News Economia
Cina approva prestito di 700 milioni di dollari al Pakistan
In una situazione di grossa difficoltà, la Chinese Development Bank (CDB) è arrivata in soccorso del Pakistan. In un tweet, il ministro delle finanze, Ishaq Dar, ha affermato che le formalità sono state completate e il consiglio della CDB ha approvato un prestito di 700 milioni di dollari per il paese asiatico. Il denaro sarà ricevuto dalla State Bank of Pakistan entro la settimana e aiuterà a sostenere le riserve sempre più ridotte del paese.
La Chinese Development Bank, è un’istituzione di proprietà statale e finanziata dallo stato, supervisionata direttamente dal Consiglio di Stato. I termini del prestito non sono stati resi pubblici. Tuttavia, essendo un’impresa statale del governo cinese, è probabile che lo strumento di finanziamento sia alle stesse condizioni dei passati prestiti che la Cina ha offerto al Pakistan.
La difficile situazione economica del Pakistan
Il Pakistan ha un problema cronico con la gestione del proprio debito che è stato esacerbato nell’ultimo anno, con le riserve valutarie del paese che sono scese a livelli critici.
Il 10 febbraio, la banca centrale aveva solo 3,2 miliardi di dollari di riserve, sufficienti a coprire appena tre settimane di importazioni.
Per arginare il problema, il governo ha imposto restrizioni, consentendo l’importazione solo di generi alimentari e medicinali essenziali fino a quando non sarà concordato un piano di salvataggio con il FMI, che è considerato fondamentale per il paese per evitare il default.
Il governo guidato dal primo ministro Shehbaz Sharif ha deciso di attuare misure per ridurre le spese aumentando le tasse sul pubblico e abbattendo le spese del governo.
Il governo ha anche ordinato al ministero degli Esteri di tagliare il numero delle missioni all’estero e di ridurne gli uffici e il personale e avviare altre misure per ridurre del 15% le spese della nazione oppressa dal debito.
A novembre, il ministro delle finanze Dar ha affermato che il Pakistan si è assicurato un salvataggio di 13 miliardi di dollari dalla Cina e dall’Arabia Saudita con 5,7 miliardi di dollari di nuovi prestiti. Dar era fiducioso che il denaro sarebbe arrivato prima del rilancio del programma del FMI.
Tuttavia, è diventato chiaro con il tempo che i vecchi alleati di Islamabad si rifiutavano di distribuire più denaro senza che il paese avesse prima accettato le condizioni del FMI. È stato allora che il Pakistan ha dovuto invitare la missione del FMI a negoziare l’accordo, ha riferito il quotidiano The Express Tribune.
I problemi interni
Le turbolenze politiche e il terrorismo si aggiungono ai problemi del Paese. Il Pakistan continua a sostituire il suo ministro delle finanze e i recenti attacchi militari stanno spaventando gli investitori, che temono che l’estremismo stia di nuovo attecchendo.
Al mix si aggiungono un governo distratto da un conflitto infinito con il deposto premier Khan e un esercito che ha a lungo avuto troppa influenza sulla politica della nazione. Khan, che è stato colpito a una gamba mentre guidava una marcia di protesta a novembre, sta spingendo per nuove elezioni nazionali, in un momento in cui molti pakistani non possono permettersi i beni di prima necessità.
A peggiorare le cose, il paese è stato colpito da un disastro climatico. Le inondazioni della scorsa estate hanno inondato circa un terzo della nazione, uccidendo più di 1.700 persone, sfollando milioni di persone e dimezzando la crescita economica. Il mese scorso, un’interruzione di corrente ha bloccato enormi aree del paese per ben 24 ore, interrompendo i servizi di telefonia mobile e facendo precipitare nell’oscurità gli ospedali nelle aree rurali.
Maleeha Lodhi, che è stata due volte ambasciatrice del Pakistan negli Stati Uniti, ha affermato che molte delle questioni del paese derivano dalla pessima gestione politica.
