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Baytex, nuove obbligazioni a 7 anni per $750 milioni

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Baytex Energy, una delle più grandi società canadesi nel ramo dell’energia, ha annunciato nella giornata di oggi la sua intenzione di emettere 750 milioni di dollari di nuove obbligazioni con scadenza nel 2030. I bond verranno offerti prima alle banche che sottoscriveranno l’emissione, dopodiché saranno offerte da queste ultime sul mercato. L’obiettivo di questa operazione è chiaro: finanziare la fusione con Ranger Oil, che dovrebbe dare vita a un vero colosso in grado di competere su scala mondiale. Le obbligazioni a 7 anni saranno di tipo senior unsecured.

Con il grande obiettivo della fusione in mente, le due società continuano a preparare l’operazione sul piano finanziario. Dal momento che Baytex offrirà un compenso agli azionisti di Ranger formato in parte da azioni e in parte da contanti, l’azienda ha bisogno di fondi per poter finanziare l’operazione. La nuova emissione dovrebbe permettere alle due aziende di procedere con la strategia già annunciata, che prevede di concludere la merger entro la prima metà del 2023. Questo è comunque un piano ancora in corso, in cui bisognerà valutare, tra le altre cose, la struttura manageriale della nuova realtà e la strategia che deciderà di adottare sul mercato.

presentazione della notizia secondo cui Baytex Energy emetterà 750 milioni di dollari in nuovi bond
Baytex si occupa dell’estrazione di gas naturale e petrolio nella parte occidentale del Canada

I dettagli dell’emissione

Trattandosi di obbligazioni senior unsecured, hanno priorità di rimborso alla pari di tutti gli altri obbligazionisti non subordinati. Il debito non è garantito su ipoteche immobiliari o su altre immobilizzazioni, lasciando il rimborso legato esclusivamente all’andamento del business di Baytex Energy. Dopo la fusione, chiaramente, ci si aspetta che il debito venga trasferito alla nuova realtà che si occuperà poi di pagare le dovute cedole. Trattandosi di una fusione che dovrebbe migliorare la solidità patrimoniale di entrambe le società, gli obbligazionisti dovrebbero persino vedere ridotto il loro rischio dopo l’accordo con Ranger Oil.

La società non ha ancora dichiarato quale sarà il rendimento delle obbligazioni né come sarà formata la cordata di banche che decideranno di sottoscrivere l’emissione. Ci si aspetta comunque che venga offerto un rendimento intorno al 6,5%, in linea con i tassi di interesse attuali e con il profilo di rischio dell’operazione. Per quanto riguarda il profilo di rischio in particolare, Fitch ha già espresso il suo giudizio BB- sul rating creditizio dell’emittente. Anche se non si tratta di un rating tripla-A, è importante sapere che i bond BB- sono comunque considerati investment grade e hanno un’elevata probabilità di rimborso.

foto di macchinari per l'estrazione di petrolio
Il Canada è uno dei fornitori di gas naturale liquefatto su cui l’Europa conta per sopperire all’embargo del gas russo. Ranger Oil e Baytex fanno parte di questa filiera.

Su Baytex e Ranger Oil

La fusione tra Baytex e Ranger Oil è uno degli eventi più attesi sulle Borse canadesi. Entrambe le aziende operano nel settore energetico e petrolifero, con un accordo già deciso per concludere la propria fusione. Gli azionisti di Ranger Oil riceveranno 7.49 azioni di Baytex per ogni azione di Ranger in loro possesso. Per ogni azione saranno offerti anche 13.31$ cash, portando la compensazione totale a 44.36$ per azione. Considerando che attualmente le azioni Ranger sono valutate 43$ per azione, il mercato sembra credere che l’operazione sia ormai prossima alla conclusione.

