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Il messaggio degli USA aiuta gli short sullo yen. Giappone ancora in difficoltà. Riparte il trend bullish per USD?

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Yen vs USD

I dati sul mercato del lavoro USA avevano dato una mano, dopo due (supposti) interventi direttamente di Bank of Japan. Come sospettavano però diversi analisti e come si sospettava anche su queste pagine, in realtà il differenziale tra i tassi USA e quelli del Giappone sarebbe presto tornato a indirizzare i mercati. È una sessione forse non pessima, ma comunque non positiva per lo yen nei confronti del dollaro, che nel momento peggiore della sessione ha perso lo 0,5%, cancellando appunto parte dei gain di venerdì. Una situazione che continua a essere quella maggiormente interessante per gli investitori nel mercato del Forex, anche per il suo ruolo di proxy rispetto a quanto accadrà certamente anche altrove.

Nel weekend in aggiunta è arrivato il messaggio di Janet Yellen, plenipotenziaria al tesoro, che ha avvisato sul fatto che certi interventi a mercato delle banche centrali sono poco graditi anche all’interno del G7, esistendo una sorta di tacito accordo affinché siano i mercati, in qualunque circostanza o quasi, a stabilire il cambio corretto. E ora il sentiment bearish sullo yen si rinforza: in molti ritengono che si potrebbe presto testare di nuovo il livello dei 160, dato che i fondamentali – al netto degli interventi di BoJ – non sembrerebbero essere cambiati di una virgola.

Il dollaro USA ancora forte contro lo yen

Yen ancora bearish: persi i gain di venerdì. Quando il retest dei 160?

La situazione è di quelle apparentemente complicate, ma al tempo stesso da manuale di macroeconomia. Nonostante i due supposti interventi di Bank of Japan e nonostante dati sul mercato del lavoro USA che hanno lasciato intendere un futuro delle politiche monetarie USA – lo yen torna a navigare in acque parecchio agitate. Acque che non lasciano presupporre nulla di buono e che per molti allocatori potrebbero trasformarsi presto in acque tempestose. Questo non appena ci si è lasciati alle spalle una settimana che aveva visto il ritorno sui mercati, per quanto non commentato e non confermato, di BoJ.

La possibilità di Bank of Japan di intervenire ulteriormente e senza preavviso non spaventa più gli short. Anzi, questi ultimi hanno trovato maggiore sicurezza dopo l’intervento di Janet Yellen, che pur non commentando direttamente sugli eventuali interventi di Bank of Japan, ha confermato di non vedere di buon grado interventi a mercato delle banche centrali. I mercati, d’altronde, esistono anche per la price discovery, e in assenza di fondamentali per un rimbalzo, è giusto che prezzino lo yen in discesa.

Sono in molti ora a puntare su un pronto re-test dei 160 dello yen nei confronti del dollaro USA, per quanto ci si aggiri ancora intorno ai 153 e dunque ad una certa distanza da quello che è il nuovo… livello di guardia.

Yen down
USD/JPY rimane la coppia da seguire

Spazio per un rimbalzo del dollaro?

La situazione è diversa per tipo, ma simile in via generale, per l’euro. Le condizioni economiche dell’area chiedono a gran voce un intervento della Banca Centrale Europea per tagliare i tassi, cosa che aumenterà il differenziale con Washington e che potrebbe appunto offrire nuovo carburante a Washington per una nuova corsa del dollaro.

Sembra passata un’era geologica rispetto a fine 2023, quando era letteralmente impossibile trovare qualcuno disposto a andare long sul dollaro. Dopo il rallentamento di questa settimana, si potrebbe però tornare al trend di tutto il 2024, ovvero il trend di un dollaro forte, termometro di difficoltà importanti per quanto riguarda… l’inflazione. Fino a metà mese però non avremo dati in questo senso – e i mercati lavoreranno con quanto è possibile: una Bank of Japan con sempre meno spazio e una BCE ormai costretta a muoversi prima di Federal Reserve. Con questi dadi sul tavolo, è difficile pensare a un indebolimento di USD.

