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Green Economy

Brasile: nuove misure contro deforestazione dell’Amazzonia

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Il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva ha presentato lunedì 5 giugno un piano per porre fine alla deforestazione illegale dell’Amazzonia, una promessa fondamentale della sua campagna elettorale, che rappresenta un passo cruciale per affrontare le significative emissioni di carbonio del Paese nella regione.

Questa strategia, che verrà implementata nel corso di quattro anni, fornisce una tabella di marcia per raggiungere l’ambizioso obiettivo di fermare la deforestazione illegale entro il 2030. Tuttavia, il mandato dell’attuale presidente terminerà l’1 gennaio 2027, per cui l’attuazione completa del programma dipenderà anche dalla volontà di chiunque gli succeda di continuare il lavoro.

L’amministrazione di Lula ha anche promesso di raggiungere la deforestazione netta zero: si impegna, dunque, a ripiantare quanto viene abbattuto, ripristinando così le riserve di vegetazione nativa come compensazione per la rimozione legale della vegetazione.

immagine di presentazione della notizia sulle nuove misure del Brasile per combattere la deforestazione
Il presidente brasiliano Lula annuncia un piano decennale per salvaguardare la foresta pluviale più grande del mondo

Il Paese si impegna a raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi

Il Brasile è il quinto maggior emettitore di gas serra al mondo, con quasi il 3% delle emissioni globali. La deforestazione è responsabile di quasi la metà delle emissioni di carbonio del Paese e ciò rende urgente l’adozione di misure concrete per contrastare questo problema.

Lula ha annunciato che il governo rivedrà gli impegni internazionali del Brasile per ridurre le emissioni, tornando ai livelli promessi nel 2015 durante l’Accordo di Parigi. Il Paese, infatti, si era impegnato a ridurre le emissioni del 37% entro il 2025 e del 43% entro il 2030, ma questi sforzi sono poi stati ridimensionati dal predecessore di Lula, il presidente di estrema destra Jair Bolsonaro.

Come parte dell’annuncio, Lula ha anche ampliato un’unità di conservazione nell’Amazzonia di 1.800 ettari, nonostante le critiche degli ambientalisti. Il suo governo si è impegnato a dare priorità all’allocazione di 57.000.000 di ettari di terreni pubblici non protetti, un’area equivalente approssimativamente alla dimensione della Francia. Inoltre, è stato affermato che il Brasile tornerà a essere un punto di riferimento globale per la sostenibilità, affrontando il cambiamento climatico e raggiungendo gli obiettivi di riduzione delle emissioni di carbonio e deforestazione zero.

Le nuove misure segnano la quinta fase di una grande iniziativa chiamata Piano d’Azione per la Prevenzione e il Controllo della Deforestazione Legale nell’Amazzonia. Creato 20 anni fa, durante il primo mandato di Lula, il piano è stato in gran parte responsabile della riduzione della deforestazione dell’83% tra il 2004 e il 2012, ma è stato sospeso durante il mandato di Bolsonaro.

Oltre a stimolare la bioeconomia, con progetti come la pesca sostenibile del pirarucu, il pesce più grande dell’Amazzonia, e la produzione di acai, una pianta della famiglia delle palme diffusa in Amazzonia che produce bacche, come alternativa all’allevamento di bestiame, il programma stabilisce anche misure per il monitoraggio e l’applicazione della legge più rigorosi e l’istituzione di nuove unità di conservazione.

Tuttavia, ci sono sfide da affrontare. Il Congresso brasiliano, infatti, ha recentemente imposto limitazioni alla ministra dell’Ambiente, Marina Silva. Inoltre, ci sarà bisogno di combattere i gravi ostacoli che si prospettano nel Congresso per approvare misure distruttive. Nonostante ciò, gli esperti vedono il piano d’azione come un passo cruciale per la ricostruzione della governance ambientale del Brasile e la lotta contro la deforestazione.

immagine di gruppo di persone che unisce le mani per sorreggere della terra da cui nasce una piantina
L’80% delle foreste protette nel mondo è controllato da comunità tradizionali

Nuove sovvenzioni per famiglie povere

Dopo la serie di annunci del presidente Lula, e di pari passo con le sue nuove misure contro la deforestazione, anche la ministra dell’Ambiente ha annunciato un programma sociale per sostenere le famiglie povere impegnate nella protezione delle foreste, con l’obiettivo di aumentare la conservazione dell’Amazzonia. Il piano, chiamato Bolsa Verde, inizierà nella regione amazzonica e successivamente verrà esteso ad altri biomi del Paese, come la Foresta Atlantica e il Cerrado, una grande savana tropicale.