Per avere una stima delle dimensioni delle due aziende coinvolte, Ranger Oil è attualmente valutata 630 milioni di dollari e Baytex è valutata circa $2 miliardi. Questo significa che l’emissione di obbligazioni è pari a un terzo della capitalizzazione di mercato di Baytex: sicuramente una mossa forte, ma di cui sia il management che gli azionisti sembrano essere totalmente convinti. Bisogna comunque notare che esiste un’eccezione per la quale i bond potrebbero non arrivare a scadenza nel 2030. Se le due aziende non dovessero concludere la fusione entro il 15 ottobre 2023, Baytex si riserva il diritto di ricomprare i bond allo stesso valore di emissione senza bisogno di accordo diretto con chi li detiene.

Laureato in Economia Aziendale all'Università degli Studi di Torino, digital nomad e investitore esclusivamente in azioni. Gestore e chief-analyst del portafoglio azionario di TradingOnline.com. "Anche se difficile da ricordare a volte, un'azione in realtà non è un biglietto della lotteria...è la proprietà parziale di un'azienda" - Peter Lynch

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L’oro raggiunge un nuovo massimo a 2.739,40 dollari l’oncia. Ecco perché continua il rally

Continua il rally dell’oro, che in mattina raggiunge un nuovo massimo. Cerchiamo di capire cosa succede a questa materia prima.

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L'oro raggiunge un nuovo massimo a 2.739,40 dollari l'oncia. Ecco perché continua il rally

L’oro raggiunge un massimo storico, riuscendo ad estendere un importante rally e muovendosi senza grossi problemi tra le varie incertezze che arrivano dalle elezioni statunitensi, dalle tensioni in Medio Oriente e in mezzo ai tagli dei tassi d’interesse che hanno effettuato la maggior parte delle principali banche centrali. L’argento, invece, è riuscito a sfiorare il massimo da dodici anni a questa parte.

L’oro spot è cresciuto dello 0,3% toccando quota 2.729,40 dollari l’oncia alle 7 di questa mattina. In precedenza aveva sfiorato il massimo storico di 2.732,73 dollari. Sono cresciuti anche i future sull’oro statunitense, che hanno registrato un +0,6% a 2.744,80 dollari. Grazie al rialzo dei lingotti, l’argento spot è riuscito a crescere dell’1,1% a 34,03 dollari l’oncia, pari al livello più alto dalla fine del 2012.

Ma entriamo nel dettaglio e cerchiamo di capire cosa sia accaduto all’oro.

Continua il rally dell’oro

L’oro in questi giorni continua a brillare. Soni Kumari, stratega delle materie prime presso ANZ, ha spiegato che il rally di questo mese è guidato principalmente dalla domanda di beni rifugio a causa della tensione geopolitica in Medio Oriente e dell’incertezza sulle elezioni statunitensi, il cui esito sembra molto incerto: chiunque può vincere.

L’ex presidente Usa Donald Trump e la vicepresidente Kamala Harris, al momento, sono testa a testa nella corsa alle presidenziali degli Stati Uniti d’America nei sette stati chiavi che decideranno le elezioni del 5 novembre 2024.

Nel frattempo centinaia di residenti di Beirut, in Medio Oriente, sono dovuti fuggire dalle loro case nel corso della serata di domenica. Sono state udite, infatti, moltissime esplosioni: Israele si preparava ad attaccare molti siti.

L’oro è considerato un investimento sicuro in periodi di turbolenza economica e politica. I tassi più bassi ne accrescono anche il fascino, poiché i lingotti non fruttano interessi.

Gli investitori hanno anche digerito la notizia che la Cina ha tagliato i suoi tassi di interesse di riferimento sui prestiti, in seguito alle riduzioni di altri tassi di interesse ufficiali il mese scorso, come parte di un pacchetto di misure di stimolo per rilanciare l’economia.

La domanda di oro nella Cina, il principale paese consumatore, ha subito un duro colpo a causa dei prezzi elevati e del rallentamento economico.

Altrove, i trader stanno prezzando una probabilità del 99% di un taglio dei tassi di interesse della Federal Reserve statunitense a novembre. La Banca Centrale Europea ha tagliato i tassi di un quarto di punto la scorsa settimana.

Tim Waterer, analista capo di mercato presso KCM Tradeer l’oro a 2.800 dollari sembra essere un obiettivo praticabile per fine anno. Secondo Waterer ci sarà la tentazione di bloccare alcuni profitti, il che potrebbe rallentare l’immediato rialzo.

