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Compagnie aeree e hotel non approvano i cambiamenti di Google in UE: chiesto intervento sul DMA
Lo spazio sulla prima pagina di Google non è mai abbastanza: questo sembra essere il riassunto del tentativo dell’Unione Europea di migliorare l’esperienza dei consumatori che stanno pianificando un viaggio sui motori di ricerca. Dopo aver approvato il Digital Markets Act, un atto che cerca di favorire la concorrenza sui motori di ricerca, le grandi agenzie di viaggio online come Booking.com e Expedia hanno celebrato il risultato; si pensava che a perdere terreno sarebbe stato soltanto Google, mentre ormai è diventato chiaro che le compagnie aeree e gli hotel sono i primi a soffrire questi aggiornamenti. Ora i grandi gruppi del turismo stanno facendo lobby a Bruxelles per chiedere un nuovo intervento del regolatore europeo.
Negli ultimi anni, Google Maps e Google Voli sono diventati sempre più efficienti e sempre più capaci di aiutare gli utenti a organizzare i propri viaggi. Google ha iniziato a occupare una parte sempre più grande della prima pagina dei risultati di ricerca con questi servizi sviluppati in proprio, con l’obiettivo di aiutare le persone a confrontare meglio tutte le opzioni a disposizione per i loro voli e i loro pernottamenti. Questo ha causato la ribellione degli altri intermediari online, che hanno chiesto all’Europa di intervenire, portando al Digital Markets Act e ai risultati di esso che sono visibili ora sugli attuali risultati di ricerca. Compagnie aeree e hotel, però, ritengono di aver perso vendite dirette per colpa di questo aggiornamento.
Impossibile fare tutti contenti?
Il Digital Markets Act è stato pensato per favorire la concorrenza tra diversi intermediari come Google Flights, Expedia, Booking, Volagratis e così via. Essenzialmente i servizi di Alphabet hanno dovuto cedere spazio ad altre piattaforme per il confronto tra diverse offerte, ma questo non ha comunque permesso di ottenere una situazione favorevole per tutti. Infatti Google Flights e Google Maps permettono di confrontare tutti i prezzi e anche di prenotare direttamente dal venditore, senza trattenere nessuna commissione di intermediazione. Questo significa un servizio migliore per i clienti, pagando meno in commissioni e sapendo di star ottenendo realmente il miglior prezzo possibile sulle loro prenotazioni.
Ora che il DMA ha dato uno spazio maggiore alle altre piattaforme di prenotazione, gli hotel e le compagnie aeree si ritrovano a spendere di più in commissioni agli intermediari. Quello che queste aziende chiedono è di avere loro stesse uno spazio maggiore tra i risultati di Google, togliendolo alle agenzie di viaggio online. Per quanto possa sembrare un dettaglio, in un’epoca in cui tutti prenotano i loro viaggi su internet, la visibilità sulla prima pagina dei risultati di ricerca ha un fortissimo potere di spostare i flussi di denaro. L’impatto di un aggiornamento come il Digital Markets Act è di miliardi di euro sulla filiera del turismo.
Importante tutelare la concorrenza
Alcune delle compagnie aeree e delle catene di hotel più importanti d’Europa hanno firmato una lettera congiunta destinata a Margrethe Vestager, la presidente della commissione europea sulla gestione dell’antitrust. Si chiede all’UE anche di notare come il nuovo Digital Markets Act abbia effettivamente aumentato la quantità di commissioni che vanno verso le grandi agenzie di viaggio online degli Stati Uniti per ridurre invece le prenotazioni dirette presso le aziende europee. L’UE quest’anno ha già ottenuto un’importante vittoria contro Apple per democratizzare l’accesso alle app compatibili con iPhone: sembra che l’attività antitrust sia significativamente più alta in questo momento rispetto agli anni scorsi, per cui è possibile che la lettera riesca a sortire gli effetti desiderati.
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Fondo Monetario avvisa il Giappone: “Controllare il debito e stabilizzare inflazione al 2%”
Arriva il perentorio avviso del Fondo Monetario Internazionale riguardo la politica fiscale giapponese.
