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I mercati non credono a BCE. Prezzati tagli 75 bps nel 2024
Nessuno crede a Christine Lagarde e BCE. O quantomeno non ci credono i mercati, che ritengono che alle dichiarazioni hawkish della massima carica di Francoforte corrisponderà un nulla di fatto. In caso di necessità, sempre secondo i messaggi in codice mandati dai mercati, BCE sarà pronta a tagliare i tassi a sostegno di un’economia con evidenti crepe. Crepe che sembrano già presenti a Berlino e che, come caso di scuola, potrebbero estendersi al resto dell’Unione
Mentre Lagarde appariva davanti al microfono risoluta e pronta a una stagione di lacrime e sangue sul fronte monetario, i mercati continuavano a vendere l’Euro, interpretando le parole della governatrice come un chiaro segnale di un atteggiamento hawkish soltanto di facciata. Tutto questo nello stupore della stessa Lagarde, che ha sottolineato ai giornalisti come in realtà certe parole – tagli & co. – non siano mai state pronunciate.
Ipotesi A: i mercati si sbagliano
I mercati non sono infallibili e peccano spesso di eccessivo ottimismo. Ne è una prova, di tale ottimismo, la performance dei mercati tra sessione asiatica e sessione europea, innescata da dati sì positivi, ma non accompagnati da conferme dello stesso segno. Una delle ipotesi sul tavolo è dunque un errore dei mercati, che starebbero valutando in modo eccessivamente ottimistico le prossime intenzioni di BCE, prezzando un taglio fino a 75 punti base nel 2024, con partenza preventivata già a giugno.
Ipotesi, quella dell’errore dei mercati, appetibile per chi ritiene che BCE abbia finalmente imparato a dare segnali chiari e a mantenere la parola data, nonostante una situazione economica che presto potrebbe farsi più che turbolenta.
Ipotesi B: Francoforte ha un problema di credibilità
I governatori delle banche centrali sanno bene che l’effetto annuncio è uno strumento di politica monetaria che talvolta aiuta a non dover passare alle maniere forti. Tuttavia, almeno a guardare i movimenti dell’euro successivamente al rialzo dei tassi annunciato giovedì 14 settembre – e al duro discorso di Lagarde – non sembra abbia sortito gli effetti sperati.
La Christine Lagarde che preoccupata dice ai giornalisti di non aver neanche paventato l’ipotesi di tagli è forse segno dell’incertezza stessa sul potenziale effetto annuncio che alberga anche ai piani più alti dell’istituto di Francoforte.
Per dirla in modo più crudo, c’è un problema di credibilità per BCE che da un lato rende difficile cavalcare l’effetto annuncio e dall’altro alimenta entusiasmi dei mercati che potrebbero rivelarsi essere del tutto ingiustificati.
È scontro tra mercati e BCE
Quello che è chiaro – poco in verità – per ora è che i mercati hanno lanciato la sfida a BCE e che non sembrerebbero aver nessuna intenzione di arrendersi senza combattere. L’entusiasmo potrebbe continuare a dominare i mercati del dollaro, e anche le principali piazze azionarie del continente.
La situazione che si è creata giovedì passerà certamente agli annali: mentre giovedì BCE annunciava un rialzo dei tassi con Fed che invece rimarrà al palo, EUR ha continuato a perdere terreno nei confronti del dollaro. Segno, questo, che è il problema di credibilità esiste e che questo potrebbe essere un problema, perché la seconda delle ipotesi certamente non esclude la prima.
I mercati potrebbero aver preso una proverbiale cantonata, della quale questa volta non si potrà incolpare BCE (come negli errori nel 2022 nello stimare la forza dell’inflazione). A meno che non si ritenga Francoforte responsabile del deficit di credibilità che la attanaglia.
Per quanto riguarda invece la possibilità di un ulteriore rialzo per i tassi entro fine anno, questo non inficerebbe comunque le previsioni – salde – dei mercati. Il sufficientemente a lungo di Lagarde non andrà oltre il primo semestre del 2024.