Il paese ha anche contratto tantissimi debiti che non hanno generato rendimenti, utilizzando in particolare i finanziamenti cinesi per costruire cose come centrali elettriche che non sono riuscite a incrementare il basso numero di esportazioni.
Il paese ha bisogno di un hard reset, ha affermato Monis Rahman, un importante fondatore di startup.
Tuttavia, secondo Lodhi, ciò non significa che il mondo debba lasciare che il Pakistan crolli. Per prima cosa, la vita di oltre 230 milioni di persone ne risentirebbe. Oltre a ciò, l’importanza geostrategica del paese – confina con Cina, India, Iran e Afghanistan – deve essere presa in considerazione, ha affermato.
Le sue capacità nucleari – e il rischio che cadano nelle mani sbagliate – sono un’altra ovvia ragione.
Investimenti
Indagine di Fed: mercati temono recessione più di inflazione. Timore per i dazi di Donald Trump e per spesa pubblica
Secondo una recente indagine di Federal Reserve, l’inflazione non sarebbe più una preoccupazione, almeno per i professionisti della finanza. A preoccupare maggiormente ci sono gli effetti che la vittoria di Trump avrà sul debito pubblico, insieme a preoccupazioni per una recessione e anche per limitazioni al commercio globale. La prima e la terza, senza dubbio alcuno, sono legate al prossimo ciclo politico degli USA, che sarà governato da un presidente che ha promesso dazi importanti verso i paesi non allineati e anche verso quelli allineati che non riconosceranno la supremazia del dollaro.
Sul debito pubblico in crescita, ci saranno invece da valutare gli impegni, per ora solo di propositi, sulla riduzione considerevole delle agenzie federali e conseguentemente della spesa pubblica. Si tratta di DOGE, il dipartimento guidato da Elon Musk e Vivek Ramaswamy, i cui esiti per il momento però non possono che essere incerti.
Addio preoccupazioni per l’inflazione, benvenute preoccupazioni per la recessione
In realtà sono preoccupazioni che albergano sui mercati – e che sono parzialmente riflesse nel mercato dei bond – ormai da qualche settimana. L’atteggiamento più hawkish in pubblico di Jerome Powell non sembrerebbe aver tolto dalla mente dei mercati che ora il rischio è quello di essere in ritardo sul ciclo e di arrivare con tassi troppo alti (e superiori al tasso neutrale). Tassi troppo alti che finirebbero per favorire un trend di rallentamento atteso per l’economia USA e più in generale per l’economia a livello mondiale.
A esacerbare il rischio recessione, i dazi di Trump: un rallentamento considerevole dei commerci internazionali avrebbe, secondo gli specialisti, un effetto recessivo importante su tutte le principali economie. Siamo però ancora nel campo delle ipotesi. Chi ha una certa esperienza delle cose dei mercati e di quelle politiche non potrà che ricordarsi di quanto, in passato, le promesse elettorali siano state poi diverse dalla realtà.
Investimenti
Parla Jerome Powell: a rischio tagli da 25 punti base a dicembre? Mercati risk on giù!
Parla Jerome Powell e gela chi attende tagli certi e spediti: mancano segnali da economia.
Jerome Powell conferma quello che è il sentiment che ha iniziato a serpeggiare sui principali mercati già da oggi. Non vi è alcuna fretta, dice il Presidente di Federal Reserve, di mettere mano ai tagli. Una situazione complessivamente articolata, quella che si sta verificando negli USA, che si basa però su un caposaldo importante: l’economia sta andando bene e le pressioni sono tornate sulla necessità di tagliare l’inflazione piuttosto che sullo stimolo all’economia.
I mercati ancora aperti, come quello di Bitcoin, hanno reagito con una contrazione importante, testimoniando così la dipendenza almeno sul medio e lungo periodo del ritorno su livelli di tassi non restrittivi. Per la reazione delle borse principali, al netto di quanto sta avvenendo sull’after hours, si dovrà comunque aspettare domani. Di tempo affinché i mercati digeriscano quanto in realtà avevano iniziato a digerire già da oggi ce n’è.