Il piano Bolsa Verde prevede sovvenzioni finanziarie per le famiglie coinvolte nella protezione ambientale. Inizialmente, il programma supporterà 30.000 famiglie, ma non è ancora stata annunciata una data di lancio. Anche in questo caso, un programma simile era stato sospeso dall’ex presidente di estrema destra nel 2019.

Secondo Silva, l’80% delle foreste protette nel mondo è controllato da comunità tradizionali. Il governo intende, quindi, riconoscere il valore dei servizi ambientali offerti da queste persone, remunerandole adeguatamente per il loro impegno nella protezione delle foreste.

Con un forte interesse per i fondamentali delle società e le notizie interne, è una persona curiosa e versatile che cerca di approfondire le sue conoscenze e rimanere sempre aggiornata leggendo report trimestrali.

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Grazie al picco dei combustibili fossili si aumenteranno gli investimenti sull’elettricità green

Sarà proprio il picco dei combustibili fossili a spianare la strada degli investimenti per ottenere l’elettricità da delle fonti rinnovabili.

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Grazie al picco dei combustibili fossili si aumenteranno gli investimenti sull'elettricità green

Quale impatto avrà sul prezzo del petrolio e sull’uso in generale dei combustibili fossili il maggiore impiego dell’energia elettrica? Come e in quale modo è possibile trovare delle risorse per poter rendere il mondo sempre più green e riuscire a ridurre al massimo le emissioni?

In un recente rapporto l’Agenzia internazionale per l’energia ha cercato di mettere in evidenza cosa sta accadendo. Secondo l’organizzazione siamo sull’orlo di una nuova era dell’elettricità, che comporterà, entro la fine di questo decennio, un picco nella domanda di combustibili fossili per produrla. Secondo l’Iea le eccedenze di gas e petrolio potrebbero spingere gli investimenti nell’energia verde.

Ma cerchiamo di capire cosa sta preoccupando gli esperti del settore in questo momento.

Combustibili fossili, una strada per andare verso l’era dell’elettricità

Siamo davanti ad un mondo che farà sempre più uso dell’elettricità, ma continua ad avere bisogno di combustibili fossili per la sua produzione. Esigenze che si inseriscono in un momento di elevate incertezze determinate dai conflitti che stanno sconvolgendo il Medio Oriente, l’Ucraina e la Russia, aree geografiche nelle quali si estraggono petrolio e gas. Ma non solo: i paesi che rappresentano la metà della domanda globale di energia, nel corso del 2024, hanno in programma delle elezioni.

Fatih Birol, direttore esecutivo dell’IEA, ha spiegato che nella seconda metà di questo decennio la prospettiva di forniture più ampie, o addirittura in surplus, di petrolio e gas naturale, a seconda di come si evolveranno le tensioni geopolitiche, ci porterebbe in un mondo energetico molto diverso.

Nel caso in cui ci dovesse essere un eventuale surplus di scorte di combustibili fossili, almeno secondo Birol, si verrebbero a determinare dei prezzi più bassi: questa situazione permetterebbe ad una parte dei paesi di dedicare più risorse all’energia pulita, facendo entrare il mondo in un’era dell’elettricità.

A preoccupare, però, almeno nel breve termine, c’è la possibilità di una riduzione delle forniture di combustibili fossili, nel caso in cui il conflitto in Medio oriente dovesse interrompere i flussi di petrolio.

Secondo l’AIE i suddetti conflitti mettono in evidenza come le tensioni sul sistema energetico e la necessità di investimenti per accelerare verso una tecnologia più pulita e sicura.