Analista economico dal 2009. Collabora con TradingOnline.com offrendo analisi su Forex, Macroeconomia e Azioni, con un occhio vigile sui mercati emergenti come Turchia, Brasile, Indonesia e Cina. Gianluca Grossi è anche caporedattore per la nota testata giornalistica Criptovaluta.it, quotidiano dedicato al mondo Crypto e Bitcoin ed è anche analista per Criptovaluta.it® Magazine, il settimanale della medesima organizzazione. Segue da vicino il mercato ETF, in particolare sulla piazza di New York.

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Apple bannata dall’Indonesia: non può vendere l’iPhone 16

L’Indonesia ha messo alla porta Apple: non potrà vendere l’iPhone 16 perché non rispetta la normativa locale.

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Apple non può vendere in Indonesia l'iPhone 16

Apple è stata sostanzialmente bannata dall’Indonesia, dove non potrà più vendere l’iPhone 16. Il gigante della tecnologia è accusata di non rispettare le norme del Paese sull’uso di componenti realizzati localmente.

Una particolare norma prevede che alcuni smartphone venduti nel mercato indonesiano contengano almeno il 40% di parti prodotte localmente. Apple, con iPhone 16, non ha rispettato questo requisito. A ribadirlo è Febri Hendri Antoni Arief, portavoce del Ministero dell’Industria.

Febri Hendri Antoni Arief ha spiegato che gli hardware dell’iPhone 16 importati non possono essere commercializzati nel Paese, perché Apple Indonesia non ha rispettato il suo impegno di investimento per ottenere una certificazione per i contenuti locali. Ad ogni modo i telefoni possono essere importati dall’estero per uso personale, a condizione che gli utenti paghino le tasse necessarie.

Apple non ha risposto immediatamente alla richiesta di commento.

I problemi di Apple in Indonesia

Apple ha lanciato l’iPhone 16 in Indonesia per la prima volta a settembre. Stando ai dati resi noti dalla società di ricerca IDC, i due principali produttori di smartphone nel primo trimestre del 2024 nel Paese sono stati la società cinese OPPO e la società sudcoreana Samsung.

L’Indonesia ha una popolazione enorme ed esperta di tecnologia, il che rende la nazione del sud-est asiatico un mercato di riferimento fondamentale per gli investimenti legati alla tecnologia.

Durante una visita in Indonesia avvenuta lo scorso aprile di Tim Cook, amministratore delegato di Apple, il ministro dell’Industria indonesiano, Agus Gumiwang Kartasasmita, ha affermato di sperare che il colosso della tecnologia incrementasse i suoi contenuti locali stringendo partnership con aziende nazionali.

Solitamente le aziende aumentano la domanda nazionale tramite partnership locali o reperendo componenti a livello nazionale.

Apple non ha stabilimenti di produzione in Indonesia, ma dal 2018 ha avviato delle accademie per sviluppatori di app, che, inclusa la nuova accademia, hanno un costo complessivo di 1,6 trilioni di rupie (101,8 milioni di dollari).

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Volkswagen chiude tre stabilimenti in Germania. Il colpo di grazia all’economia del Paese

Volkswagen ha intenzione di chiudere tre stabilimenti in Germania e licenziare decine di migliaia di dipendenti. Dando un ulteriore colpo all’economia tedesca.

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Volkswagen chiude tre stabilimenti in Germania. Il colpo di grazia all'economia del Paese

Chiudere tre stabilimenti in Germania e licenziare decine di migliaia di dipendenti: questo è il programma lacrime e sangue di Volkswagen, che ha anche intenzione di ridurre gli stabilimenti rimanenti. Siamo davanti ad una delle più importanti ristrutturazioni aziendali mai viste.

Sono settimane, infatti, che Volkswagen sta negoziando con i sindacati sui piani per rinnovare la propria attività e tagliare il più possibile i costi. Per la prima volta il colosso automobilistico ha anche allo studio la chiusura di alcuni stabilimenti in patria. E proprio oggi Volkswagen ha ribadito che la ristrutturazione è necessaria e ha anticipato che presenterà delle proposte concrete il prossimo 30 ottobre 2024.

Ma cerchiamo di capire cosa sta accadendo.

Volkswagen chiuderà tre stabilimenti in Germania

L’obiettivo di Volkswagen è quello di ridurre i costi e tagliare il personale. Daniela Cavallo, capo del consiglio di fabbrica del gruppo automobilistico, ha spiegato che il management, su questo punto, è assolutamente serio

Cavallo ha spiegato che il più importante gruppo industriale tedesco ha deciso di avviare la svendita del suo paese d’origine: la Germania. Al momento non è stato specificato quali stabilimenti siano interessati dalle chiusure o quanti dei 300.000 dipendenti dell’azienda in Germania corrono il rischio di essere licenziati.