Il platino è salito dello 0,3% a 1.016,21 dollari l’oncia, il suo massimo da metà luglio. Il palladio ha guadagnato lo 0,3% a 1.076 dollari.

Oro quali sono motivazioni dell’aumento dei prezzi

Quali sono le motivazioni che sono dietro all’aumento del prezzo dell’oro? Senza dubbio a condizionare le quotazioni sono i massicci acquisti effettuati dalle banche centrali a livello globale. Tramite questi istituti, gli Stati conservano molte riserve auree in modo da assicurarsi un prodotto finanziario solvibile in qualsiasi momento, soprattutto quando c’è una crisi economica o geopolitica.

Un esempio di quanto queste scorte siano importate è costituito dalla Russia, che, proprio nel momento in cui sta attraversando una crisi monetaria determinata dalla chiusura della sua principale fonte di valuta estera (la vendita di materie prime a causa delle sanzioni), ha iniziato ad acquistare oro.

Per contrastare questa situazione, la Banca Centrale Russa ha iniziato ad aumentare le proprie scorte di lingotti, che sono arrivate a superare in valore quelle dei dollari.

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La carenza di zucchero blocca la produzione di Coca Cola e PepsiCo in Cisgiordania

Coca Cola e PepsiCo lamentano carenza di zucchero e lattine in Cisgiordania a causa di un blocco nella catena di approvvigionamenti.

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La carenza di zucchero blocca la produzione di Coca Cola e PepsiCo in Cisgiordania

In Cisgiordania c’è carenza di zucchero e di lattine, che sono rimasti bloccati presso un valico di frontiera in Giordania. A lamentarsi della carenze sono gli imbottigliatori di PepsiCo e Coca Cola, che hanno due stabilimenti di bibite nei territori palestinesi occupati.

La catena di approvvigionamento in Medio Oriente si è fatta sempre più complicata a seguito dell’esplosione del conflitto. Soprattutto a seguito della chiusura di un importante valico commerciale sul ponte di Allenby, che è in gran parte chiuso da inizio settembre. A determinare lo stop è stato un uomo armato giordano che ha sparato ed ucciso tre civili israeliani. E adesso inizia a sentirsi la carenza di zucchero.

Ma entriamo nel dettaglio e cerchiamo di capire cosa stia accadendo.

Manca lo zucchero per PepsiCo e Coca Cola

Hatim Omari – direttore di uno stabilimento che imbottiglia Pepsi, 7UP e Mirinda per la vendita nei territori palestinesi e nei paesi limitrofi – spiega che le bottiglie e lo zucchero venivano sempre trasportati dalla Giordania fino alla Cisgiordania attraverso il ponte che è stato chiuso. Da questo valico i rifornimenti erano sempre puntuali. La PerpsiCo ha uno stabilimento a Jericho, che in questo momento ha esaurito i materiali per le sue bevande analcoliche in lattina. Al momento non è in grado di ricevere delle nuove spedizioni di zucchero o lattine. Lo zucchero proveniva dall’Arabia Saudita.

Nella stessa situazione spiega di trovarsi Imad Hindi – direttore generale della National Beverage Company, un imbottigliatore di Coca Cola con sede a Ramallah – che oltre a lamentare la mancanza di zucchero e lattine, afferma di essere a corto di alcuni gusti di bibite analcoliche.

In un messaggio su WhatsApp, Hindi ha spiegato che se la situazione dovesse continuare in questo modo, la maggior parte degli operatori del settore privato arriveranno ben presto ad un punto morto, nel quale non saranno più in grado di lavorare.

Sia la Coca Cola che PepsiCo non hanno rilasciato dei commenti. Ad ogni modo è importante sottolineare che i due imbottigliatori fanno capo ad aziende separate, ma spesso e volentieri le società statunitensi si appoggiano su imprese locali delle quali detengono delle quote azionarie.