Elettricità, le politiche governative

L’IEA ha messo in evidenza che, nel 2023, è entrato in funzione a livello globale un livello record di energia pulita, tra cui oltre 560 gigawatt (GW) di capacità di energia rinnovabile. Si prevede che nel 2024 saranno investiti circa 2 trilioni di dollari in energia pulita, quasi il doppio dell’importo investito nei combustibili fossili.

Nello scenario basato sulle attuali politiche governative, la domanda globale di petrolio raggiungerà il picco prima del 2030 a poco meno di 102 milioni di barili al giorno (mb/d), per poi scendere ai livelli del 2023 di 99 mb/d entro il 2035, in gran parte a causa della minore domanda del settore dei trasporti dovuta all’aumento dell’uso dei veicoli elettrici.

Il rapporto illustra inoltre il probabile impatto sui futuri prezzi del petrolio qualora venissero attuate a livello globale politiche ambientali più severe per contrastare il cambiamento climatico. Nello scenario politico attuale dell’AIE, i prezzi del petrolio scenderanno a 75 dollari al barile nel 2050, dagli 82 dollari al barile del 2023.

Questa cifra sarebbe paragonabile a 25 dollari al barile nel 2050, qualora le azioni governative fossero in linea con l’obiettivo di ridurre le emissioni del settore energetico a zero entro quella data.

Il rapporto, inoltre, prevede un aumento della domanda di gas naturale liquefatto (GNL) di 145 miliardi di metri cubi (bcm) tra il 2023 e il 2030: questo aumento, ad ogni modo, sarà superato da un aumento della capacità di esportazione di circa 270 bcm nello stesso periodo. L’eccesso di capacità di GNL sembra destinato a creare un mercato molto competitivo almeno finché non verrà risolto, con prezzi nelle principali regioni importatrici in media di 6,5-8 dollari per milione di unità termiche britanniche (mmBtu) fino al 2035.

I prezzi del GNL asiatico, considerati un punto di riferimento internazionale, si aggirano attualmente intorno ai 13 milioni di Btu di dollari.

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Il mercato delle auto elettriche in Cina cresce del 19,2%: Tesla ne approfitta e presenta il suo robotaxi

Il mercato dei veicoli in Cina cresce del 19,2%: Tesla ne approfitta immediatamente portando a casa un +12% a livello trimestrale.

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Il mercato delle auto elettriche in Cina cresce del 19,2%: Tesla ne approfitta e presenta il suo robotaxi

Tesla aumenta la propria quota di mercato in Cina. Stando ai dati pubblicati dalla Cina Passenger Car association (CPCA), il mercato dei veicoli elettrici nella seconda economia mondiale è aumentato del 19,2% rispetto al 2023. In questo contesto, le consegne dei veicoli Model 3 e Model Y, che vengono fabbricati direttamente nel paese asiatico, sono aumentate dell’1,9% rispetto al mese precedente.

Tesla ha già provveduto ad annunciare le consegne trimestrali a livello globale, ma non ha ancora diffuso i dati delle vendite in Cina.

Ma entriamo un po’ nel dettaglio e cerchiamo di capire cosa aspettarsi.

Tesla, crescono le vendite in Cina

Uno dei principali rivali cinesi di Tesla, ossia BYD, grazie alle sue gamme di veicoli elettrici e ibridi plug-in Dynasty e Ocean, a settembre ha registrato il suo mese migliore, registrando un aumento del 45,56% su base annua nella vendita di veicoli per passeggeri. A settembre è arrivata a commercializzare 417.603 unità.

Stando ai dati che sono stati diffusi in queste ore, BYD ha venduto 33.012 auto all’estero: il 7,9% della produzione è stata piazzata al di fuori dei confini della Cina.

Grazie agli aumenti di settembre, Tesla è riuscita a registrare una crescita del 12% nelle vendite di veicoli elettrici prodotti in Cina nel periodo compreso tra il mese di luglio e quello di settembre, riuscendo a portare a casa il suo primo aumento trimestrale di quest’anno.

