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Canone Rai, addio al taglio in bolletta. Dal 2025 si pagheranno 90 euro all’anno

Il canone Rai torna a 90 euro dopo il taglio di venti euro effettuato nel 2024. Sempre che non ci sia un ripensamento all’ultimo minuto si dovrà pagare di più.

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Canone Rai, addio al taglio in bolletta. Dal 2025 si pagheranno 90 euro all'anno

Addio al taglio del canone Rai. Gli italiani dovranno mettersi in cuore in pace, dal 2025 si tornerà a pagare 90 euro. Per il momento la sforbiciata ad una delle tasse più odiate dalle famiglie salta e i contribuenti si troveranno addebitati venti euro in più sulle utenze dell’elettricità (nel 2024 il canone Rai è stato pari a 70 euro).

Se per gli utenti questa è una pessima notizia, la novità è positiva per la Rai, anche se a viale Mazzini c’è ancora molta preoccupazione per le misure previste dalla Legge di Bilancio, che potrebbero non far arrivare nelle casse della televisione pubblica le risorse necessarie. Oltre tutto c’è ancora il timore che il taglio del canone Rai possa essere inserito durante il percorso parlamentare che porterà all’approvazione della Manovra 2025 e perché, soprattutto, si stanno attendendo con trepidazione le eventuali conferme o smentite su una sforbiciata delle voci di spesa su personale e consulenti, che dovrebbero essere effettuate nel corso dei prossimi anni.

Addio al taglio del canone Rai

Salvo ripensamenti dell’ultimo momento il canone Rai tornerà a 90 euro, garantendo una boccata d’ossigeno alla televisione pubblica.

Viale Mazzini, per il momento, è preoccupata per i provvedimenti che il Governo potrebbe prendere sui tagli al personale e alle consulenze, tanto che Giampaolo Rossi – il nuovo amministratore della Rai e uomo di fiducia della premier Giorgia Meloni – ha deciso di prendere immediatamente una posizione netta ed unitaria, sottolineando la propria apprensione per i provvedimenti che, sia pure nell’ottica di un doveroso contenimento dei costi, rischierebbero – secondo Rossi – di limitare l’autonomia del servizio pubblico e di condizionarne le scelte e le attività con possibili impatti sull’occupazione, nonché sull’indotto.

Nel 2025 la Rai – è quanto si apprende dal testo della Manovra – per ridurre gli oneri di esercizio non potrà aumentare le spese per il personale e per gli incarichi di consulenza: i costi non potranno superare quelli del 2023.

Ma non solo: nel 2026 dovrà essere ridotta la spesa del 2% rispetto alla media delel spese sostenute nel periodo compreso tra il 2021 ed il 2023. Sale al 4%, invece, la riduzione di spesa per il 2027. I risparmi dovranno essere impiegati per finanziare gli obblighi di viluppo e ammodernamento dell’azienda.

Ad ogni modo per i contribuenti, salvo ripensamenti dell’ultimo minuto, il canone Rai tornerà a 90 euro, come si pagava nel 2023. Verrà spalmato su nove mensilità: ogni mese si pagheranno 10 euro (chi riceve la bolletta bimestrale, avrà quattro addebiti da 20 euro e uno da 10 euro).

Laureato in materie letterarie e giornalista pubblicista iscritto all'Albo dal 2002 [Link di verifica iscrizione all'Albo]. Ho iniziato ad occuparmi di Economia fin da subito, concentrandomi dapprima sul mercato immobiliare, sul fisco e i mutui, per poi allargare i miei interessi ai mercati emergenti ed ai rapporti Usa-Russia. Scrivo di attualità, tasse, diritto, economia e finanza.

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Danone non acquisterà più la soia brasiliana, allineandosi a Nestlé ed Unilever

Danone ha deciso di fare a meno della soia brasiliana. Inizierà ad importare la materia prima unicamente dall’Asia.

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Danone non acquisterà più la soia brasiliana, allineandosi a Nestlé ed Unilever

Danone mette al bando la soia brasiliana e inizia ad acquistare dai paesi asiatici. A comunicarlo è Jurgen Esser, il responsabile finanziario dell’azienda: il cambio di passo serve ad allineare l’azienda ad una norma introdotta dall’Unione europea, che impone di dimostrare che non si stiano rifornendo da dei terreni deforestati.

Sulla stessa lunghezza d’onda si sono inserite anche Nestlé e Unilever, che nel corso degli ultimi anni si sono attrezzate per adeguarsi alla normativa onde evitare di incorrere in potenziali sanzioni che potrebbero arrivare fino al 20% del fatturato.