Investimenti
Donald Trump minaccia i BRICS: pronti dazi del 100% se attaccheranno il dollaro
Donald Trump torna su dazi e minaccia di nuovo i BRICS. Niente accesso agli USA se…
Continuano le discussioni sui dazi negli Stati Uniti, dazi che dovranno arrivare – almeno secondo programmi – dopo il giuramento del futuro presidente Donald Trump, il prossimo 20 gennaio. Dazi che hanno già fatto discutere per quanto riguarda gli alleati storici degli Stati Uniti e che però potrebbero farsi molto più seri nei confronti dei BRICS, o meglio, dei paesi che amano maggiormente un consesso di paesi non allineati e del quale si parla con sempre maggiore insistenza. Secondo quanto affermato da Donald Trump direttamente sul social Truth, il governo USA potrà imporre dazi del 100% sui paesi BRICS che proveranno a attaccare il dollaro USA.
Secondo quanto è stato riportato da Yahoo Finance, il messaggio sarebbe stato indirizzato a tutti i principali membri dei BRICS, tra i quali figurano non solo la Russia, ma anche Brasile, India, Cina, Iran, Emirati, Egitto e Etiopia. Un consesso che presto potrebbe allargarsi e che potrebbe vedere anche l’ingresso di un alleato storico, ovvero la Repubblica di Turchia. Non è chiaro però a quali manovre per minare la supremazia del dollaro faccia riferimento Donald Trump.
Una questione emersa già in campagna elettorale
Una difesa del dollaro – costi quel che costi – era già venuta fuori durante la campagna elettorale che ha portato Donald Trump alla Casa Bianca. Questa volta però ha preso la forma di un avviso a mezzo social, che afferma che se BRICS cercherà di creare una valuta o di supportarne altre per rimpiazzare il dollaro, si vedranno negare l’accesso ai mercati USA, con dazi del 100%.
La questione è di massimo interesse politico, dato che recentemente anche Vladimir Putin si era espresso sul tema, dicendo che l’interesse nella ricerca di alternative era dettato principalmente dal controllo politico della valuta che è ad oggi ancora riserva mondiale e – soprattutto – anima principale del commercio su scala internazionale.
Trump si è dimostrato comunque in più occasioni piuttosto convinto della capacità del dollaro di preservare il suo primato. E, a quanto parrebbe dopo il post di oggi, sarebbe pronto a qualunque cosa (o quasi) affinché tale minaccia non prenda forma.
Investimenti
Germania: 2 miliardi di euro per l’industria dei chip. Arriva il piano del governo
Arrivano i sussidi in Germania per l’industria dei chip. 2 miliardi sul tavolo.
La via europea ai chip passerà per un vecchio pallino della politica industriale dell’unione: gli incentivi. Secondo quanto è stato riportato da Bloomberg News, al fine di colmare il gap tanto con gli USA quanto con l’Asia, la Germania starebbe preparando un piano di almeno 2 miliardi di dollari in sussidi per favorire l’industria dei semiconduttori nel paese. Per ora però dal Ministero delle Finanze tedesco non arrivano conferme, per un tema che lo scorso anno era diventato più che politico a causa di una querelle riguardante gli investimenti di Intel nella Repubblica Federale.
Se tanti brinderanno ad un piano relativamente ambizioso, altri certamente contesteranno una politica di incentivi che su altri settori ha fallito, in particolare quello legato al mondo EV e delle energie pulite, per un’Europa che ormai discute incessantemente di misure per far riprendere la crescita e l’innovazione nel mercato comune. Innovazione e crescita che sono diventate, nel corso degli ultimi anni, sempre di più un miraggio, soprattutto nei settori a più alto margine e valore aggiunto.