Per riuscire a centrare questo obiettivo, Tesla ha esteso gli incentivi per incoraggiare i consumatori nel più grande mercato automobilistico del mondo, dove sono presenti dei rivali come Xpeng e Nio, i quali avevano intenzione di lanciare dei nuovi modelli economici.

A fine settembre Tesla ha prorogato di un altro mese, fino alla fine di ottobre, il finanziamento a tasso zero per alcune auto Model 3 e Model Y in Cina.

Stando a quanto riferisce Reuters, Tesla ha in progetto di produrre in Cina una variante a sei posti del suo modello più venduto, ma ormai obsoleto, Model Y, a partire dalla fine del 2025.

Tesla presenta il nuovo robotaxi

Elon Musk, nel corso della giornata di giovedì, dovrà salire sul palco dello studio Warner Bros di Hollywood per svelare i piani, a lungo rimandati, per un robotaxi firmato Tesla. Un progetto che ha riacceso le azioni del produttore di veicoli elettrici, nonostante le fredde aspettative per la crescita dei veicoli elettrici.

Musk ha affermato che robotaxi, battezzato CyberCab, sarà un nuovo modello di veicolo in grado di guidare da solo e di funzionare su una piattaforma di ride-hailing Tesla. La casa automobilistica, inoltre, consentirà ai proprietari di guadagnare denaro dalle loro auto, inserendole nella rete di ride-hailing come taxi autonomi, che ha definito come una combinazione di Airbnb e Uber.

Tesla si affida a telecamere e all’intelligenza artificiale per guidare le auto attuali, con la supervisione del conducente, ma senza il costoso hardware aggiuntivo associato ai sistemi radar e alla tecnologia lidar utilizzati da altri operatori del settore robotaxi.

Musk si aspetta che il miglioramento di questa tecnologia gli consentirà di entrare in un settore ancora nascente e rigidamente regolamentato, che ha causato miliardi di dollari di perdite ad altri.

Gli investitori, attratti dalla stima di Musk secondo cui il business dei robotaxi di Tesla potrebbe portare la valutazione dell’azienda a 5 trilioni di dollari dagli attuali 750 miliardi di dollari, vogliono vedere un prototipo e scoprire quanto velocemente Musk può produrlo in serie, con un profitto. Vogliono comprendere gli ostacoli normativi e come l’FSD, ancora classificato come un tipo di automazione parziale, possa diventare più sicuro di un guidatore umano.

Elliot Johnson, responsabile degli investimenti presso Evolve ETFs, che gestisce gli investimenti in Tesla, ritiene che debbano muoversi perché se ne è discusso, si è vociferato, si è parlato e si è annunciato in varie forme per un po’ di tempo. Ad ogni modo Elliot Johnson non si aspetta che nulla di quanto annunciato giovedì abbia un impatto finanziario per uno o due anni.

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BP abbandona la politica di riduzione della produzione di petrolio entro il 2030

BP ha abbandonato la politica di riduzione della produzione del petrolio entro il 2030. Rimane in piedi l’obiettivo finale previsto per il 2050.

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BP abbandona la politica di riduzione della produzione di petrolio entro il 2030

Cambio di passo per BP, che ha deciso di abbandonare l’obiettivo di ridurre la produzione di petrolio e gas entro il 2030. Murray Auchincloss, amministratore delegato della società, vuole ridimensionare la strategia di transizione energetica dell’azienda: l’obiettivo è quello di riconquistare la fiducia degli investitori.

BP aveva annunciato la propria strategia nel 2020: al momento della presentazione costituiva la più ambiziosa del settore. L’impegno prevede la riduzione della produzione del 40% e l’incremento delle energie rinnovabili entro il 2030. Già a febbraio 2023, però, BP aveva deciso di ridimensionare l’obiettivo, portato ad un 25%, scelta che, ad ogni modo, avrebbe permesso di portare la produzione di petrolio a 2 milioni di barili al giorno entro la fine del decennio. La decisione, in quel momento, era stata determinata dal fatto che gli investitori si concentravano sui rendimenti a breve termine più che sulla transizione energetica.

Ma entriamo un po’ più nel dettaglio.