Volkswagen ha in programma di tagliare gli stipendi degli addetti al brand del 10% e di congelare le retribuzioni nel 2025 e nel 2026. Oggi migliaia di persone si sono radunate a Wolfsburg, dove l’azienda ha sede da quasi nove decenni: a suon di corni e fischietti i lavoratori hanno insistito perché nessuno stabilimento chiudesse.

Il conflitto tra i lavoratori e la dirigenza Volkswagen sta crescendo di settimana in settimana. L’azienda deve affrontare le forti pressioni determinate dagli elevati costi dell’energia e della manodopera, dalla forte concorrenza proveniente dall’Asia. Ma soprattutto paga dazio all’indebolimento della domanda in Europa e in Cina e si ritrova a gestire una transizione elettrica più lenta del previsto.

In questo contesto l’intervento del governo tedesco è importante: serve, infatti, un’azione per rilanciare l’economia, che, per il secondo anno consecutivo, potrebbe essere nuovamente in contrazione. A rendere difficile il lavoro delle istituzioni è la posizione del cancelliere Olaf Scholz, che è indietro nei sondaggi con le elezioni federali previste per il 2024.

In una nota Volkswagen ha anticipato che avrebbe avanzato delle proposte per ridurre i costi del lavoro mercoledì, quando dirigenti e lavoratori si incontreranno.

Gunnar Kilian, membro del consiglio di amministrazione del Gruppo Volkswagen, ha spiegato che la situazione è seria e la responsabilità dei partner negoziali è enorme. Senza misure globali per recuperare competitività, il gruppo automobilistico non sarà in grado di effettuare investimenti essenziali in futuro.

Thomas Schaefer, a capo della divisione del marchio Volkswagen, ha affermato che gli stabilimenti tedeschi non sono sufficientemente produttivi e operano al 25-50% in più rispetto ai costi previsti, il che significa che alcuni siti sono due volte più costosi rispetto alla concorrenza.

Le aspettative del mercato su Volkswagen

Dopo l’annuncio, le azioni di Volkswagen sono scese dell’1%, mentre nel corso degli ultimi cinque anni hanno perso il 44%.

Daniel Schwarz, analista di Stifel, spiega che i piani vanno ben oltre le aspettative del mercato. Schwarz ritiene che questo rifletta una combinazione unica di fattori sfavorevoli: concorrenza in Cina, indebolimento della domanda in Europa, in particolare per i BEV (veicoli elettrici alimentati a batteria), regolamentazione più severa.

I sindacati hanno un’influenza immensa alla VW, dove i rappresentanti dei lavoratori detengono metà dei seggi nel consiglio di sorveglianza e sono, in teoria, legalmente autorizzati a indire scioperi a partire dal 1° dicembre come strumento per inasprire ulteriormente il conflitto.

La situazione della Volkswagen riflette una tendenza più ampia nella terza economia mondiale, la cui supremazia è messa in discussione da rivali più agili e più economici in settori chiave, tra cui l’industria automobilistica, la sua spina dorsale industriale.

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Pensioni novembre 2024, quando verranno messe in pagamento

Ecco il calendario completo del pagamento delle pensioni nel corso del mese di novembre 2024. Questa volta il saldo avverrà leggermente in ritardo.

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Pensioni novembre 2024, quando verranno messe in pagamento

A novembre le pensioni verranno pagate leggermente in ritardo rispetto agli altri mesi. Il primo giorno del mese è un venerdì ed è festivo. Questo farà slittare l’accredito della pensione di qualche giorno: il bonifico arriverà il 4 novembre, il primo giorno bancabile disponibile.

Discorso diverso, invece, per chi andrà a riscuotere l’assegno previdenziale direttamente presso gli uffici postali: in questo caso il primo giorno nel quale è possibile ricevere quanto spetta è sabato 2 novembre. È necessairo, però, rispettare il calendario predisposto da Poste italiane.  

Ma vediamo nel dettaglio quando verranno messe in pagamento le pensioni nel corso del mese di novembre.