I problemi di approvvigionamento in Medio Oriente

La mancanza di zucchero e di bottiglie è solo uno degli ultimi problemi che hanno determinato le interruzioni della catena di fornitura a causa del conflitto in Medio Oriente. Gli attacchi degli Houthi alle navi cargo nel Mar Rosso hanno spinto alcune aziende di consumo globali a dirottare le loro merci dall’Asia per navigare intorno all’Africa.

Paul Musgrave, professore associato di governo alla Georgetown University in Qatar, ha spiegato che da Beirut all’Iran a Gaza, è davvero difficile gestire un’attività normale e nessuno ne è immune. Per lavorare le aziende hanno bisogno di zucchero, di lattine, di persone e di elettricità: tutto questo sta subendo un interruzione.

Secondo Hindi, direttore dell’imbottigliatore di Coca Cola in Cisgiordania, i costi per fare affari nei territori palestinesi sono circa cinque volte superiori rispetto ai paesi limitrofi.

Presso il franchising di imbottigliamento PepsiCo, che in precedenza produceva 60 milioni di litri di bevande all’anno, la produzione è scesa di circa il 35%. Senza lattine, continua a usare bottiglie di plastica, ma ha detto che i margini sulle bevande in bottiglia di plastica sono più bassi.

L’elevata disoccupazione nella densamente popolata Cisgiordania, dove la PepsiCo è la cola dominante compromette la possibilità delle famiglie locali di acquistare le bevande. Ora lo stabilimento lavora un turno al giorno per i suoi 200 dipendenti, anziché tre in precedenza, ha aggiunto Omari.

Oltre alla carenza di forniture, i boicottaggi dei marchi statunitensi come la Coca Cola e Pepsi hanno danneggiato le vendite delle aziende nei paesi a maggioranza musulmana, dove alcuni consumatori evitano le bevande analcoliche.

Ramon Laguarta, CEO di PepsiCo, nei giorni scorsi ha spiegato, in una call con gli investitori, che le tensioni geopolitiche hanno influenzato l’attività dell’azienda in Medio Oriente. Secondo Laguarta non cambierà nei prossimi mesi.

Il 23 ottobre la Coca Cola pubblicherà i suoi risultati finanziari per il terzo trimestre del 2024.

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Petrolio, il sentiment degli investitori europei è rialzista. WTI scambiato a 73,5 dollari al barile

Il sentiment sul petrolio degli investitori europei è rialzista. La posizione è emersa da una serie di dati ben precisi diffusi da alcuni esperti.

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Petrolio, il sentiment degli investitori europei è rialzista. WTI scambiato a 73,5 dollari al barile

Riflettori puntati sul petrolio: stando ai dati mensili Serix di Spectrum Markets, il sentiment sarebbe rialzista verso i due principali indici del petrolio greggio, per i quali a settembre è stato registrato 111 per il WTI e 108 per il Brent.

Le preoccupazioni relative all’approvvigionamento e le tensioni in Medio Oriente hanno determinato, almeno dal mese di giugno 2024 in poi, un costante aumento del sentiment sul petrolio greggio.

Nel mese di settembre 2024 il 36,9% delle negoziazioni, almeno secondo i dati di Spectrum, sono avvenute al di fuori dei tradizionali orari di mercato europei.

Petrolio, in sentiment degli investitori europei

Spectrum Markets ha pubblicato i suoi dati sul sentiment Serix per gli investitori al dettaglio europei per settembre, rivelando un cambiamento positivo verso entrambi i principali indici del petrolio greggio: WTI e Brent, rispettivamente a 111 e 108.

Ciò che spicca a settembre è il costante trend al rialzo del sentiment Serix sul petrolio greggio iniziato a giugno 2024, in concomitanza con l’escalation delle tensioni in Medio Oriente. Questo trend sembra essere guidato dall’instabilità geopolitica, alimentando l’ansia del mercato per le carenze di offerta e i relativi aumenti dei prezzi.

Michael Hall, Head of Distribution presso Spectrum Markets, spiega che il sentiment degli investitori al dettaglio sta mostrando una chiara tendenza al rialzo in linea con l’aumento dei prezzi del petrolio. L’instabilità geopolitica in Medio Oriente ha indubbiamente giocato un ruolo significativo, alimentando preoccupazioni su potenziali interruzioni dell’approvvigionamento, che si sono riflesse nelle prospettive rialziste per il petrolio greggio.