BP non ridurrà la produzione di petrolio

Stando ad alcune fonti citate da Reuters, BP starebbe puntando a nuovi investimenti nel Golfo del Messico e in Medio Oriente con l’obiettivo di incrementare la produzione di gas e petrolio.

Auchincloss ha assunto la guida a gennaio, ma ha faticato ad arginare il calo del prezzo delle azioni BP, che quest’anno hanno avuto risultati inferiori a quelli dei suoi rivali, poiché gli investitori mettono in dubbio la capacità dell’azienda di generare profitti con la sua attuale strategia.

Il 54enne canadese, in precedenza responsabile finanziario della BP, ha cercato di prendere le distanze dall’approccio del suo predecessore Bernard Looney, licenziato per aver mentito sui rapporti con i colleghi, promettendo invece di concentrarsi sui rendimenti e di investire nelle attività più redditizie, in primis nel settore petrolifero e del gas.

L’azienda continua a perseguire l’obiettivo di emissioni nette pari a zero entro il 2050.

Auchincloss presenterà la sua strategia aggiornata, inclusa la rimozione dell’obiettivo di produzione del 2030, in un investor day a febbraio, anche se in pratica BP l’ha già abbandonata. Non è chiaro se BP fornirà una nuova guida alla produzione.

Ma i problemi della catena di fornitura e il forte aumento dei costi e dei tassi di interesse hanno messo ulteriormente sotto pressione la redditività di molte aziende del settore delle energie rinnovabili.

Una fonte interna all’azienda ha affermato che, mentre i rivali avevano investito nel petrolio e nel gas, la BP aveva trascurato l’esplorazione per alcuni anni.

BP torna in Medio Oriente

BP attualmente sarebbe in trattativa per investire in tre nuovi progetti in Iraq, tra cui uno nel campo di Majnoon. La società, tra l’altro, detiene una quota del 50% in una joint venture che gestisce il gigantesco giacimento petrolifero di Rumaila nel sud del paese, dove opera da un secolo.

Ad agosto, la BP ha firmato un accordo con il governo iracheno per sviluppare ed esplorare il giacimento petrolifero di Kirkuk nel nord del paese, che include anche la costruzione di centrali elettriche e capacità solare. Stando a quanto riporta Reuters, a differenza dei contratti storici che offrivano alle aziende straniere margini ridottissimi, i nuovi accordi dovrebbero includere un modello di condivisione degli utili più generoso.

BP starebbe anche valutando di investire nella riqualificazione dei giacimenti in Kuwait.

Nel Golfo del Messico, la BP ha annunciato che proseguirà con lo sviluppo di Kaskida, un grande e complesso bacino, e la società prevede inoltre di dare luce verde allo sviluppo del giacimento Tiber.

La società, inoltre, dovrebbe valutare anche l’acquisizione di asset nel prolifico bacino di scisto del Permiano per espandere la sua attuale attività onshore negli Stati Uniti, che ha aumentato le sue riserve di oltre 2 miliardi di barili dall’acquisizione dell’attività nel 2019.

Auchincloss, che a maggio ha annunciato un piano di riduzione dei costi pari a 2 miliardi di dollari entro la fine del 2026, negli ultimi mesi ha sospeso gli investimenti in nuovi progetti eolici offshore e di biocarburanti e ha ridotto il numero di progetti sull’idrogeno a basse

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Francia: buco da 100.000 lavoratori nell’idrogeno verde

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Idrogeno Verde Francia

Il mondo delle rinnovabili avanza, e con esso anche la necessità di lavoratori: stando a France Hydrogen, associazione che accorpa le principali società nel mondo dell’idrogeno verde in Francia, mancheranno 100.000 lavoratori negli impianti francesi dedicati alla produzione di idrogeno verde da qui al 2030. La mancanza di forza lavoro è già un problema oggi, secondo quanto segnalato dall’associazione, con oltre 6.000 posti vacanti. Molti di queste offerte riguardano anche posizioni estremamente ben ricompensate: addirittura il 17% del totale riguarda capi di progetto, project manager o manager che gestiscano interi stabilimenti; un’altra parte importante riguarda il settore di progettazione e il lato commerciale.