2 miliardi per colmare il gap
Non è chiaro se si tratterebbe per il momento di un primo tentativo di sussidio all’interno di un programma più ampio, oppure di una mossa una tantum. Per avere un metro di paragone, il governo degli Stati Uniti ha assegnato a TMSC la scorsa settimana 6,5 miliardi di dollari di sussidio, all’interno di un programma di inshoring delle industrie ritenute strategiche.
Nel complesso il solo sito in Arizona di TMSC ha comportato spese per 65 miliardi di dollari, ovvero di circa 30 volte i sussidi che la Germania sarebbe pronta a mettere in campo.
L’unica conferma che arriva dal Ministero delle Finanze tedesco è che si tratta, citiamo testualmente, di un investimento in singola cifra sulla parte bassa (calcolata in miliardi). Difficilmente si tratterà di cifre più elevate. Al centro delle proposte che saranno ricevute, ci sarà la sostenibilità della stessa industria, altro tema che si è fatto in queste settimane molto scottante ai massimi livelli della discussione politica europea.
Investimenti
Dal FOMC poche sorprese: Federal Reserve delinea una strada possibile per i 25 punti base a dicembre
Dai verbali del FOMC non vengono fuori grandi sorprese. Mercati immobili, tranne quello delle criptovalute.
I verbali del FOMC, la riunione di Federal Reserve che si occupa (anche) di tassi di interesse, non hanno riservato grandi sorprese. La più potente delle riunioni monetarie globali aspetterà altri dati dall’andamento dei prezzi prima di prendere ulteriori decisioni. Le proiezioni rimangono grossomodo vicine a quelle del meeting precedente, con l’aspettativa concreta di vedere un rallentamento di tutti i principali indicatori dei prezzi. Atteggiamento simile alla precedente riunione anche per quanto riguarda invece il mercato del lavoro. Un suo ulteriore rallentamento avrebbe un impatto certo sull’andamento dell’economia, comandando in quel caso un’accelerazione del percorso di tagli.
La grande incognita però riguarda il tasso di interesse neutrale: i falchi in seno a Federal Reserve continuano a ripetere che per questo ciclo saranno più alti del solito, cosa però incerta data l’incertezza dei modelli che vengono utilizzati per misurarli. L’indicarli come più alti è funzionale ad un percorso di riduzione dei tassi più lento. I mercati non hanno reagito granché alla notizia, con il grosso nervosismo che si nota solo sul fronte delle criptovalute, con Bitcoin che si trova a correggere complessivamente dai massimi vicino ai 100.000$ ai 91.500$ di oggi.
Ancora grande incertezza per il FOMC
Sarà ancora un FOMC data driven quello del 18 dicembre. E per il 18 dicembre i mercati continuano con un rapporto 60/40 sì tagli, no tagli, che è fondamentalmente immutato ormai da qualche giorno. Secondo le precedenti proiezioni del FOMC, quelle del dot plot di settembre, ci dovrebbe essere un altro taglio. Ma sia la resilienza del mondo del lavoro, sia invece una certa persistenza dell’inflazione sembrerebbero mettere in dubbio il percorso.
Saranno fondamentali i dati in arrivo il 27 novembre, alle 14:30, per il PCE, uno degli indicatori ritenuti più utili da Federal Reserve e in particolare da Jerome Powell per rendersi conto di come stiano andando i mercati.
Investimenti
Borse pimpanti per nomina di Scott Bessent, poi correggono. Male Bitcoin, sotto i 95.000$. La settimana del Black Friday si conferma…
…una settimana fatta anche di assurdità sui mercati risk on. A fondo il petrolio, che paga l’aria di cessate il fuoco in Medio Oriente.
Una giornata coi fiocchi quella che da il benvenuto al nuovo Segretario del Tesoro degli Stati Uniti, Scott Bessent. La scelta di Donald Trump piace ai mercati, con SPX500 che supera i 6.000 in apertura, salvo poi correggere all’interno di una giornata dal gusto dolce-amaro per i principali asset di rischio. Notevole anche la performance di Bitcoin, che perde il supporto dei 95.000$, correggendo dopo essere stato per giorni ad un passo dalla soglia psicologica dei 100.000$.