Pensioni, quando verranno messe in pagamento a novembre

Il 1° novembre 2024 è una giornata festiva, oltre ad essere un venerdì. Questo fa slittare al 2 novembre il primo giorno bancabile per l’erogazione delle pensioni presso Poste italiane e al 4 novembre presso tutti gli altri istituti bancari.

È bene ricordarsi di questo particolare, perché lo slittamento di qualche giorno dell’accredito del bonifico è determinato proprio dai primi giorni festivi del mese. E non da un disguido o da un problema nell’erogazione degli assegni previdenziali.

I beneficiari di un assegno previdenziale, infatti, devono sempre ricordare che le pensioni vengono messe in pagamento:

  • con la sola eccezione di gennaio, il primo giorno bancabile del mese;
  • con un solo mandato di pagamento, al cui interno sono comprese tutte le prestazioni che spettano (chi ha diritto a due diverse pensioni, riceverà un unico bonifico al cui interno sono contenute tutte le prestazioni che spettano al titolare).

È importante ricordare che, in caso di pagamento in contanti, lo stesso è ammesso unicamente per importi complessivi inferiori a 1.000 euro netti. Nel momento in cui dovesse superare questa cifra, l’interessato è tenuto a comunicare all’Inps un conto corrente (bancario o postale), presso il quale ricevere il versamento. 

L’eventuale comunicazione delle coordinate bancarie per effettuare l’accredito della pensione – anche quando ci dovessero essere delle variazioni – deve essere effettuata attraverso i canali online dell’Inps o appoggiandosi su un patronato o un Caf.

I pagamenti alle Poste

Gli uffici postali torneranno ad essere completamente operativi da lunedì 4 novembre, con i consueti orari. Il pagamento delle pensioni, però, inizia ad essere erogato già dal 2 novembre rispettando il seguente calendario:

  • cognomi dalla A alla B: sabato 2 novembre 2024 (solo in mattinata);
  • cognomi dalla C alla D: lunedì 4 novembre 2024;
  • cognomi dalla E alla K: martedì 5 novembre 2024;
  • cognomi dalla L alla O: mercoledì 6 novembre 2024;
  • cognomi dalla P alla R: giovedì 7 novembre 2024;
  • cognomi dalla S alla Z: venerdì 8 novembre 2024.

I conguagli che arrivano con la pensione

L’Inps, anche nel corso del mese di novembre effettua una serie di conguagli. I contribuenti che hanno scelto l’istituto di previdenza sociale come sostituto d’imposta e i cui flussi sono arrivati direttamente dall’Agenzia delle Entrate, potrebbe trovarsi sul rateo della pensione quanto segue:

  • il rimborso Irpef a credito;
  • una maggiore trattenuta nel caso in cui le tasse risultino a debito del pensionato. Potrebbe essere addebitata anche la rateazione degli importi a debito che risultano dalla dichiarazione dei redditi, che deve obbligatoriamente essere conclusa con il mese di novembre.

A novembre, inoltre, il contribuente potrebbe trovarsi addebitata sulla pensione le seguenti imposte:

  • la trattenuta Irpef, che viene calibrata in base alle aliquote attualmente in vigore;
  • le trattenute delle addizionali Irpef regionali e comunali che si riferiscono al 2023. Questi vengono recuperate nell’arco di undici rate, da gennaio a novembre dell’anno successivo a cui si riferiscono;
  • l’acconto dell’addizionale Irpef, che viene trattenuta tra i mesi di marzo e novembre e che si riferisce all’anno successivo;
  • il conguaglio dell’Irpef 2023, nel caso in cui il contribuente dovesse risultare a debito.
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Petrolio, le quotazioni crollano del 5%. A pesare è la rappresaglia di Israele contro Teheran

La rappresaglia di Israele contro Teheran ha fatto crollare le quotazioni del petrolio in mattinata. Le aspettative degli analisti.

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Petrolio, le quotazioni crollano del 5%. A pesare è la rappresaglia di Israele contro Teheran

Crollate di quattro dollari al barile le quotazioni del petrolio dopo che, nel corso del fine settimana, Israele ha avviato la propria rappresaglia nei confronti dell’Iran. L’attacco, ad ogni modo, non ha colpito gli impianti petroliferi e non ha determinato il blocco delle forniture di greggio.

