra voglia puntare ad una crescita del 5%. Target certamente ambizioso, sia per l’andamento dell’economia globale, sia invece per i molti problemi che la Cina sta affrontando ormai da qualche tempo a questa parte. Chi la spunterà? Intanto da Ankara arriva un’altra patata bollente.

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