Danone si allinea al nuovo regolamento europeo

Sostanzialmente, come già le altre aziende europee, Danone si sta allineando al regolamento dell’Unione europea sulla deforestazione, che impatta sull’importazione di materie prime come cacao, caffè e soia. La normativa sarebbe dovuta entrare in vigore il 12 dicembre 2024, ma la Commissione europea ha optato per un rinvio di dodici mesi.

Nel 2023 Danone aveva reso noto di aver utilizzato qualcosa come 262.000 tonnellate di prodotti a base di soia per nutrire le mucche dei suoi allevamenti. Ha, inoltre, utilizzato 53.000 tonnellate di semi di soia direttamente nella produzione dei suoi prodotti di latte di soia Alpro e Silk e yogurt di soia. Per I mangimi degli animali, il principale fornitore di soia di Danone era proprio il Brasile.

Jurgen Esser spiega che Danone non si rifornisce più di soia dal Brasile, che verrà importata unicamente dall’Asia. L’azienda, al momento, ha un monitoraggio sulle materie prime completo: si assicura, quindi, di utilizzare unicamente degli ingredienti sostenibili.

Danone non è esposta alla deforestazione come molti dei suoi rivali.

Si prevede che il Brasile produrrà un record di 170 milioni di tonnellate di soia nel suo prossimo raccolto, rispetto ai 125 milioni di tonnellate coltivati ​​negli Stati Uniti, che ha superato nel 2020. Il Paese Sudamericano è il principale produttore di soia al mondo e, mentre l’Europa taglia le sue importazioni, le spedizioni in Cina sono aumentate fino a una media di oltre un milione di tonnellate a settimana.

Il Brasile è al primo posto al mondo per distruzione della foresta pluviale, anche dopo l’insediamento del presidente Luiz Inacio Lula da Silva nel 2023 e la riduzione di oltre la metà dei tassi di deforestazione nella parte di foresta amazzonica del paese.

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Parla il ministro delle finanze tedesco: ritorsioni se dal 2025 dazi aggiuntivi negli USA per prodotti europei

Parole dure del ministro delle finanze tedesco in direzione di Washington. No alla guerra commerciale, altrimenti…

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Usa germania guerra

Il ministro delle finanze tedesco Christian Lindner ha avvisato gli Stati Uniti sulla potenziale introduzione di dazi e più in generale sull’avvio di una guerra commerciale da parte di Washington. Ci saranno, ha affermato, ritorsioni, nel caso in cui – come sta emergendo da alcune proposte in campagna elettorale per le presidenziali USA – si dovessero effettivamente implementare dazi aggiuntivi su merci e servizi made in UE. Il ministro delle finanze tedesco lo ha affermato in un’intervista per CNBC, a margine dell’incontro annuale del Fondo Monetario Internazionale a Washington.

Un invito – per quanto aggressivo – a evitare una guerra commerciale che secondo il ministro delle finanze della Repubblica Federal Tedesca non pò vedere vincitori. Il riferimento sembrerebbe essere a diverse delle proposte di Donald Trump durante la campagna elettorale per la Casa Bianca, proposte che prevedono dazi aggiuntivi per le merci prodotte fuori dagli USA, anche se con condizioni che per il momento non sembrerebbero ancora chiare.

Il problema è la Cina

O almeno questo sarebbe il problema secondo Lindner, motivo per il quale l’Unione Europea dovrebbe essere tenuta fuori da un’eventuale guerra commerciale (che in verità già esiste) tra i due blocchi. Guerra commerciale che – ricordano i più cinici – è in realtà già a pieno regime anche tra l’UE e la Repubblica Popolare Cinese, almeno su certe categorie merceologiche.

Lindner ha anche aggiunto che sarà disposto a interloquire, trattare con chiunque occuperà la Casa Bianca dal 2025 – segnale che dunque di porte aperte, almeno in Europa, ce ne sarebbero. Un messaggio comunque chiaro in direzione di Washington, che con ogni probabilità troverà il favore del grosso dei paesi UE e dei loro ministri delle finanze, che hanno tutto l’interesse a non arrivare ad una guerra commerciale con Washington, che aggiungendosi a quella con la Cina causerebbe tensioni importanti ad un’economia europea che già deve fare i conti con un importante rallentamento.

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Boeing: tentativo di vendita della divisione spaziale. Scoop porta il titolo a +2%

Boeing a caccia di compratori per la divisione aerospaziale, secondo uno scoop di WSJ.

