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Livelli record di estrazione di oro in Costa d’Avorio: pressione sui prezzi del metallo prezioso
Il prezzo dell’oro ha vacillato all’apertura dei mercati di stamattina e potrebbe finire sotto pressione nel corso dei prossimi mesi, dopo che la Costa d’Avorio ha pubblicato un nuovo report in cui vengono analizzati i livelli di produzione del 2023. Nel documento si legge che il paese africano ha visto crescere ancora una volta i livelli di produzione lo scorso anno, arrivando a segnare +6% rispetto al 2022. Ancora più interessanti sono le previsioni per il 2024, che mostrano proiezioni per un aumento ancora più marcato rispetto a quello del 2023. Teoricamente questo dovrebbe essere un momento favorevole per l’oro, per via dei tagli ai tassi delle banche centrali, ma l’aumento dell’offerta non sta permettendo al prezzo di lanciarsi in una vera e propria corsa rialzista.
La Costa d’Avorio è, insieme al Ghana, il più grande produttore al mondo di cacao e per molto tempo ha basato il suo export di materie prime proprio su questo frutto. Ora però il paese si trova in difficoltà per via delle infestazioni che hanno fatto perdere quasi tutto il raccolto del 2024, unito alla crescita dell’estrazione abusiva di oro che sta inquinando i campi. Per questo il governo ha deciso di puntare maggiormente su altri settori, tra cui proprio l’estrazione mineraria. Al momento sono in costruzione quattro grandi nuove miniere che probabilmente già entro la fine dell’anno cominceranno a mettere la loro produzione sul mercato.
Record per l’output nel 2023
La crescita dei volumi di estrazione in Costa d’Avorio è piuttosto evidente: 48 tonnellate nel 2022, 51 tonnellate nel 2023 e, secondo le proiezioni, 56 tonnellate nel 2024. Alla quotazione attuale del metallo prezioso, significa che la Costa d’Avorio metterà sul mercato circa $375 milioni di oro in più nel corso di quest’anno. L’espansione dei progetti minerari esistenti e l’annuncio di nuove miniere fa pensare che il target delle 60 tonnellate, con ogni probabilità, sarà raggiunto entro la fine del 2025. Il paese è anche sempre più aperto agli investimenti dall’estero, attraendo imprese che possono velocemente aumentare i livelli di produzione.
Una delle imprese straniere più attive nel paese è Barrick Gold, che proprio pochi mesi fa ha annunciato di aver scoperto nuovi depositi in una miniera già attiva. La chiusura dell’impianto, che estrae oltre 6 tonnellate di oro all’anno, era prevista per quest’anno; in seguito alla scoperta dei nuovi depositi si è invece deciso di mantenerla aperta almeno fino al 2030. Nel frattempo la canadese Roxgold ha fatto una scoperta significativa nel nord della Costa d’Avorio, con un giacimento che presto sarà trasformato in una miniera da oltre 4 tonnellate di produzione prevista ogni anno.
L’unica strada possibile: la corsa all’oro
Se non fosse per le notizie positive che riguardano i livelli di estrazione mineraria, la Costa d’Avorio starebbe -e per certi versi sta comunque- attraversando un periodo pessimo a livello economico. Non soltanto la produzione di cacao è stata decimata e ci vorranno anni prima che ritorni sui livelli del 2020-21, ma il paese è anche stato costretto a chiudere due importanti centrali elettriche da 488 MW. La Costa d’Avorio è un esportatore di energia, ma i livelli di export sono calati di circa il 20% rispetto agli scorsi anni. Con una situazione che diventa innegabilmente sempre più dura e difficile da gestire, il paese sa che puntare sull’estrazione di oro è una delle poche scelte possibili. Per i mercati internazionali, questo significa prepararsi a un aumento significativo dell’offerta.
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Le banche modificano la loro strategia nelle obbligazioni dopo il taglio dei tassi negli Usa
Le decisione della Federal Reserve di tagliare i tassi d’interesse negli Usa ha fatto modificare le strategie d’investimento delle banche.