In mattinata i future sul greggio Brent e quelli Us West Texas Intermediate hanno sfiorato i minimi dal 1° ottobre. Poco dopo le 9:00 il Brent ha toccato 71,93 dollari al barile, registrando un -5,4% (pari a 4,12 dollari in meno), mentre il WTI si è attestato a 67,75 dollari al barile, portando a casa un -5,6% (pari a 4,03 dollari in meno).

Ricordiamo che la scorsa settimana i principali benchmark del petrolio avevano guadagnato il 4%, in un momento in cui c’era grande volatilità. I mercati, infatti, hanno scontato l’incertezza delle elezioni statunitensi in programma il 5 novembre 2024 e la portata della prevista risposta di Israele all’attacco missilistico iraniano dello scorso 1° ottobre 2024.

Petrolio, scatta la rappresaglia di Israele

Prima dell’alba di sabato decine di jet israeliani hanno portato a termine tre ondate di attacchi contro alcune fabbriche di missili e altri siti vicini a Teheran e nell’Iran occidentale. 

La maggior parte degli analisti ritengono che il premio di rischio accumulato dalle quotazioni del petrolio in previsione dell’attacco di Israele si sia sostanzialmente esaurito.

Secondo John Evans, del broker petrolifero PVM, la risposta di Israele è stata fortemente influenzata dall’amministrazione guidata da Joe Biden. Allo stesso tempo, però, Vivek Dhar, analista della Commonwealth Bank of Australia, non ritiene che le tensioni in Medio Oriente si possano ridurre in tempi rapidi. Secondo Dhar nonostante la scelta di Israele di una risposta poco aggressiva all’Iran, permangono numerosi dubbi sul fatto che Israele e i suoi alleati (Hamas e Hezbollah) siano sulla buona strada per un cessate il fuoco duraturo.

Max Layton, analista di Citi, ha deciso di abbassare il target price del Brent per i prossimi tre mesi da 74 a 70 dollari al barile, tenendo conto di un premio di rischio più basso nel breve termine.

Ashley Kelty, analista di Panmure Liberum, spiega che la retorica dei ministri dell’OPEC+ nelle prossime settimane in merito alla revoca delle quote sarà un fattore chiave per le quotazioni del petrolio: un rinvio degli aumenti della produzione diventa più probabile a causa delle deboli prospettive fondamentali e degli elevati prezzi di pareggio necessari per la maggior parte dei membri del cartello.

L’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio e i suoi alleati hanno mantenuto invariata la politica di produzione di petrolio nel corso del mese di settembre. Non è stata nemmeno cassata l’ipotesi di iniziare ad aumentare la produzione da dicembre. Il gruppo si riunirà il 1° dicembre prima di una riunione plenaria dell’OPEC+.

In India crolla l’uso del petrolio russo

Bharat Petroleum Corporation, una raffineria indiana, ha affermato che l’uso del petrolio russo è calato al 34% del fabbisogno totale di greggio nel trimestre luglio-settembre 2024. A determinare questo cambio di passo è stata la chiusura per manutenzione delle unità nelle raffinerie di Bina e Kochi, ha affermato lunedì il responsabile finanziario.

Bharat Petroleum Corporation, che può processare circa 706.000 barili al giorno (bpd) nelle sue tre raffinerie in India, ha soddisfatto circa il 40% del suo fabbisogno di petrolio con forniture russe nel trimestre di giugno.

BPCL lavora principalmente petrolio russo nella sua raffineria di Bina, nell’India centrale, con una capacità di 156.000 barili al giorno, e nella raffineria di Kochi, nello stato meridionale del Kerala, con una capacità di 310.000 barili al giorno.

Le importazioni di petrolio greggio dall’India dalla Russia sono aumentate dell’11,7% a circa 1,9 milioni di barili al giorno a settembre, rappresentando circa due quinti delle importazioni complessive di greggio della nazione nel mese, come hanno mostrato all’inizio di ottobre i dati sulle petroliere ottenuti da fonti del settore.

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Boeing, piano per raccogliere 15 miliardi di dollari e creare liquidità

Boeing ha predisposto un piano per raccogliere 15 miliardi di dollari e garantire una maggiore liquidità all’azienda.

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Boeing, piano per raccogliere 15 miliardi di dollari e creare liquidità

Un piano per raccogliere qualcosa come 15 miliardi di dollari: è il progetto di Boeing, anticipato proprio in queste ore dall’agenzia di stampa Reuters, che cita una fonte informata sui fatti.