Krishna Srinivasan – che è a capo del Dipartimento Asia e Pacifico del Fondo Monetario Internazionale, è intervenuto sulla situazione debitoria del Giappone, invitando il paese del Sol Levante a iniziare a discutere di taglio dell’enorme mole di debito pubblico che attanaglia l’economia ormai da più di due decenni. Un intervento che arriva a poco dal fallimento politico del governo in carica, fallimento che è stato confermato dai risultati delle ultime elezioni nel paese. Elezioni dalle quali sono usciti equilibri che almeno per il momento sembrerebbero lasciare poco spazio a decisioni nette in campo fiscale e monetario.
Il canovaccio potrebbe essere quello di sempre: a fronte di maggioranze barcollanti potrebbe aumentare la spesa pubblica, favorendo politiche fiscali lassiste che – in una situazione come quella del Giappone – potrebbe facilmente dare spazio a ulteriori espansioni del debito pubblico. Una potenziale situazione che Srinivasan, a nome del Fondo Monetario Internazionale, vorrebbe certamente scongiurare.
Serve un piano credibile di medio termine
Il piano del Fondo Monetario Internazionale è chiaro: è stato richiesto al Giappone, tra le altre cose pubblicamente, un piano di medio termine che sia credibile in termini fiscali. In aggiunta, il FMI chiede la creazione di buffer che salvaguardino l’andamento dell’economia giapponese da un’eventuale crisi debitoria, tanto di breve quando di medio e lungo periodo.
Per quanto riguarda la politica monetaria, il FMI si aspetta che Bank of Japan favorisca il ritorno stabile ad un’inflazione intorno al 2%, che dovrebbe prevedere decisioni di breve periodo dettate dai dati e dalle effettive possibilità che le grandezze macro offriranno alla banca centrale. E, prima della chiusura, arriva la sconfessione di quanto BoJ racconta in termini di situazione dello yen: se da Tokyo continuano a puntare il dito verso non meglio precisati speculatori, il FMI ribadisce che anche la grande volatilità delle ultime settimane è in realtà frutto di questioni macro piuttosto credibili.
Breaking News
Thames Water: KKR potrebbe intervenire con 3 miliardi di sterline
KKR avrebbe manifestato interesse per un investimento di 3 miliardi in Thames Water. Manca però ok del regolatore.
Secondo indiscrezioni riportate Sky News UK, ci sarebbe la possibilità di ingresso di KKR nel capitale di Thames Water, utility londinese che è in crisi da tempo e che starebbe cercando di raccogliere capitale. L’impegno di KKR potrebbe arrivare fino a 3 miliardi di sterline tramite una vendita di azioni da parte del gruppo londinese che ha disperatamente bisogno di capitali freschi per far fronte a interventi strutturali ormai non più rimandabili.
Thames Water è la più grande utility del settore acqua del Regno Unito, con oltre 16 milioni di utenti serviti sia a Londra sia fuori dalla capitale del Regno Unito. Il gruppo aveva già annunciato a ottobre una linea di credito da 3 miliardi di sterline da una parte dei suoi creditori. Capitali che renderebbero possibile per l’utility mantenere gli attuali livelli operativi almeno per un altro anno. Sempre secondo quanto è stato riportato da Sky News, l’interesse di KKR sarebbe all’interno di un gruppo invero ristretto di possibili investitori.
Si attende intervento del regolatore
In realtà a impedire per ora l’impegno sarebbe la necessità di attendere una decisione da parte di Ofwat, regolatore nazionale del mercato dell’acqua. La decisione dovrebbe arrivare però entro gennaio – a patto che si possa superare la presenza di KKR in Northumbrain Water che ammonta al 25% totale del capitale dell’azienda sopracitata. Un ostacolo che secondo i bene informati sarà il motivo principale di discussione ai piani alti dell’autorità di regolamentazione del settore.
Nel frattempo il governo britannico starebbe seguendo da vicino la vicenda, dato il rischio concreto per Thames Water di fallire, trascinando nel caos la gestione di utility fondamentali per 16 milioni di persone. Il collasso economico del gruppo sarebbe comunque rimandato anche senza l’intervento di KKR, intervento che però – se dovesse essere approvato – permetterebbe al gruppo di intervenire anche a livello infrastrutturale in un piano di risanamento che renderebbe possibile il recupero di una situazione finanziaria e patrimoniale più sana. Non mancano dunque le preoccupazioni per un governo Starmer che si sta giovando però di un momento particolarmente felice per l’economia britannica.