L’allentamento dei rendimenti obbligazionari e il taglio dei tassi di interesse negli Usa stanno modificando le strategie delle principali banche statunitensi, che puntano a ridurre le perdite sui titoli di investimento a basso rendimento. L’obiettivo, ora come ora, è quello di dirottare quei fondi verso titoli ad alto rendimento, in modo da migliorare la liquidità e i profitti.
Il cambio di strategia potrebbe accelerare man mano che la Federal Reserve procede con il taglio dei tassi da qui alla fine dell’anno. Da sottolineare che la nuova politica monetaria della Fed contribuisce a ridurre le perdite finanziarie delle banche, che sono aumentate due anni or sono e hanno innescato una serie di turbolenze a livello regionale.
Ma entriamo e cerchiamo di capire come stanno cambiando strategie le principali banche statunitensi.
Il cambio di strategia delle banche statunitensi
La Fed ha iniziato ad aumentare i tassi d’interesse nel 2022. In quel momento le perdite non realizzate dalle banche statunitensi hanno raggiunto i 690 miliardi di dollari. Nel secondo trimestre sono poi scese a 513 miliardi di dollari, almeno stando ai dati riportati dalla Federal Deposit Insurance Corporation.
La Federal Reserve, nel corso del mese di settembre 2024, ha iniziato a diminuire i tassi di interesse: nel frattempo le perdite diminuivano. Alcune importanti banche come Wells Fargo e istituti regionali come KeyCorp hanno iniziato a vendere titoli a basso tasso per investire in titoli che garantivano un tasso più alto. La Federal Reserve ha tagliato i tassi di interesse di mezzo punto percentuale, portandoli in un nuovo intervallo compreso tra il 4,75% e il 5,0%.
Wes West – responsabile dell’analisi dei dati presso Nomis Solutions, che fornisce alle banche software per la determinazione dei prezzi di prestiti e depositi – ha spiegato che le banche hanno deciso che il danno a breve termine derivante dalla vendita di titoli persi valesse il compromesso per il guadagno a lungo termine derivante dall’acquisto di nuovi titoli ad alto rendimento.
In passato, invece, le banche preferivano conservare questi titoli a basso rendimento: vendendoli con una forte perdita, nel momento in cui i tassi erano più alti, sarebbero state costrette ad accantonare dei fondi per riuscire a rispettare i coefficienti patrimoniali imposti dalle norme in vigore. Le banche Usa, sostanzialmente, stavano svalutando questi titoli disponibili per la vendita. Sono classificati come tali perché la banca ha l’opzione di vendere quelle obbligazioni o titoli prima della loro scadenza.
Le banche che stanno vendendo i Titoli di Stato
Wells Fargo è stato l’ultimo grande istituto di credito a compiere questo passo nel corso del terzo trimestre 2024, quando ha deciso di vendere qualcosa come 16 miliardi di dollari in titoli. A seguito di questa operazione Walls Fargo ha registrato una perdita pari ai 447 milioni di dollari: ha poi deciso di reinvestire in titoli con un rendimento di 130 punti base più alto.
Megan Fox, vicepresidente di Moody’s Ratings, spiega che le banche stanno effettuando delle operazioni opportunistiche, volte a bloccare cedole più elevate ora per migliorare la redditività dichiarata, date le aspettative di ulteriori tagli dei tassi nei prossimi due trimestri.
Anche i creditori più piccoli hanno effettuato un riposizionamento simile. Banc of California, che ha acquistato PacWest l’anno scorso, ha annunciato di aver riposizionato qualcosa come 742 milioni di dollari in titoli a un rendimento medio ponderato del 2,94%, con conseguente perdita ante imposte di 60 milioni di dollari. Ha acquistato titoli con un rendimento medio ponderato del 5,65%.
KeyCorp ha venduto circa 7 miliardi di dollari di titoli garantiti da ipoteca a basso rendimento e ha reinvestito i proventi in investimenti a rendimento più elevato. L’istituto ha sostenuto un onere post-tasse di 737 milioni di dollari relativo alla perdita sulla vendita di titoli. KeyCorp ha spiegato che il rendimento medio dei titoli venduti è stato di circa il 2,3%, mentre quelli acquistati hanno avuto un rendimento medio del 4,9%.