Secondo Hall il costante aumento dei valori Serix sia per WTI che per Brent evidenzia un cambiamento di sentiment, poiché gli investitori guardano al petrolio come a un asset chiave in mezzo a più ampie incertezze di mercato. Con il mercato energetico che continua a sperimentare volatilità, ci aspettiamo che questo interesse per il petrolio greggio persista.

Petrolio, i dati Serix di settembre

Il valore Serix indica il sentiment degli investitori al dettaglio: un numero superiore a 100 indica un sentiment rialzista, mentre un numero inferiore a 100 indica un sentiment ribassista.

A settembre 2024, il fatturato del portafoglio ordini su Spectrum è stato di 242,4 milioni di euro, con il 36,9% delle negoziazioni avvenute al di fuori dei mercati tradizionali ore (ad esempio, tra le 17:30 e le 9:00 CET).

Il turnover del portafoglio ordini è stato distribuito tra vari asset sottostanti come segue: 78,1% su indici, 3,5% su coppie di valute, 11,9% su materie prime, 3,4% su azioni e 3,1% su criptovalute. I primi tre mercati sottostanti negoziati sono stati Nasdaq 100 (27,8%), Dax 40 (24,8%) e Dow 30 (13,4%).

Esaminando i dati Serix per i tre principali mercati sottostanti, il Nasdaq 100 è passato da neutrale a rialzista a 101, mentre sia il Dow 30 che il Dax 40 sono rimasti ribassisti a 98.

Per quanto riguarda il petrolio, Saverio Berlinzani, Senior Analyst di ActivTrades, spiega che i future sul greggio WTI sono scesi a 73,5 dollari al barile questa notte, accelerando il calo rispetto alla sessione precedente, appesantiti dalle preoccupazioni sulle prospettive economiche della Cina, uno dei principali importatori di greggio. I dati del fine settimana hanno mostrato che le pressioni deflazionistiche della Cina si sono intensificate, e permangono rischi e preoccupazioni sui rischi di decrescita.

Secondo Berlinzani, un’ulteriore pressione sui prezzi deriva dal calo della domanda globale e dalla forte crescita dell’offerta. Tutto questo, nonostante le persistenti preoccupazioni sul fronte geopolitico, che potrebbero risollevare i prezzi dell’oro nero.

I prezzi dell’oro, invece, sono saliti nelle prime ore di lunedì – spiega Ricardo Evangelista, Senior Analyst di ActivTrades – toccando un massimo di dieci giorni. Nonostante le mutevoli aspettative sui tagli ai tassi della Federal Reserve, la domanda di metallo prezioso continua a essere sostenuta da acquisti rifugio, alimentati dall’instabilità geopolitica in Medio Oriente e dalle persistenti preoccupazioni sulla performance economica della Cina.

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Litio, la sovraproduzione cinese ne ha fatto crollare i prezzi. Una politica che si rivolta contro la stessa Pechino

La sovraproduzione cinese ha avuto un impatto immediato sui prezzi del litio, che sono scesi drasticamente. Ma la politica ha delle conseguenze per la stessa Pechino.

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Litio, la sovraproduzione cinese ne ha fatto crollare i prezzi. Una politica che si rivolta contro alla stessa Pechino

Obiettivo abbassamento delle quotazioni del litio. Possiamo sintetizzare in questo modo la politica commerciale attuata dai produttori cinesi, che stanno provocando un vero e proprio calo dei prezzi, con l’intento di eliminare i progetti dei concorrenti. A renderlo noto è un alto funzionario statunitense citato da Reuters, che in questi giorni è in viaggio in Portogallo, un paese in cui ci sono ampie riserve di litio.

Nel corso di una briefing che si è tenuto ieri, lunedì 7 ottobre 2024, Jose Fernandez, sottosegretario per la crescita economica, l’energia e l’ambiente del Dipartimento di Stato statunitense, ha affermato che la Cina starebbe producendo molto più litio di quanto sia necessario in questo momento.

