Per il secondo mese consecutivo la Banca Centrale della Repubblica Popolare Cinese non ha acquistato oro per le proprie riserve. Sembrerebbe dunque essere giunta al termine la serie ininterrotta di acquisti che si era protratta per 18 mesi e che aveva alimentato anche discussioni sulla de-dollarizzazione del paese più rilevante del supposto blocco anti-americano. Così come però gli acquisti d’oro volevano dire relativamente poco di eventuali cammini di allontanamento dal dollaro, così questi due mesi di stop agli acquisti dovranno essere presi con un po’ di scetticismo nella loro capacità di dare segnali di lungo periodo.
La Cina sta infatti affrontando una fase tanto importante quanto delicata della sua vita anche di operatrice economica: lo yuan è al centro e in cima ai pensieri di Xi Jinping, che lo vorrebbe vedere forte, indipendente, internazionale e rispettato. Punti politici che sono stati delineati durante l’ultimo insediamento del presidente cinese Xi Jinping e che però non passeranno, come scritto con troppa leggerezza altrove, da una smobilitazione delle riserve in dollari a favore dell’oro. O almeno non negli ultimi due mesi.
Niente oro per la banca centrale cinese
Dopo 18 mesi di acquisti continui, negli ultimi due mesi la Banca Centrale della Repubblica Popolare Cinese non ha acquistato oro. Non è un dato definitivo, nel senso che nulla impedisce alla Cina di tornare ad acquistare lingotti il prossimo mese, ma è comunque un colpo alla narrativa – forte principalmente sui social – della pronta de-dollarizzazione degli scambi mondiali e anche delle riserve delle principali economie.
Difficile però per il momento trarre delle conclusioni… definitive: nel complesso ci sono circa 20 banche centrali che hanno aumentato in modo importante le loro detenzioni in oro e che secondo gli analisti continueranno a farlo. Dietro ci sarebbero preoccupazioni di carattere tanto economico quanto geo-politico.
Una delle due campane che è necessario tenere in considerazione per l’analisi di questa situazione parla della weaponization del dollaro all’interno del conflitto tra Russia e Ucraina, che sarebbe poi una sorta di proxy degli attriti tra Occidente e Non-occidente. La Russia è stata praticamente tagliata fuori dagli scambi in dollaro e si è vista anche bloccare riserve in metalli preziosi detenuti fuori dal paese, cosa che avrebbe rinforzato i propositi di diversi paesi con rapporti non ottimali con gli Stati Uniti a guardare altrove per le proprie riserve.
L’altra campana vedrebbe questo tipo di movimenti – uno spostamento progressivo verso l’oro – come conseguenza naturale anche delle difficoltà che le valute emergenti hanno mostrato nella fase di massima confusione post pandemica. Probabilmente la verità sta nel mezzo ed è anzi una combinazione dei due fattori. Per ora però la Cina, per due mesi consecutivi, sembrerebbe aver passato la mano, complici (questa volta a parlare World Gold Council a parlare) anche prezzi relativamente elevati per l’oro.
Una questione della quale si tornerà a parlare a breve
Della questione riserve in oro delle principali banche centrali si tornerà a parlare con ogni probabilità a breve. È una situazione in evoluzione, con un trend relativamente chiaro e che difficilmente si invertirà sul breve periodo, a meno di non vedere evoluzioni impossibili nel giro di poche settimane anche sul fronte geopolitico. È anche però importante guardare ai prezzi dell’oro, ai massimi storici, che certamente non invitano agli acquisti di breve periodo.
Oro che però conferma il suo status di asset di riserva storico, quando tutto il resto diventa poco percorribile o poco conveniente. Sul fatto che questo si traduca in una crisi dell’appetibilità dei bond federali degli Stati Uniti nutriamo però più di qualche dubbio. Perché se è vero che per l’oro si deve guardare ai dati, è altrettanto vero che si deve fare lo stesso anche per i bond USA, ancora molto appetibili per quanto potenzialmente arma nelle mani del nemico, almeno per chi è dall’altra parte della barricata.