Alcuni creditori hanno anche tratto vantaggio da guadagni una tantum, come quelli derivanti dalla vendita di asset, per attutire il colpo immediato della vendita di titoli. Truist Financial Corporazion ha venduto la sua divisione assicurativa a maggio per riposizionare parte del suo portafoglio di titoli di investimento disponibili per la vendita.
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Danone e Unilever, vendite in crescita, rispettivamente, del 4,5% e del 13,3%. Superate le previsioni
Nel terzo trimestre 2024 Unilever e Danone hanno superato le stime di vendita. Rimane ancora il problema dei prezzi troppo alti.
Unilever e Danone hanno superato le stime di vendita nel corso del terzo trimestre 2024. Le due aziende hanno iniziato a rallentare gli aumenti dei prezzi e stanno investendo nell’innovazione per riconquistare i clienti, che nel corso degli ultimi mesi si erano rivolti a dei brand meno costosi per far fronte all’impennata dei prezzi determinata dall’inflazione.
Durante la pandemia i costi generali sono aumentati: ad incidere pesantemente sono le spese sostenute per il trasporto delle materie prime. I prezzi dei cereali e dell’energia sono aumentati dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel 2022. Unilever e Danone – come gran parte dell’industria alimentare confezionata – hanno dovuto aumentare i prezzi per riuscire a proteggere i margini. Questo ha portato gli acquirenti a passare a delle alternative più economiche, scegliendo le white label o i brand di proprietà di Walmart, Tesco e Carrefour.
Danone e Unilever, il problema dei prezzi
I prezzi di Unilever, nel corso del quarto trimestre 2022, sono aumentati del 13,3%. La divisione che si occupa della cura della casa è cresciuta di quasi il 17%, mentre quella legata ai gelati ha registrato un +14%.
Unilever ha registrato una crescita dei prezzi di base, nel corso del terzo trimestre 2024, ha registrato un +0,9%, con volumi di base in aumento del 3,5%, il più importante aumento a partire dal primo trimestre 2021. Le aspettative degli analisti, invece, si fermavano ad un 1% dei prezzi e ad un aumento del 3,2% dei volumi.
In una nota Hein Schumacher, amministratore delegato di Unilever, spiega che la società ha registrato un quarto trimestre consecutivo di crescita positiva e in miglioramento dei volumi, con ciascuno dei vari gruppi aziendali che ha registrato volumi più elevati anno dopo anno. Schumacher ha poi aggiunto che il sapone Dove, l’ammorbidente Comfort e i gelati Magnum hanno avuto buoni risultati.
Nel frattempo, anche la francese Danone ha superato le aspettative di vendita del terzo trimestre, spinta da un aumento del 3,6% nei volumi di vendita, mentre gli aumenti dei prezzi sono rallentati allo 0,7%, riflettendo la forte domanda in Nord America di prodotti ad alto contenuto proteico, creme per il caffè e acque.
Sia Unilever che Danone hanno mantenuto le loro previsioni per il 2024.
Danone ed Unilever, numeri rassicuranti
Nel corso del terzo trimestre Unilever ha registrato un aumento del 4,5% nelle vendite sottostanti, riuscendo a superare le previsioni degli analisti che si fermavano ad un aumento del 4,2%.
Tineke Frikkee, portfolio manager di Waverton Investment Management, spiega che è rassicurante vedere una forte crescita dei volumi nella maggior parte delle categorie. Un buon risultato nel settore dei gelati è utile, dato che si stanno preparando a uscire da questa divisione.
Unilever è al suo primo anno di svolta sotto la guida del CEO Schumacher. Come parte del piano, sta cercando di scorporare la sua attività di gelati, che produce Ben & Jerry’s e Cornetto. L’azienda sta anche spingendo nuovi prodotti, come il detersivo a ciclo rapido Wonder Wash, che continuerà a far salire di prezzo per aumentare le vendite.