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Boeing divisione spazio vendita

Altre grandi manovre da Boeing. Secondo quanto è stato riportato da The Wall Street Journal il gruppo starebbe esplorando la possibilità di vendere la sua divisione spaziale. Dietro la decisione – o meglio il tentativo – ci sarebbe la volontà di raccogliere capitale per mettere riparo ad una situazione per il gruppo che si è aggravata dopo una serie di scandali che hanno costellato il 2024. Già dalla giornata di ieri avevano preso a girare rumors sulla possibilità di disimpegno da parte del gruppo, dopo che Kelly Ortberg, per la prima volta alla guida del gruppo durante i report trimestrali, aveva ribadito che Boeing è una società che produce aeroplani.

Sempre Ortberg aveva individuato come strada futura per il gruppo la riduzione dei settori, con un laconico staremo meglio quando faremo meno e meglio, rispetto al fare di più e non farlo bene. Rimarranno dunque, nel caso in cui l’esplorazione dovesse andare a buon fine, i business legati appunto alla produzione di velivoli civili e della difesa.

Il pacchetto “NASA”

A fare gola più che la divisione del gruppo in termini produttivi saranno contratti e collaborazioni con NASA. Non è chiaro per il momento se il gruppo abbia già individuato dei potenziali acquirenti e – nel caso – a che punto siano le trattative.

Il titolo ha reagito in modo positivo alla diffusione della notizia, invertendo un trend negativo dopo metà mattinata a New York. Nel momento in cui scriviamo le azioni $BA vengono scambiate ampiamente sopra i 156$. Seguiranno aggiornamenti nel caso di smentite o conferme da parte del gruppo, e anche nel caso in cui dovessero essere individuati potenziali acquirenti per un business che con ogni probabilità non sarà più parte del gruppo Boeing nel 2025. E con ogni probabilità il gruppo sarà costretto a scelte dure ma strategiche per recuperare un 2024 da incubo.

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Intel investe 28 miliardi di dollari per costruire un nuovo stabilimento in Ohio

Importante investimento in Ohio per Intel, che costruisce un nuovo stabilimento per competere con TSMC.

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Intel investe 28 miliardi di dollari per costruire un nuovo stabilimento in Ohio

Intel investe sul proprio futuro e scommette sulla ripresa delle proprie attività. L’azienda ha deciso di investire più di 28 miliardi di dollari per costruire due fabbriche di chip in Ohio. A comunicarlo è stata la stessa Intel. L’operazione è un ulteriore tentativo per competere con Taiwan Semiconductor Manufacturing Company e farle concorrenza nella sua attività di produzione su contratto.

Nel corso delle prime contrattazioni le azioni di intel sono salite di quasi il 2%. Da inizio anno, però, il titolo è letteralmente crollato, perdendo il 55%.

Intel, la strategia di rilancio

Pat Gelsinger, amministratore delegato di Intel, sta tentando di rilanciare l’azienda. In questo contesto l’attività di fonderia è strategica: l’ex re della produzione di chip sta cercando di riconquistare il vantaggio tecnologico perso a favore di TSMC, che è diventato il più importante produttore di chip su contratto al mondo.

Il grande investimento arriva più di un mese dopo che Intel ha firmato un accordo multimiliardario con Amazon per costruire chip personalizzati per l’intelligenza artificiale, che devono essere utilizzati per le unità di servizi cloud del gigante dell’e-commerce. L’accordo è particolarmente importante per Intel, che in questo modo può rivitalizzare le attività di fonderia in perdita. L’azienda con sede a Santa Clara, California, ha dichiarato venerdì che la fase iniziale del progetto dovrebbe creare 3.000 posti di lavoro.

Il produttore di chip ha attraversato un anno tumultuoso, con la sospensione dei dividendi, i tagli al personale e le improvvise dimissioni di un membro di alto profilo del consiglio di amministrazione, mentre il crollo del prezzo delle sue azioni ha messo a repentaglio il suo posto nell’indice Dow Jones.

Problemi, in questi giorni sono giunti anche dall’unità cinese, che ha dichiarato di aver sempre dato priorità alla sicurezza e alla qualità dei prodotti, dopo che un’influente associazione cinese per la sicurezza informatica ha chiesto una revisione della sicurezza dei prodotti del produttore di chip statunitense venduti in Cina.

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Morgan Stanley rivede i propri obiettivi climatici. La transizione green c’è, ma è lenta

Economia green ed obiettivi climatici si muovono in sinergia. Ma Morgan Stanley li ha dovuti rivedere adottando un po’ più di cautela e prendendosi più tempo.

