lunedì, Ottobre 7, 2024

I colossi bancari temono di perdere miliardi di dollari se gli sforzi per la sostenibilità aumentassero

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Un documento estremamente riservato è trapelato alla stampa, gettando nella bufera Citigroup e la Fed, ma potenzialmente arrivando a coinvolgere anche Bank of America, Goldman Sachs e JP Morgan. Lo scorso anno, la banca centrale americana ha chiesto alle cinque banche più grandi del paese di inviare un report dettagliato -strettamente mantenuto segreto- stimando l’impatto che un aumento delle politiche pro-clima avrebbero avuto sui loro bilanci. Il documento legato a Citigroup nello specifico, circolato tra i manager dell’azienda, è arrivato a Reuters. Attualmente non è possibile sapere se il documento sia stato inviato integralmente alla Fed o se una parte di questo sia stato mantenuto soltanto a uso interno.

Da tempo si parla della possibilità che le banche vengano responsabilizzate per il loro impatto sul cambiamento climatico. Una banca può dichiarare di non avere un impatto climatico perché le sue filiali sono alimentate da energia rinnovabile o perché ricicla la carta che usa nelle pratiche burocratiche, ma l’impatto va molto oltre queste operazioni. Nel momento in cui una banca decide di finanziare l’industria dei combustibili fossili o quella dell’energia rinnovabile, l’impatto sul mondo che ottiene dall’erogazione del credito è completamente diverso. Il report inviato alla Fed avrebbe dovuto fare luce proprio su questi aspetti.

presentazione della notizia su impatto delle politiche climatiche sulle banche
Nel solo 2022, Citi ha prestato $34 miliardi ai produttori di combustibili fossili

La sostenibilità costa alle banche più del cambiamento climatico

Secondo il documento di Citigroup, se gli Stati Uniti dovessero effettivamente implementare le politiche necessarie per raggiungere il net zero entro il 2050 -come stabilito dagli accordi internazionali delle Nazioni Unite-, il gruppo perderebbe $10.3 miliardi in un arco di 10 anni per via dei prestiti non ripagati. Si guarda a tutti i prestiti specificamente legati a industrie inquinanti, il cui business sarebbe fortemente minacciato dalle politiche climatiche. All’interno di questa simulazione, non si tiene conto del graduale adattamento della banca ma solo di quale sarebbe l’impatto basato sull’attuale portafoglio di crediti. Questo significa che, in realtà, le cose potrebbero andare meglio di così.

Ovviamente anche la mancanza di politiche per la sostenibilità sarebbe causa di perdite: Citigroup stima che se gli sforzi per il cambiamento climatico non dovessero aumentare, perderebbe $7,1 miliardi a causa dei prestiti non ripagati. Si guarda soprattutto a eventi naturali straordinari come uragani, inondazioni e periodi di siccità. Anche soltanto i mutui erogati per l’acquisto di case che rischiano di essere distrutte da piogge torrenziali e uragani è un grande problema per le banche, ma a quanto pare non così grande come rinunciare agli affari d’oro fatti con l’industria dei combustibili fossili.

Citigroup è la seconda banca al mondo che ha prestato più soldi alle imprese dei combustibili fossili

Impatto comunque sopportabile

Citigroup non arriva da uno dei suoi momenti migliori, avendo licenziato migliaia di dipendenti negli ultimi anni, ma il suo portafoglio di crediti è comunque di $730 miliardi in questo momento: la differenza di $3,2 miliardi in perdite sui prestiti nel caso in cui le politiche sul clima aumentassero oppure no è una differenza che la banca può comunque sostenere senza problemi. Lo stesso vale anche per le altre grandi banche che hanno formato parte del pool interrogato direttamente dalla Federal Reserve. Bisogna anche considerare che gradualmente le banche adatterebbero i loro portafogli per ridurre l’esposizione ai business più inquinanti e aumentare l’esposizione alle industrie favorite dalla transizione energetica, per cui non sembra probabile che le preoccupazioni sulla tenuta del sistema bancario possano pesare significativamente sulle politiche ambientali. Piuttosto, possono pesare sul ritorno atteso dagli azionisti e sulle quotazioni dei titoli.

Alessandro Calvo
Alessandro Calvo
Laureato in Economia Aziendale all'Università degli Studi di Torino, digital nomad e investitore esclusivamente in azioni. Gestore e chief-analyst del portafoglio azionario di TradingOnline.com. "Anche se difficile da ricordare a volte, un'azione in realtà non è un biglietto della lotteria...è la proprietà parziale di un'azienda" - Peter Lynch

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