Danone – produttore dello yogurt Activia, dell’acqua Evian e del latte per l’infanzia Aptamil – ha registrato un aumento del 4,2% nelle vendite comparabili nel terzo trimestre, superando le aspettative degli analisti che si aspettavano un aumento del 3,9%.
Juergen Esser, responsabile finanziario di Danone, prevede che in futuro possa esserci una certa inflazione nei costi dei materiali. Ma ha aggiunto che per aumentare il margine lordo, l’azienda deve creare il giusto equilibrio tra la produzione di volumi elevati e il mantenimento degli aumenti dei prezzi, garantendo al contempo una forte produttività.
È stato registrato il quinto trimestre consecutivo di crescita del volume delle vendite per Danone e il quarto per Unilever.
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Tesla, nel 2025 le vendite potrebbero crescere del 30%. Il titolo fa il botto in Borsa
La notizia che le vendite di Tesla potrebbero crescere del 30% fa brillare il titolo in Borsa, nelle contrattazioni pre-apertura.
Nelle contrattazioni pre-mercato il Tesla è balzata del 12%. Il titolo è galvanizzato dalle previsioni diffuse dall’azienda, che prevede una forte crescita delle vendite di automobili. il Ceo Elon Musk è riuscito a rassicurare gli investitori: sta ancora cercando di espandere il core business dell’azienda, ossia la vendita di veicoli elettrici.
Il rialzo delle azioni ha portato la capitalizzazione di Tesla a 80 miliardi di dollari, andando, in questo modo, a compensare la recente erosione di valore determinate dai timori che Musk fosse troppo concentrato su nuovi progetti come il robotaxi, che è stato presentato proprio di recente. Il quale, almeno nelle intenzioni del miliardario, dovrebbe guidare la crescita futura di Tesla.
Il futuro di Tesla
Elon Musk è riuscito a trasformare Tesla un’azienda leader nel mercato dei veicoli elettrici in una specializzata nell’intelligenza artificiale e robotica. Al momento, però, non è ancora riuscito a definire un piano aziendale dettagliato per riuscire a centrare il suo obiettivo.
Nel corso dell’ultimo trimestre, Musk ha fatto degli annunci aziendali audaci su tutto, tranne che sulle automobili. Ha parlato di taxi senza conducente e di robot umanoidi, ma ha sostanzialmente lasciato gli investitori preoccupati per la riduzione dei margini, che risultano essere compromessi dai prezzi bassi.
Musk – nel corso della conference call post utile che si è tenuta mercoledì 23 ottobre 2024 – ha previsto una crescita delle vendite nel 2025 che potrebbe oscillare tra il 20% ed il 30%. Ha promesso un veicolo accessibile e ha affermato che gli sforzi per ridurre i costi di produzione hanno contribuito ad aumentare il margine.
Jessica Caldwell, responsabile degli approfondimenti presso il sito web di ricerca e acquisto di automobili Edmunds, spiega che questa volta Elon Musk sembrava decisamente più appassionato e coinvolto. Caldwell ritiene che gran parte di Tesla sia legata al futuro, ma è necessario capire come ci si debba arrivare. Questo è ciò che la gente aveva bisogno di sentire e sono stati un po’ più bravi a fornire quei dettagli rispetto al passato.
Il sentiment mostrato dagli investitori, tra l’altro, è il risultato di un evento sfarzoso che si è tenuto nel corso del mese di ottobre, quando è stato presentato il robotaxi a due posti denominato Cybercab, che dovrebbe entrare in produzione nel 2026: sarà senza volante o pedali e dovrebbe costare meno di 30.000 dollari. Nel corso dell’evento è stato presentato anche un furgone senza conducente da venti posti e robot umanoidi, che hanno ballato con i partecipanti.
Delusi dalla mancanza di dettagli chiave sulla rapidità con cui Tesla avrebbe potuto incrementare la produzione di robotaxi e superare gli inevitabili ostacoli normativi, dopo quell’evento gli investitori hanno penalizzato le azioni della società. Musk ha dichiarato che Tesla punta a produrre almeno 2 milioni di Cybercab all’anno.