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Morgan Stanley rivede i propri obiettivi climatici. La transizione green c'è, ma è lenta

Il cammino verso un’economia green è lento e procede con molta calma. Questo è il motivo per il quale Morgan Stanley ha deciso di abbassare la riduzione delle emissioni dal suo portafoglio di prestiti alle aziende.

Jessica Alsford, responsabile della sostenibilità e presidente dell’Institute for Sustainable Investing di Morgan Stanley, spiega che uno dei settori attraverso i quali si comprende come ci si stia muovendo lentamente verso l’economia green, si percepisce dal rallentamento delle vendite di veicoli elettrici, dalla scarsa adozione dei biocarburanti nell’aviazione e dagli ostacoli finanziari e politici nel settore energetico

Morgan Stanley, economia green sì. Ma lentamente

Incamminarsi verso l’economia green ha un impatto diretto sulle attività di molte istituzioni finanziarie. ING, ad esempio, ha deciso di ridurre i prestiti ad alcuni clienti che operano nel settore petrolifero e del gas. Morgan Stanley, invece, in un rapporto ha messo in luce i propri obiettivi ed ha messo in evidenza di stare attenta a non farlo troppo in fretta.

Ad ogni modo, se il ritmo non dovesse accelerare, i suoi clienti e la stessa azienda potrebbero non essere in grado di raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette. Questo è il motivo per il quale l’approccio ai prestiti di Morgan Stanley punta ad essere in linea con il limite del riscaldamento globale a 1,5-1,7 gradi Celsius, andando ad attenuare il precedente obiettivo, che era fissato a 1,5 grazie.

Alsford ha spiegato che le tecnologie e le attuali politiche non sono completamente allineate con 1,5 gradi, e avere questo intervallo tra 1,5 e 1,7 significa riconoscere le sfide che l’economia globale deve affrontare, pur rimanendo in linea con l’accordo di Parigi. Ricordiamo che l’accordo di Parigi punta a limitare l’aumento medio delle temperature dall’era industriale a ben meno di 2 gradi entro il 2050.

Nonostante le temperature record registrate in tutto il pianeta, le emissioni di molte aziende continuano ad aumentare e un rapporto delle Nazioni Unite ha mostrato che l’aumento della temperatura media mondiale è attualmente destinato a raggiungere i 3,1 gradi entro il 2100.

Economia green, le strade per raggiungerla

Morgan Stanley, ora come ora, ha degli obiettivi ben precisi da raggiungere entro il 2030 per sei settori:

  • energia;
  • energia elettrica;
  • automobili;
  • prodotti chimici;
  • estrazione mineraria;
  • aviazione.

Ma non solo. Morgan Stanley ha anche rivisto completamente l’anno di riferimento da cui misurare gli obiettivi, passando dal 2019 al 2022: l’anno più recente presenta dei dati sicuramente migliori.

È stata adottata, inoltre, una metodologia battezzata intensità fisica, che serve a monitorare le emissioni per unità di produzione o generazione, andando ad allineare la banca ed i suoi clienti.

L’obiettivo è di ridurre le emissioni operative del settore del 12-20% entro il 2030, con una riduzione delle emissioni derivanti dall’uso finale del 10-19%, sebbene la banca abbia affermato che alcuni aspetti, tra cui le pressioni sulla sicurezza energetica, potrebbero avere un impatto sui risultati.

L’obiettivo era di ridurre le emissioni del settore energetico nell’intero portafoglio prestiti tra il 45 e il 60%, anche se sarebbero stati necessari finanziamenti e sostegno politico per soddisfare la crescente domanda, compresa quella richiesta dalle tecnologie di intelligenza artificiale.

Per le automobili si prevedeva un calo del 29-45%, sebbene Morgan Stanley avesse avvertito che i tassi di adozione dei veicoli elettrici erano inferiori al tasso necessario per soddisfare la quota del settore l’obiettivo globale.

Nel settore dell’aviazione, le emissioni erano destinate a scendere del 13-24%, spinte dall’uso di carburante per l’aviazione sostenibile. Mentre l’IEA ha affermato che questo dovrebbe raggiungere il 10% entro il 2030, la banca ha osservato che alcune compagnie aeree stanno puntando solo a un utilizzo del 5-7,5%.

Morgan Stanley spiega che restano da affrontare sfide significative per garantire che l’offerta possa soddisfare la domanda a parità di costi, il che sarà un fattore determinante per le compagnie aeree nel raggiungimento dei loro obiettivi intermedi di riduzione delle emissioni e quindi per noi nel raggiungimento del nostro obiettivo in materia di aviazione.

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