Un Jerome Powell titubante: tagli potranno aspettare
Non è chiaro se si sia riferito già all’appuntamento del 18 dicembre, ultimo dell’anno, durante il quale i mercati si attendono comunque in maggioranza che ci siano dei tagli da 25 punti base. Ad ogni modo Jerome Powell è stato relativamente chiaro: l’economia non sta mandando segnali che spingano Federal Reserve ad affrettarsi nel taglio ai tassi.
Un gioco di equilibri all’interno di una singola frase che però lascia aperta la porta comunque a tagli a gennaio per poi rivalutare la situazione già a gennaio 2025. Jerome Powell continua inoltre a indicare nei dati l’unica bussola che Fed seguirà per le prossime decisioni. Dichiarazioni che non indicano in realtà nulla di nuovo, ma che sono bastate a gettare nello sconforto almeno parte degli asset risk on. La sentenza definitiva arriverà domani, alla riapertura di mercati tradizionali, che decreteranno se ci sarà ulteriore spazio per la corsa oppure se sarà il caso riconsiderare la corsa incredibile che ha comunque occupato tutto il 2024.
News Economia
Inflazione secondo aspettative negli USA: +2,6% per CPI, +3,3% per CORE. Ora tagli in dubbio?
Arrivano i dati dell’inflazione USA, perfettamente allineati con le previsioni. Bitcoin spinge verso il record.
Tutto secondo previsioni, o forse no. L’inflazione negli USA fa registrare una Core ferma al 3,3%, e un’inflazione classica al 2,6%, vicina a quella delle previsioni che si erano però rapidamente innalzate nel corso delle ultime ore. Siamo dunque in linea con quanto i mercati si aspettavano, per quanto questi dovranno emettere la loro sentenza definitiva durante la riapertura dei mercati alle 15:30 ora italiana. Difficile interpretare per ora, alla luce del rimbalzo per l’inflazione classica, quali saranno gli intendimenti di Federal Reserve per l’incontro del FOMC di dicembre, che è ancora in bilico per quanto riguarda la possibilità di tagliare o non tagliare i tassi di ulteriori 25 punti base.
Una situazione che comunque non è di particolare angoscia per i mercati, che non prenderebbero forse troppo male la possibilità di rallentare il percorso di ritorno verso i tassi neutrali (che però nessuno conosce), cosa che potrebbe essere interpretata anche come maggiore fiducia verso il soft landing, l’atterraggio morbido per l’economia USA che potrebbe a questo punto evitare la recessione.
Intanto i mercati già aperti…
Per ora atteggiamento pimpante anche sul mercato di riferimento quando le borse USA sono chiuse, ovvero quello di Bitcoin. Spike verso l’alto poi ampiamente corretto e poi ripartito, segno che di incertezza ce n’è ancora tanta e che servirà a conferma la guida da parte delle borse USA per capire quale direzione prendere.
Dati che dunque non cambiano granché a livello macro – con i prossimi sul mercato del lavoro che potrebbero essere i più importanti per quanto riguarda la prossima decisione di Federal Reserve. Decisione che comunque non sarà granché decisiva in termini di ritorno verso tassi espansivi. Come ha già ricordato infatti Jerome Powell, siamo ancora ampiamente in territorio restrittivo e con ogni probabilità dovremo rimanerci ancora a lungo, almeno fino a quando non si sarà convinti al 100% della traiettoria dell’inflazione verso il 2%.
Investimenti
Parla Neel Kashkari di Fed Minneapolis: se inflazione sopra +2,4% no tagli ai tassi
Si riapre lo scenario del “no tagli” a dicembre. Parla Neel Kashkari di Federal Reserve Minneapolis.
Parla Neel Kashkari di Federal Reserve Minneapolis – tra i falchi designati di questo ciclo – che mette le mani avanti sulle prossime decisioni di Federal Reserve per quanto riguarda i tassi di interesse, che saranno dettate anche dal dato sull’inflazione in arrivo il 13 novembre. Un dato sull’inflazione che ci si aspetta relativamente alto e in controtendenza rispetto al calo degli scorsi mesi.
