Un recente studio di Bloomberg ha indagato il valore totale dei flussi di capitale in uscita dai mercati cinesi. Complessivamente la stima è di una fuga di 188 miliardi di dollari (1.37 trilioni di yuan), nel periodo compreso tra dicembre 2021 e giugno del 2023. Questo dato è particolarmente interessante perché non incorpora il periodo luglio-agosto, in cui si è tornato a parlare a gran voce della possibilità di default di alcune delle più grandi imprese di sviluppo immobiliare in Cina. È facile immaginare che gli eventi delle ultime settimane non abbiano aiutato, e che al giorno d’oggi la quantità di flussi di capitale in uscita sia ancora più elevata.
Lo studio ha analizzato tanto il mercato azionario quanto quello obbligazionario. Per i mercati azionari c’è la possibilità di controllare direttamente la capitalizzazione di mercato delle imprese, rendendo i conti più semplici, ma si sapeva che il dato più interessante sarebbe stato quello sulle obbligazioni. Con i tassi di interesse americani ed europei che sono ben al di sopra di quelli cinesi, e una forte difficoltà nella ripresa economica cinese, gli investitori internazionali hanno preferito battere in ritirata dal mercato del Dragone e tornare ad allocare i propri capitali sui mercati domestici. Vale anche per il mercato delle valute, con lo yuan che continua a perdere quota rispetto al dollaro.
Un caso fino a ora isolato
Essendo la seconda economia più grande al mondo, la Cina ha ricadute sistemiche sull’economia mondiale. In passato l’Occidente è sembrato preoccupato dalla crescita economica cinese, ma quasi ancor più preoccupato dalla possibilità che si arrestasse. Il 2023 è stato un anno particolare: anche se la Cina ha visto un tasso di crescita ridotto, con una crisi del settore immobiliare e un’attività molto ristretta sul mercato del credito, nello stesso momento gli Stati Uniti hanno continuato a crescere e registrare dati positivi tanto all’interno dell’economia reale quanto sui mercati finanziari. La Cina si è essenzialmente trovata isolata nelle sue difficoltà economiche, con effetti molto limitati sui partner commerciali.
Anche se i dati della scorsa settimana hanno mostrato un forte aumento della domanda di mutui e prestiti, che fa pensare a un ritrovato slancio economico, è ancora molto presto per poter dire che la Cina si sta riprendendo. Nel frattempo, fa notare Zhikai Chen di BNP Paribas Asset Management, molti investitori stranieri hanno semplicemente gettato la spugna: troppi rischi per investire in Cina in questo momento, soprattutto considerando che in Europa e negli Stati Uniti i tassi d’interesse rendono le obbligazioni locali molto attraenti e con meno limiti alla circolazione di capitali provenienti dall’estero.
Investitori internazionali ancora scoraggiati
Indubbiamente il periodo di crisi cinese ha lasciato scoraggiati molti investitori internazionali. I dati di Bloomberg rivelano che gli investitori mondiali hanno ritirato $26 miliardi di capitali dai bond nazionali cinesi e $62 miliardi dai bond dei governi Asiatici più in generale nel corso del periodo esaminato. Alla fine del 2021, i mercati azionari e obbligazionari cinesi valevano oltre il 30% del mercato complessivo dei mercati emergenti; la percentuale adesso è scesa al 27%. In una recente intervista Gaurav Pantankar, CIO di MercedCERA, ha rimarcato che rimangono ottime opportunità di investimento nei mercati emergenti ma entro specifici segmenti e mercati regionali.
La fuga di capitali non riguarda soltanto gli asset, ma anche la valuta cinese: lo yuan ha recentemente toccato i suoi minimi degli ultimi 16 anni contro il dollaro americano, e potrebbe continuare a perdere terreno per via delle politiche espansioniste che stanno venendo introdotte dalle province e gli enti locali per rilanciare la domanda nel mercato immobiliare. Il risultato di tutto questo, mostrano i dati Bloomberg, è che oggi l’85-90% dei mercati finanziari cinesi è controllato da investitori locali.