Si guarda quindi al mondo della formazione per cercare delle risposte. Le imprese lamentano il fatto che, malgrado siano già disponibili diversi corsi legati al mondo delle rinnovabili, pochi di questi entrino in profondità sui temi che riguardano l’idrogeno verde. Inoltre viene anche criticato il fatto che i corsi con un buon livello di informazioni siano spesso poco pratici, e incapaci di fornire ai lavoratori esattamente le skill necessarie per poter iniziare a lavorare. Con un’intera industria da costruire e ordini da record nel corso del 2023, questo sarà un tema cruciale andando avanti.

presentazione della notizia su mancanza di lavoratori nel mondo dell'idrogeno verde in Francia
La francese Total è una delle società europee che stanno investendo di più nell’idrogeno verde

Boom di assunzioni ma con pochi candidati

Il numero di posti di lavoro disponibili in Francia nel mondo dell’idrogeno verde è aumentato del 77% tra il 2019 e oggi. La quasi totalità dei progetti sono ancora in fase di progettazione, per cui stanno venendo aggiudicati importanti ruoli ingegneristici e di management; una grande opportunità per fare carriera, soprattutto per gli ingegneri più giovani, ma con una grande difficoltà: con le Università che non si sono ancora realmente adeguate alla necessità di formare figure in questo settore, spesso le posizioni vengono aggiudicate con pochissimi candidati. France Hydrogen riconosce la necessità di fare qualcosa per cambiare la situazione, a partire dalle certificazioni.

Un sistema che l’impresa starebbe studiando è quello di un mercato per le certificazioni legate alle skill dei lavoratori, così da poter attestare in un modo univoco a livello nazionale il livello di formazione dei candidati. Inoltre si guarda alla possibilità di far passare i lavoratori tra un’impresa e l’altra, soprattutto in questo momento in cui ci sono ancora tanti progetti embrionali, in modo che la conoscenza dei lavoratori più qualificati possa essere trasferita in modo efficiente ad altri lavoratori. La situazione ricorda da vicino il boom tech e la necessità di programmatori degli anni ’80-90.

foto di un impianto di produzione di idrogeno verde
La Francia è anche l’unica nazione europea che sta pensando a produrre idrogeno verde con l’energia nucleare

Si cerca la riconversione da altri ruoli

Se il mondo dell’idrogeno verde è ai suoi albori, al tempo stesso ci sono delle tecnologie che stanno diventando gradualmente meno importanti: si pensa soprattutto al nucleare e alle centrali a carbone, sempre meno necessarie e con sempre meno investimenti che vanno in questa direzione. France Hydrogen vede un’opportunità nella riqualificazione professionale degli ingegneri che lavorano in questo campo, trasformandoli in esperti del mondo dell’idrogeno verde.

Si tratta di un’opportunità per le imprese del settore, che potrebbero trovare un pool di talenti pronti per lavorare nel mondo dell’idrogeno verde, ma anche per i professionisti: chi rischia di trovarsi senza lavoro per via della transizione ecologica, avrà un’occasione importante per trovare nuove opportunità in un settore che si trova nel pieno della sua espansione. E infine sarà una grande opportunità per i più giovani, che spesso fanno difficoltà a emergere nelle grandi multinazionali dell’energia dove molte posizioni sono già consolidate: le tante posizioni aperte nel campo dell’idrogeno verde, anche in ruoli manageriali, sono un’occasione ghiotta per gli ingegneri neolaureati che puntano a fare carriera nelle rinnovabili.

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Via libera a più grande progetto di battery storage al mondo

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Carlton Power ha ottenuto il via libera per procedere con il suo maxi-progetto da 750 milioni di sterline che vedrà nascere, nell’area metropolitana intorno a Manchester, il più grande progetto di battery storage al mondo. I progetti di battery storage si basano sull’installazione di grandi pacchi di batterie su scala industriale, per accumulare l’energia prodotta nei momenti in cui le fonti rinnovabili generano più corrente elettrica. Rimane in capo all’azienda la decisione finale su questo investimento, ma oggi le istituzioni si sono dette favorevoli alla sua realizzazione. Nel caso fosse completato, il campo di battery storage di Manchester diventerebbe il più grande al mondo.