Ma entriamo nel dettaglio e cerchiamo di capire cosa sta accadendo.

Litio, la Cina produce più di quanto sia necessario

Ma cosa sta accadendo in questo momento. E perché l’attenzione della maggior parte degli osservatori è rivolta proprio al litio? Jose Fernandez ha spiegato che quella messa in atto da Pechino è, a tutti gli effetti, una risposta intenzionale a quanto gli Stati Uniti stanno cercando di fare attraverso l’Inflation Reduction Act, uno dei più importanti pacchetti di investimento per il clima e l’energia della storia degli Usa, che è valutato oltre 400 miliardi di dollari.

Secondo Fernandez la Cina si sta impegnando in prezzi predatori, abbassando i prezzi in modo da annullare e far scomparire del tutto la concorrenza.

In questo momento la Cina rappresenta circa due terzi della produzione chimica di litio al mondo. Ricordiamo che questa commodity viene utilizzata principalmente nelle batterie, comprese quelle delle auto elettriche. Nel corso dell’ultimo anno, i prezzi del litio sono scesi dell’80%: a determinare questo crollo delle quotazioni è principalmente la sovrapproduzione cinese e il calo della domanda di veicoli elettrici. Il crollo dei prezzi, ad ogni modo, ha colpito anche la stessa Cina, perché molte aziende – tra le quali il gigante delle batterie CATL – sono state costrette a sospendere la produzione in alcune miniere.

L’impatto della riduzione del prezzo del litio

L’Unione europea ha intenzione di ridurre la propria dipendenza dalle importazioni di litio e di altri minerali necessari per la transizione verde. Soprattutto quando provengono dalla Cina e da altri paesi.

Il prezzo basso del litio, secondo Fernandez, limita la capacità di diversificare le catene di fornitura su vasta scala globale. Ma soprattutto danneggia alcuni paesi – come il Portogallo – che hanno bisogno di una serie di investimenti per sviluppare queste industrie. Il calo dei prezzi ha costretto molti produttori mondiali di litio a ridurre la produzione e a tagliare posti di lavoro.

Il Portogallo, con circa 60.000 tonnellate di riserve note, è già il più grande produttore europeo di litio, tradizionalmente estratto per la ceramica.

Insieme alla vicina Spagna, il Paese vuole sfruttare i giacimenti locali di litio, puntando a coprire l’intera filiera, dall’estrazione e raffinazione alla produzione di celle e batterie, fino al riciclaggio delle batterie. Diverse società minerarie in Portogallo sono alla ricerca di finanziamenti, clienti e fornitori per avviare i loro progetti.

Fernandez ha spiegato che l’intenzione è quella di aiutarli e ritiene di poterlo fare. Le aziende minerarie del litio, ovunque esse siano, devono sopravvivere a questa fase difficile, creata dai prezzi predatori.

A giugno, il premier cinese Li Qiang ha utilizzato il suo discorso al World Economic Forum di Dalian per rispondere alle accuse degli Stati Uniti e dell’Unione Europea secondo cui le aziende cinesi traggono vantaggio da sussidi ingiusti e sono pronte a inondare i loro mercati con tecnologie verdi a basso costo.

Le tensioni commerciali si sono intensificate venerdì scorso quando l’Unione Europea ha dichiarato che avrebbe continuato a imporre pesanti dazi sui veicoli elettrici fabbricati in Cina per contrastare quelli che considera sussidi cinesi ingiusti, dopo un’indagine anti-sovvenzioni durata un anno. Martedì la Cina ha imposto misure anti-dumping temporanee sulle importazioni di brandy dall’UE.

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Petrolio, le quotazioni Wti superano i 75 dollari al barile. Il Brent si avvicina agli 80 dollari

Le quotazioni del petrolio subiscono le tensioni dell’anniversario dell’attacco ad Israele. Arrivano anche le prime prese di profitto degli investitori.