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Walt Disney punta sull’intelligenza artificiale e costituisce un gruppo ad hoc
Per crescere è necessario puntare all’intelligenza artificiale. Per questo Walt Disney ha deciso di creare una divisione apposita per sfruttarla al massimo.
Walt Disney scommette sull’intelligenza artificiale. L’azienda sta formando un nuovo gruppo per coordinare l’uso delle tecnologie emergenti – tra le quali rientrano l’AI e la realtà mista -, in modo da poter esplorare il loro uso all’interno delle divisioni di cinema, televisione e parchi a tema.
A guidare il nuovo Office of Technology Enablement sarà Jamie Voris, che in passato, in qualità di chief technology officer di Walt Disney, ha lavorato allo sviluppo dell’app Disney per il dispositivo di realtà mista Apple Vision Pro. A prendere il posto di Voris come CTO ci sarà Eddie Drake.
Alan Bergman, copresidente della Disney Entertainment, ha spiegato che il ritmo e la portata dei progressi nell’IA e della realtà estesa (XR) sono profondi e continueranno ad avere un impatto sulle esperienze dei consumatori, sugli sforzi creativi e sulle attività per gli anni a venire, rendendo fondamentale che Disney esplori le entusiasmanti opportunità e affronti i potenziali rischi. Bergman sottolinea come la creazione di questo gruppo sottolinei la volontà di farlo.
Walt Disney, un gruppo per l’intelligenza artificiale
La nuova unità che verrà istituita all’interno di Walt Disney si concentrerà su alcune aree tecnologiche in rapida evoluzione, come l’intelligenza artificiale e la realtà mista, che fonde i mondi fisico e digitale. Il compito della nuova divisione non si focalizzerà unicamente su singoli lavori, ma cercherà di fare in modo che i progetti di tutta l’azienda si adattino alla sua strategia più ampia.
L’Office of Technology Enablement, che viene lanciato con un team di leadership principale, dovrebbe crescere fino a circa 100 dipendenti.
Varie divisioni all’interno della Disney stanno esplorando applicazioni per la realtà aumentata, che colloca elementi digitali nel mondo reale; la realtà virtuale, che immerge l’utente in un ambiente simulato; e la realtà mista, che combina entrambi. Disney ha costruito competenze in tutta l’organizzazione per capitalizzare la tecnologia emergente.
Ad esempio, Kyle Laughlin, un veterano dell’azienda con un background in realtà aumentata e virtuale e intelligenza artificiale, è tornato in azienda a marzo come vicepresidente senior di ricerca e sviluppo per Walt Disney Imagineering, la forza creativa dietro le attrazioni del parco a tema del gruppo.
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Warren Buffett cede 100 milioni di azioni Apple
Warren Buffett ha ceduto qualcosa come 100 milioni di azioni Apple. Al momento Berkshire Hathaway ha una liquidità record di 325,2 miliardi di dollari.
Warren Buffett continua con il piano delle dismissioni delle partecipazioni detenute da Berkshire Hathaway. La holding, infatti, ha ridotto la partecipazione in Apple e ha aumentato ulteriormente la propria liquidità, che adesso è arrivata al livello record di 325,2 miliardi di dollari.
Da segnalare, ad ogni modo, che Berkshire Hathaway ha registrato un calo del 6% dell’utile operativo, dovuto in gran parte all’aumento delle passività assicurative, tra cui quelle per l’uragano Helene, e alle perdite valutarie dovute al rafforzamento del dollaro statunitense. I numeri sono stati negativi nonostante la migliore redditività della compagnia assicurativa per auto Geico, dove le richieste di risarcimento sono diminuite e le spese determinate dagli incidenti sono risultate essere in calo. Buone notizie anche dal fronte della ferrovia BNSF, i cui profitti sono aumentati e da Berkshire Hathaway Energy, dove le spese operative sono diminuite.
La società guidata da Warren Buffett ha comunicato di aver ceduto 100 milioni di azioni Apple, pari al 25% dei titoli che aveva in portafoglio durante l’estate. In questo momento in portafoglio la holding ha 300 milioni di titoli. Complessivamente Buffett ha ceduto 600 milioni di azioni della società che produce gli iPhone: continua, ad ogni modo, ad essere la più grande partecipazione azionaria di Berkshire Hathaway.