Al momento questo tipo di progetti è ancora sporadico, ma sta diventando sempre più comune. Con la transizione energetica che continua a guadagnare slancio, diventa sempre più importante gestire i picchi di energia. Addirittura, in Italia esiste una rete di cittadini su due piccole isole siciliane che gestisce una propria rete per accumulare e distribuire energia prodotta con i pannelli fotovoltaici. Quello di Manchester sarà un progetto simile a livello di funzionamento, ma su una scala decisamente più grande: complessivamente, dovrebbe avere una capacità di 1 GW.

presentazione della notizia sul via libera al più grande progetto di battery storage al mondo
Il battery storage è una tecnologia che permette di conservare l’energia prodotta -soprattutto da fonti rinnovabili- per immetterla nella rete nei momenti di maggior necessità

L’ambizioso progetto di Carlton Power

Carlton Power è una società indipendente inglese che si occupa di gestire grandi progetti nel settore dell’energia rinnovabile. Non è quotata in Borsa, ma ha grandi capitali che derivano soprattutto dall’autofinanziamento prodotto con i progetti già attualmente in corso. La società si è interessata da diverso tempo alla possibilità di realizzare un grande campo di battery storage nell’area periferica di Manchester, ma questo richiede una serie di permessi pubblici che sono arrivati solo a distanza di mesi. Con oggi, però, si può dire che ci sia il via libera definitivo per poter procedere con la costruzione: il cantiere ha una durata prevista di due anni, salvo ritardi.

Una volta operante a regime, l’impianto potrà immagazzinare fino a 1 GW di energia nei momenti in cui questa è più facilmente reperibile nella rete elettrica. Dopo averla immagazzinata potrà rimetterla nella rete pubblica nei momenti in cui non se ne produce a sufficienza, contribuendo alla stabilità delle forniture e alla gestione delle fonti rinnovabili. Infatti sono soprattutto l’eolico e il fotovoltaico che richiedono, per via della natura incostante della loro produzione di energia, il supporto di progetti di accumulo come questo. Carlton Power dichiara di avere già dei grandi partner industriali e finanziari per assicurarsi le fonti di liquidità e capacità necessarie per poter procedere con la costruzione.

foto di un progetto di battery storage
Essenzialmente, con le tecnologie attuali, il battery storage si basa su grandi pacchi di batterie con un funzionamento simile a quelli delle auto elettriche

Battery storage: sempre più realtà

Uno dei grandi ostacoli storici alla transizione energetica è il fatto che mancano dei modi per accumulare l’energia prodotta da fonti rinnovabili. Nelle reti elettriche tradizionali, l’energia viene consumata poco dopo essere stata prodotta: tra la centrale elettrica e il consumatore finale, solitamente il viaggio è di pochi secondi. Le centrali a combustibili fossili possono facilmente regolare i livelli di produzione per venire incontro alla domanda, garantendo comunque che ci sia stabilità nel mercato anche se la domanda oscilla nel corso del tempo. Con le fonti rinnovabili, però, anche la produzione è incostante: a seconda del sole e del vento, si può produrre di più o di meno.

La necessità di accumulare l’energia in eccesso prodotta in alcuni momenti per poi re-immetterla nella rete quando necessario ha portato alla realizzazione di batterie specifiche pensate per questo scopo. Sono simili alle batterie delle auto elettriche, almeno fino a questo momento: per ora domina la tecnologia delle batterie al litio, ma ci sono diversi progetti di ricerca e startup che hanno dimostrato il potenziale -a oggi solo su piccola scala- di tecnologie più mirate.

Nel corso dei prossimi anni ci si attende che sia la ricerca, sia l’installazione di battery storage vadano incontro a un forte aumento. Sarà indispensabile poter contare su sistemi di accumulo efficienti per portare avanti con successo la transizione energetica, soprattutto nelle aree dove l’energia eolica è più utilizzata. Se i picchi di produzione di energia solare tendono grossomodo a combaciare con le esigenze di mercato, infatti, per quanto riguarda il vento è più difficile fare previsioni sull’equilibrio tra domanda e offerta.

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