Tesla, gli investitori rimangono delusi
Le rassicurazioni fornite da Elon Musk nella giornata di mercoledì non hanno placato gli animi degli investitori.
Ross Gerber, CEO di Gerber Kawasaki Wealth and Investment Management e importante investitore in Tesla, ritiene che i robotaxi e l’intelligenza artificiale non sono i business fondamentali su cui voleva che Musk si concentrasse.
Musk si aspetta che i veicoli Tesla possano offrire dei servizi di ride-hailing a pagamento e senza conducente a partire dal 2025, raddoppiando la promessa fatta all’evento robotaxi. L’azienda starebbe già testando le operazioni con i suoi dipendenti nella Bay Area di San Francisco. Ma è probabile che tale piano incontrerà notevoli difficoltà normative.
Lo stesso Elon Musk ha ha dovuto riconoscere le potenziali difficoltà nell’ottenere le approvazioni in California, ammettendo che siamo davanti a qualcosa che l’anzienda non controlla totalmente, anche se ha aggiunto che sarebbe scioccato se non riuscisse ad ottenere l’approvazione nel corso del 2025.
Per ora, i fondamentali incoraggianti del core business dei veicoli elettrici probabilmente terranno Musk lontano dalla pressione. Fino al prossimo trimestre.
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Boeing, gli operai rifiutano l’aumento del 35% in quattro anni e proseguono con lo sciopero
Continua lo sciopero degli operai Boeing, che rifiutano l’aumento salariale del 35% nell’arco di quattro anni e proseguono con lo sciopero.
Gli operai della Boeing continuano a scioperare. I lavoratori hanno deciso di rifiutare l’offerta contrattuale avanzata dall’azienda e continuare con lo sciopero che dura da oltre cinque settimana. Infliggendo, in questo modo, un duro colpo a Kelly Ortberg, nuovo Ceo di Boeing, che sta cercando di risollevare le finanze dell’azienda.
A votare contro l’accordo è stato il 64% degli operai: la proposta prevedeva un aumento del 35% degli stipendi nell’arco di quattro anni. Il rifiuto costituisce una pesante battuta d’arresto per Ortberg, che nel corso del mese di agosto aveva assunto l’incarico impegnandosi a collaborare in maniera più stretta con i lavoratori rispetto a quanto avevano fatto in passato i suoi predecessori.
Boeing, arriva l’ennesimo rifiuto dei lavoratori
I lavoratori hanno rifiutato ancora una volta l’offerta della Boeing. Già a settembre il 95% dei dipendenti aveva votato contro un primo contratto. Una situazione che sostanzialmente riflette un risentimento verso l’azienda, da cui in molti si sentono imbrogliati per i colloqui che si erano tenuti una decina di anni fa.
Il leader sindacati, subito dopo il voto, hanno comunicato di essere pronti a riprendere i negoziati con Boeing, in quella che è la prima importante trattativa dal 2014, quando l’azienda aveva minacciato di spostare la produzione della nuova versione del 777 fuori dalla regione. L’intento era quello di far passare un accordo che metteva la parola fine alle pensioni tradizionali.
Il sindacato chiede un aumento salariale del 40% e il ripristino del sistema pensionistico a beneficio definito.
In queste settimane la frustrazione degli operai Boeing si è resa palese: in dieci anni i loro salari sono rimasti indietro rispetto all’inflazione e i critici si sono lamentati del fatto che l’azienda ha speso decine di miliardi in riacquisto di azioni e ha pagato dei bonus record ai dirigenti.
Jon Holden, il principale negoziatore contrattuale del sindacato, ha spiegato che nel corso di queste contrattazioni si sono dovute affrontare molte difficoltà: ci sono ferite profonde. Holden ha poi aggiunto di voler tornare al tavolo, al quale dovrà venire anche Boeing.
Da quanto dura lo sciopero di Boeing
Circa 33.000 macchinisti lo scorso 13 settembre 2024 hanno interrotto la produzione negli stabilimenti sulla costa occidentale, bloccando la produzione del modello di successo 737 MAX e dei programmi wide-body 767 e 777.
