Il dollaro USA è stato al centro di una settimana importante, che lo ha visto recuperare sul resto delle valute grazie a una rinnovata preoccupazione per l’inflazione. Rinnovata preoccupazione che è dovuta al riaffacciarsi di un’inflazione dura a morire e che scende molto più lentamente di quanto vorrebbero i mercati. È stato questo il tema sul quale hanno ballato i mercati nel corso della settimana che si è appena chiusa, settimana che è anche stata la prima di stop per i principali indici borsistici degli USA da diverso tempo a questa parte.
La prossima settimana sarà meno densa di dati importanti. Gli occhi degli investitori forex saranno i verbali del FOMC, che illustreranno chiaramente il modo in cui si sta ragionando nel consesso che negli Stati Uniti è responsabile per le decisioni di politica monetaria. Con un ma: sono discussioni che sono avvenute lo scorso 30 e 31 gennaio e che dunque racconteranno di una situazione che non teneva ancora conto dei dati sull’inflazione CPI e delle PPI, dati che hanno confermato un’inflazione ostinata.
Dollaro più forte delle previsioni: solo contesto o errore nelle previsioni?
Il 2023 si era chiuso con una prevalenza delle posizioni bearish sul dollaro USA, almeno in termini di analisi. Erano in pochi a scommettere long sul greenback, complice la convinzione che Federal Reserve avrebbe iniziato con i tagli ai tassi prima delle altre grandi banche centrali. Si puntava a tagli già a marzo, che avevano contribuito a una certa debolezza del dollaro USA nel mese di dicembre. Puntata che però si è rivelata essere fallimentare: il 2024 del dollaro si sta dimostrando più bullish di quanto preventivato, con gli atteggiamenti del mercato che hanno iniziato a tenere conto di altri fattori.
In primo luogo i dati: quanto arrivato dall’inflazione classica, la Core e PPI dimostrano che siamo ancora lontani dal target del 2%, target che – parafrasando quanto ha affermato Jerome Powell – dovrà essere quantomeno in vista prima di poter pensare ad un taglio dei tassi.
In una situazione del genere la forza del dollaro, sia presente che proiettata, non può che uscirne aumentata: in molti dubitano anche che maggio possa essere il momento per il primo taglio. E se i mercati prima prezzavano tagli di 150 punti base per il 2024, ora prezzano decisamente più modesti 85 punti base di media.
Non crediamo che le minutes, questo il nome dei verbali del FOMC, aiuteranno a muoversi in un senso o nell’altro: ci si troverà esattamente quanto i mercati si aspettano, e fatta salva una volatilità di breve periodo in uscita del dato, ci sarà poco da leggere in termini di definizione del trend.
C’è chi addirittura chiede un altro rialzo dei tassi
C’è anche chi crede che Federal Reserve debba sì fare una mossa, ma controcorrente. È Lawrence Summers, ex Tesoro USA, che afferma che con i dati presenti sull’inflazione, sarebbe il caso di muoversi in territorio ancora più restrittivo, alzando di altri 25 punti base a marzo. Si tratterebbe, nel caso, di una decisione molto rialzista per il dollaro USA e che certamente sorprenderebbe i mercati. A nostro avviso la posizione è assai minoritaria e lo è per una ragione: siamo già in territorio ampiamente restrittivo e ci sono altre questioni che Federal Reserve deve considerare prima di una mossa del genere.
Su tutte le grandi difficoltà delle banche regionali, che hanno i bilanci carichi di bond e anche di esposizioni creditizie verso il settore degli immobili commerciali. E che difficilmente potrebbero sostenere un ulteriore rialzo dei tassi senza che questa volta comincino a scricchiolare le fondamenta. Situazione più grave delle crepe nei muri dell’anno scorso con Silicon Valley Bank.