Una giornata di quelle da ricordare presso le principali piazze finanziarie internazionali, complici diverse evoluzioni che hanno contribuito ad un indebolimento del dollaro. Male anche il petrolio, che lascia oltre il 3% sui mercati e chiude sotto i 70$, complice un avvicinamento tra Israele e Hamas in termini di una possibile soluzione del conflitto, con un raggiungimento del cessate il fuoco che sembrerebbe essere di nuovo sul tavolo.
Arriva Scott Bessent: i mercati reagiscono a modo loro
L’entusiasmo c’è stato, ed è stato però limitato alla prima sessione della seduta americana, che ha visto un impennata dei principali indici, trascinati principalmente da aziende che hanno una parte rilevante del loro business all’interno dei confini degli Stati Uniti. La scelta di Scott Bessent, navigato operatore nel mondo dei fondi hedge, sembrerebbe essere piaciuta ai mercati di rischio, che però poi hanno corretto trascinandosi dietro i più estesi degli asset di questa categoria. Su tutti Bitcoin, che chiude una giornata forse non da incubo, ma comunque di importante correzione sotto quota 95.000$.
Il tutto all’interno di una settimana storicamente particolare per i mercati USA: è la settimana infatti del Ringraziamento (che vedrà le borse chiuse giovedì) e del Black Friday, tra le altre cose di un anno elettorale. Manca comunque poco alla configurazione finale del governo Trump, che darà forse, almeno a livello di promesse elettorali, una prima direzione ai mercati. Con un occhio vigile sempre sui dati della settimana, che saranno dominati dal PCE, ritenuto un indicatore di enorme importanza da parte di Federal Reserve.
Investimenti
Indagine di Fed: mercati temono recessione più di inflazione. Timore per i dazi di Donald Trump e per spesa pubblica
Secondo una recente indagine di Federal Reserve, l’inflazione non sarebbe più una preoccupazione, almeno per i professionisti della finanza. A preoccupare maggiormente ci sono gli effetti che la vittoria di Trump avrà sul debito pubblico, insieme a preoccupazioni per una recessione e anche per limitazioni al commercio globale. La prima e la terza, senza dubbio alcuno, sono legate al prossimo ciclo politico degli USA, che sarà governato da un presidente che ha promesso dazi importanti verso i paesi non allineati e anche verso quelli allineati che non riconosceranno la supremazia del dollaro.
Sul debito pubblico in crescita, ci saranno invece da valutare gli impegni, per ora solo di propositi, sulla riduzione considerevole delle agenzie federali e conseguentemente della spesa pubblica. Si tratta di DOGE, il dipartimento guidato da Elon Musk e Vivek Ramaswamy, i cui esiti per il momento però non possono che essere incerti.
Addio preoccupazioni per l’inflazione, benvenute preoccupazioni per la recessione
In realtà sono preoccupazioni che albergano sui mercati – e che sono parzialmente riflesse nel mercato dei bond – ormai da qualche settimana. L’atteggiamento più hawkish in pubblico di Jerome Powell non sembrerebbe aver tolto dalla mente dei mercati che ora il rischio è quello di essere in ritardo sul ciclo e di arrivare con tassi troppo alti (e superiori al tasso neutrale). Tassi troppo alti che finirebbero per favorire un trend di rallentamento atteso per l’economia USA e più in generale per l’economia a livello mondiale.
A esacerbare il rischio recessione, i dazi di Trump: un rallentamento considerevole dei commerci internazionali avrebbe, secondo gli specialisti, un effetto recessivo importante su tutte le principali economie. Siamo però ancora nel campo delle ipotesi. Chi ha una certa esperienza delle cose dei mercati e di quelle politiche non potrà che ricordarsi di quanto, in passato, le promesse elettorali siano state poi diverse dalla realtà.
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