Il tempo stringe perché Boeing, storicamente il più grande esportatore degli Stati Uniti, e il suo sindacato più importante raggiungano un accordo prima del periodo politico intenso che circonda le elezioni presidenziali del 5 novembre.
Con Boeing e IAM in una situazione di stallo all’inizio di questo mese, Julie Su, segretaria del Lavoro statunitense ad interim, ha contribuito a far sì che l’ultima offerta venisse sottoposta a votazione dopo aver partecipato di persona ai colloqui con entrambe le parti a Seattle la scorsa settimana.
Dopo il voto del sindacato, Holden ha dichiarato che avrebbe contattato la Casa Bianca per verificare se il sindacato potesse ottenere maggiore assistenza nelle trattative con la Boeing.
Scott Hamilton, un consulente aeronautico, spiega che dopo che la prima offerta contrattuale è stata respinta, la luna di miele è finita. Questo nuovo stop è una cattiva notizia per tutti: per la Boeing, per i lavoratori, per i fornitori, per i clienti e perfino per l’economia nazionale. L’azienda, infatti è il più grande cliente di una catena di fornitura aerospaziale statunitense che sta già affrontando una forte pressione finanziaria.
Spirit AeroSystems, il fornitore della fusoliera, ha avvertito che se lo sciopero fosse continuato oltre la fine di novembre, ci sarebbero stati licenziamenti e congedi più drastici. L’azienda, che è in procinto di essere acquisita da Boeing, ha già annunciato una sospensione di 21 giorni per 700 dipendenti.
Ricordiamo che Boeing ha annunciato l’intenzione di tagliare 17.000 posti di lavoro e si sta avvicinando a un piano per raccogliere fino a 15 miliardi di dollari dagli investitori per aiutarla a preservare il suo rating creditizio di grado di investimento, mentre alcune compagnie aeree hanno dovuto ridurre i programmi a causa dei ritardi nelle consegne degli aeromobili.
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Borse in rosso negli USA: Apple perde il 3% poi recupera. Male tutti gli indici
Mercato ribassista negli USA: pesa l’esplosione di diverse tensioni.
Tira una brutta aria a Wall Street, con diversi dei principali titoli quotati negli Stati Uniti che hanno fatto registrare perdite significative, trascinando giù tutti i principali indici. Una giornata dominata dalle perdite di Apple – con diversi analisti che hanno riportato tagli importanti agli ordinativi per iPhone 16, che finiranno per pesare sui ricavi del gruppo almeno per il trimestre in corso. A dominare le ansie anche le trimestrali di Tesla che sono previste tra poche ore e che serviranno per capire la direzione economica di uno dei gruppi più importanti per capitalizzazione negli USA.
Sono diversi i temi che hanno creato le condizioni giuste per una giornata di correzione sui principali titoli – nonostante una situazione geopolitica in leggero miglioramento – e nonostante un’economia che almeno stando agli ultimi dati disponibili ha dimostrato un certo livello di resilienza, con le possibilità di soft landing che aumentano giorno dopo giorno.
Tanti motivi di stanchezza
I motivi di stanchezza sono tanti per le borse: dalla campagna elettorale ormai in dirittura d’arrivo, fino all’incertezza sulle prossime mosse di Federal Reserve, con i due tagli da qui a fine anno che sono messi almeno parzialmente in discussione.
Pesa anche la stanchezza per una corsa che – con qualche stop intermedio – dura ormai da fine anno nonostante in diversi si aspettassero degli indici meno pimpanti: siamo, e basterà verificare le previsioni delle principali banche d’affari, sulla parte alta dei massimi delle previsioni degli scorsi mesi – cosa che ha contribuito a diffondere un sentiment da fine corsa che chiude una giornata nervosa.
La parola passerà di nuovo ai mercati domani, quando sono attesi i dati sulle nuove costruzioni e anche sulle richieste di disoccupazione. Da qui uscirà un quadro più preciso della direzione dell’economia e un buon segnale per le borse: recuperare il gap e tornare a salire o continuare nella correzione?
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