Un dato alto che potrebbe, dice Kashkari, mettere in dubbio il taglio previsto per dicembre, ovvero il secondo dei tagli che sarebbero dovuti arrivare a conclusione del 2024. Poco male, per quanto i mercati preferirebbero certamente avere un altro taglio e dunque un ritorno a maggiore liquidità il prima possibile.
Tra il dire e il fare, lo spauracchio dell’inflazione…
Il problema torna a essere quello di qualche mese fa. L’inflazione potrebbe tornare a fare capolino. Tenendo conto di un mercato del lavoro che è però ancora forte, potrebbe essere proprio l’aumento dei prezzi per i consumatori a tornare preponderante e dunque a indirizzare le prossime decisioni di Fed. Questo almeno nella lettura di Neel Kashkari, che ha un atteggiamento mediamente hawkish e che i mercati non sembrerebbero condividere appieno.
Servirebbe un dato importante – nel senso di un dato più alto delle previsioni – che sono fissate intorno al 3,3% in termini di consenso per la Core e al 2,4% invece per l’inflazione classica. Per ora Fed Watchtool indica come probabilità dei tagli di 25 punti base a dicembre il 62%. Qualcosa che potrebbe cambiare comunque secondo il dato di domani, come ha appunto indicato Kashkari, che sarà anche hawkish, ma che nel caso di inflazione più alta del previsto potrebbe finire per avere ragione. Una ragione che potrebbe avere un impatto negativo su borse che stanno vivendo un grande 2024. E che aprirebbe però di nuovo ad una lettura ancor più interessante: se si può rallentare sui tagli, vuol dire che Fed ha enorme fiducia sulla possibilità di un soft landing, fiducia dettata dallo stato complessivo dell’economia USA.
Investimenti
Federal Reserve taglia di 25 punti base. Occhi puntati sul discorso di Jerome Powell
Federal Reserve taglia i tassi di 25 punti base. Ora parla Powell che darà una direzione ai mercati.
Il FOMC delibera quanto era più che scontato. Taglio di 25 punti base ai tassi di interesse negli USA, seguendo quanto Powell aveva già indicato nella precedente riunione. Dovrebbe essere, a meno di clamorosi rimbalzi da parte dell’inflazione, il penultimo dei tagli di questo 2024. Cosa che però dovrà essere confermata anche dalla conferenza stampa di rito di Jerome Powell che si terrà alle 20.30 ora italiana. Una conferenza stampa che arriva al termine di una settimana che è stata dominata dalla questione elettorale.
La vittoria di Donald Trump non impatterà in alcun modo sulle prossime decisioni di una banca centrale, Federal Reserve, che rimane la più indipendente dal potere politico al mondo. Cii sarà però da fare qualche considerazione di medio e lungo periodo, in particolare in corrispondenza con politiche fiscali che si preannunciano come fortemente espansive, politiche fiscali che dovranno con ogni probabilità portare ad una sorta di contenimento delle politiche monetarie gestite da Federal Reserve.
Tutto secondo programma
Tutto secondo programma da Federal Reserve, con il FOMC che chiude la riunione comunicando tagli da 25 punti base. Tagli che erano stati in realtà anticipati da Jerome Powell e che sono giustificati sia da un rallentamento dell’inflazione, sia al tempo stesso da un rallentamento del mercato del lavoro. Per ora le condizioni per un soft landing sembrerebbero confermate: trimestrali e PIL confermano un’economia USA ancora in salute.
L’ultima parola però dovranno darla i mercati, per ora relativamente fiduciosi di quanto sta facendo Powell – tenendo però sempre conto del fatto che non tutto sarà nelle mani di Federal Reserve. Ora occhi puntati sulla conferenza stampa di Jerome Powell: il Presidente di Federal Reserve non è uomo di grandi proclami – e gli analisti si produrranno in esegesi di gesti, sguardi e parole per cercare di capire quale sarà la prossima direzione di Federal Reserve in termini di tassi.
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