Le altre cessioni effettuate da Warren Buffet
Tra le cessioni che Warren Buffett ha effettuato era compresa anche un’ampia partecipazione in Bank of America.
Nel corso del mese di maggio Buffett aveva spiegato che si aspettava che Apple potesse rimanere il più importante investimento di Berkshire Hathaway: la vendita ha una motivazione fiscale. L’aliquota fiscale del 21% sui guadagni, con ogni probabilità, è destinata ad aumentare.
L’utile operativo delle aziende che fanno capo alla holfing guidata da Buffett è sceso a 10,09 miliardi di dollari, o circa 7.019 dollari per azione di classe A, dai 10,76 miliardi di dollari dell’anno precedente.
L’utile della sottoscrizione assicurativa è diminuito del 69%, ammaccato dall’aumento dei reclami, dai 565 milioni di dollari di perdite da parte di Helene e da un accordo giudiziario fallimentare relativo all’ormai chiuso fornitore di talco Whittaker Clark & Daniels.
Questo ha più che compensato un quasi raddoppio del profitto di sottoscrizione a Geico.
Berkshire ha anche proiettato da 1,3 miliardi di dollari a 1,5 miliardi di dollari di perdite al lordo delle imposte nel quarto trimestre a causa dell’uragano Milton, che ha colpito la Florida in ottobre.
L’utile netto è stato di 26,25 miliardi di dollari, o 18.272 dollari per azione di classe A, rispetto a una perdita di 12,77 miliardi di dollari, o 8.824 dollari per azione, di un anno prima, quando il calo dei prezzi delle azioni ha ridotto il valore degli investimenti di Berkshire.
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Stranieri, sono aumentate del 29,5% le imprese alla cui guida ci sono loro
Aumentano gli stranieri alla guida delle imprese italiani. Scommettono sull’autoimprenditorialità, in un contesto difficile.
Solo gli stranieri, in Italia, riescono ad aprire un’attività imprenditoriale. O almeno sono la stragrande maggioranza. Nel corso degli ultimi dieci anni sono aumentate del 29,5% le imprese alla cui guida c’è un titolare nato all’estero. In valore assoluto stiamo parlando di 133.734 attività in più. Quelle che fanno riferimento ad un imprenditore italiano, invece, sono scese del 4,7%, pari a 222.241 imprese in meno.
Complessivamente, nel nostro paese, ci sono qualcosa come 5.097.617 aziende attive, di queste 586.584 – pari all’11,5% del totale nazionale – sono a conduzione straniera. Questi, sostanzialmente, sono i dati messi in evidenza dalla Cgia di Mestre.
Stranieri alla guida di un’impresa, quanto incide il calo demografico
A condizionare il risultato, indubbiamente, è il trend demografico che sta condizionando l’Italia nel corso degli ultimi anni. Ma non solo: gli imprenditori hanno a che fare quotidianamento con:
- tasse;
- burocrazia;
- caro bollette;
- costo degli affitti.
A cui si deve aggiungere un senso di perenne precarietà, che condiziona trasversalmente i titolari di partita Iva, indipendentemente dalla grandezza dell’attività. L’intrecciarsi di queste situazioni hanno smorzato la voglia di molti italiani di affermarsi nel mondo del lavoro attraverso l’autoimprenditorialità.
Un’occasione che invece gli stranieri non si stanno lasciando sfuggire. Per accorgersi di questo cambio di paradigma basta fare una passeggiata per le nostre città. È facile accorgersi che nei bazar, nei banchi dei mercati rionali, in molti negozi di alimentari e nei bar e ristoranti è facile trovare la presenza degli stranieri. Come proprietari, non solo come dipendenti.
Stessa situazione la si può trovare anche nei cantieri edili e in alcuni settori manifatturieri, dove la presenza di stranieri è sempre più diffusa.
Solo per avere un’idea di quanto sta accadendo in Italia, basti pensare che nel corso del decennio compreso tra il 2013 e il 2023, nelle 105 province monitorate, solo in sette è aumentato, in termini assoluti, il numero degli imprenditori italiani rispetto a quelli stranieri.
Le realtà geografiche in cui gli stranieri con partita Iva sono cresciuti meno dei colleghi italiani sono tutte ubicate nel Sud Italia:
- Catania;
- Messina;
- Cosenza;
- Siracusa;
- Nuoro;
- Vibo Valentia;
- Palermo.
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