Lo scorso 16 ottobre 2024, per la prima volta, era stato riportato che il produttore di aerei Boeing stava per mettere a punto un piano per raccogliere 15 miliardi di dollari con azioni ordinarie e un’obbligazione convertibile, nel tentativo di consolidare le finanze, messe a dura prova da uno sciopero che sta letteralmente paralizzando l’azienda.

Ma vediamo in quale modo l’azienda ha intenzione di sfruttare le risorse che ha in mente di raccogliere.

Boeing, un piano per raccogliere 15 miliardi di dollari

Il nuovo piano annunciato da Boeing prevede di raccogliere fino a 15 miliardi di dollari con un’azione combinata di vendita di azioni e azioni privilegiate convertibili. L’importo stimato, ad ogni modo, potrebbe aumentare in base alla domanda.

Al momento Boeing si sarebbe rifiutata di commentare in qualsiasi modo la notizia.

Già in precedenza Bloomberg News aveva riferito la tempistica prevista per l’aumento di capitale. 

Ad inizio di ottobre, nei documenti normativi che Boeing ha depositato, viene messo in evidenza che la società avrebbe potuto raccogliere qualcosa come 25 miliardi di dollari in azioni ed obbligazioni, anche se il suo rating creditizio di grado di investimento fosse a rischio.

Boeing è alle prese con un controllo normativo leggermente più rigoroso: la produzione è limitata e i clienti stanno letteralmente perdendo fiducia nei suoi prodotti, da quando il pannello di una portiera di un aereo 737 Max si è staccato in volo.

Per tutto l’anno l’azienda ha continuato a bruciare liquidità. La scorsa settimana, inoltre, ha annunciato una nuova perdita trimestrale pari a 6 miliardi di dollari. All’inizio di questo mese Boeing ha dichiarato di aver sottoscritto un accordo di credito da 10 miliardi di dollari con i principali finanziatori:

  • Bank of America;
  • Banca Popolare Cinese;
  • Goldman Sachs;
  • JPMorgan.

Tra l’altro, proprio ad inizio ottobre, Boeing ha dichiarato che ha intenzione di tagliare 17.000 posti di lavoro, che corrispondono al 10% della sua forza lavoro. Ma non solo: rinvierà di un anno le prime consegne del suo jet 777X.

Le tre principali agenzie di rating del credito – S&P, Moody’s e Fitch – hanno dichiarato che taglieranno il rating di Boeing a spazzatura se l’azienda contrarrà nuovo debito senza rimborsare circa 11 miliardi di dollari di debito in scadenza fino al 1° febbraio 2026.

Boeing, lo sciopero continua

La scorsa settimana i lavoratori in sciopero della Boeing hanno respinto l’ultima offerta contrattuale dell’azienda. La presa di posizione dei lavoratori ha creato una nuova minaccia per le attività dei fornitori come l’azienda a conduzione familiare Independent Forge.

Il presidente Andrew Flores ha spiegato che se lo sciopero di oltre 33.000 lavoratori della Boeing negli Stati Uniti dovesse durare un altro mese, la sua azienda potrebbe dover ridurre le sue attività da cinque a tre giorni alla settimana per risparmiare denaro e trattenere i lavoratori.

Sebbene Independent Forge abbia già licenziato alcuni dipendenti, licenziarne altri non è un’opzione allettante. I 22 lavoratori rimasti sono essenziali per l’azienda, soprattutto quando lo sciopero finirà e la domanda di componenti aeronautiche in alluminio riprenderà. Flores ha spiegato che questi dipendenti costituiscono la spina dorsale dell’azienda. Il loro know-how è importante, non può essere sostituito.

Il voto espresso mercoledì dal 64% dei lavoratori dello stabilimento Boeing sulla costa occidentale contro l’ ultima offerta contrattuale dell’azienda , che sospende ulteriormente l’assemblaggio di quasi tutti i jet commerciali del costruttore, ha creato un nuovo banco di prova per fornitori come Independent.

La vasta rete globale di fornitori della Boeing, che produce componenti in grandi fabbriche moderne o in piccole officine in garage, era già stata messa a dura prova dalla crisi di qualità e sicurezza dell’azienda, iniziata a gennaio dopo lo scoppio di un pannello in volo su un nuovo 737 MAX.

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