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Petrolio, le quotazioni Wti superano i 75 dollari al barile. Il Brent si avvicina agli 80 dollari

Oggi 7 ottobre 2024, anniversario dell’attacco di Hamas a Israele, le quotazioni del petrolio tornano a salire. Scambiato a 75,43 dollari al barile il greggio WTI con consegna a novembre guadagna l’1,41%, ai massimi da agosto. Il Brent, invece, viene scambiato in mattinata a 79,89 dollari al barile con una crescita dell’1,08%.

Il prezzo del petrolio, la scorsa settimana, ha registrato l’aumento settimanale più repentino da un anno a questa parte. I timori di un eccesso di offerta in un contesto di domanda più debole hanno contrastato i timori che il conflitto in Medio Oriente si potesse allargare. Situazione che avrebbe potuto compromettere le esportazioni di una delle più importanti regioni nelle quali si produce il petrolio

La scorsa settimana il petrolio Brent ha registrato un aumento dell’8%, registrando la migliore performance da gennaio 2023. I contratti WTI, invece, sono cresciuti del 9,1%, sfiorando i massimi da marzo 2023. A tenere alta l’attenzione sulle quotazioni del petrolio erano le aspettative che Israele potesse colpire le infrastrutture petrolifere iraniane in risposta all’attacco missilistico del 1° ottobre 2024. Al momento, però, si è ancora in attesa di una risposta da parte di Tel Aviv: alcuni investitori potrebbero aver venduto futures per monetizzare i guadagni derivati dalle recenti oscillazioni delle quotazioni.

Arrivano le prime prese di profitto sul petrolio

Priyanka Sachdeva, analista di mercato senior presso Phillip Nova, ritiene logico che sul petrolio siano arrivate le prime prese di profitto tecniche. Ad ogni modo il mercato sembra essere destinato a sperimentale dei venti favorevoli, determinati proprio dai timori di possibili ritorsioni di Israele con l’Iran. Secondo Sachdeva la potenziale escalation su vasta scala del conflitto in Medio Oriente, fino a questo momento, ha sostanzialmente contrastato le crescenti pressioni dal lato della domanda.

Il giorno prima dell’anniversario degli attacchi di Hamas contro Israele (7 ottobre), Tel Aviv ha preso di mira gli obiettivi di Hezbollah in Libano e nella Striscia di Gaza. Il ministro della Difesa israeliano ha ribadito che tutte le opzioni erano aperte per una ritorsione contro l’Iran.

Stando a quanto ha riferito la polizia, nelle prime ore della giornata i razzi di Hezbollah hanno colpito Haifa, la terza città più grande di Israele e i media israeliani hanno riferito di 10 feriti nel nord del Paese.

ANZ Research ha avvertito che, nonostante l’aumento dei prezzi del petrolio la scorsa settimana, l’impatto del conflitto sulla fornitura di petrolio sarà relativamente limitato. Gli analisti ritengono che un attacco diretto alle strutture petrolifere dell’Iran sia la risposta meno probabile tra le opzioni di Israele. Secondo ANZ Research abbiamo assistito a un impatto ridotto degli eventi geopolitici sulla fornitura di petrolio. Ciò ha portato a un premio di rischio geopolitico significativamente più basso applicato ai mercati petroliferi negli ultimi anni. I sette 7milioni di barili al giorno di capacità inutilizzata dell’Opec costituiscono a tutti gli effetti un ulteriore cuscinetto.

La politica dell’Operc

L’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (Opec) e i suoi alleati, tra cui Russia e Kazakistan, hanno a disposizione di milioni di barili di capacità inutilizzata: nel corso degli ultimi anni è stata ridotta la produzione per sostenere i prezzi in un contesto di debole domanda globale.

Secondo gli analisti, il gruppo di produttori ha una capacità di riserva di petrolio sufficiente a compensare l’eventuale perdita totale delle forniture iraniane nel caso in cui Israele dovesse decidere di distruggere gli impianti di quel paese, ma avrebbe difficoltà nel caso in cui l’Iran dovesse reagire colpendo gli impianti dei suoi vicini del Golfo.

Nell’ultima riunione del 2 ottobre, l’Opec ha deciso di mantenere invariata la sua politica sulla produzione di petrolio, compreso un piano per iniziare ad aumentare la produzione a partire da dicembre.

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