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Petrolio, mercati nervosi dopo l’escalation a Gaza

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Written by Alessandro Calvo
Diplomato in Scienze Economiche presso l'Ateneo di Torino, mi dedico alla vita di nomade digitale con un focus particolare sugli investimenti azionari. Rivesto il ruolo di gestore e analista capo per il portfolio di azioni su TradingOnline.com. Come ricordato da Peter Lynch, è importante tenere a mente che investire in azioni non equivale a giocare alla lotteria; rappresenta piuttosto la detenzione di una quota parte di un'impresa
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Il petrolio ha chiuso la settimana in rialzo e con il prezzo del WTI al di sopra della soglia psicologica di 90$ per barile, dopo l’intensificazione delle operazioni militari in Medio Oriente. Israele ha aumentato l’attività delle truppe di terra nella Striscia di Gaza, e al tempo stesso reso più frequenti i raid aerei. La vera escalation degli ultimi giorni, però, sono stati gli attacchi statunitensi a bersagli iraniani in Siria. Nel frattempo anche la regione sud del Libano continua a essere coinvolta, per via della presenza di focolai di sostenitori di Hamas. Questi fatti continuano a essere al centro dell’attenzione dei trader di materie prime energetiche, come confermano le testimonianze di molti gestori di fondi.

Phil Flynn di Price Futures Group ritiene che in questo momento i mercati siano “in preda alla prossima notizia”, e che ogni evento legato alla situazione in Medio Oriente abbia un veloce e significativo impatto sui prezzi del petrolio. Si continua a temere soprattutto che il coinvolgimento dell’Iran possa aumentare, e che questo possa portare a un rafforzamento dei limiti alle esportazioni di petrolio iraniano. Flynn ritiene anche che, in questo momento, la portata potenziale delle notizie provenienti dal conflitto sia tale da non lasciare spazio a chi vuole investire in un modo direttamente collegato ai fondamentali del mercato.

presentazione della notizia sul nervosismo dei mercati del petrolio dopo escalation in Medio Oriente

Grande incertezza nella chiusura delle negoziazioni

Venerdì è stata una giornata di Borsa intensa per i fondi che investono in materie prime. La sessione è iniziata con i prezzi del barile in rialzo di 2$ al barile in risposta agli attacchi statunitensi verso i bersagli iraniani. I prezzi poi hanno rintracciato verso il basso in seguito a indiscrezioni secondo cui il Qatar starebbe mediando una riconciliazione diplomatica tra Israele e Hamas. Il Brent ha chiuso la settimana con un ribasso del 2% e il WTI con un ribasso del 4%, parzialmente anche dovuto al fatto che le notizie sul default di Country Garden stiano facendo pensare a una situazione peggiore del previsto per l’economia cinese e dunque a una ridotta domanda di petrolio nel corso dei prossimi mesi.

Per il momento, il conflitto tra Israele e Hamas non ha avuto alcun impatto sui livelli di produzione o di esportazione di petrolio in Medio Oriente. Come sottolinea Helima Croft di RBC Capital, però, ci sono delle “linee rosse” che, se calpestate, possono causare l’entrata nel conflitto di altre nazioni. In questa eventualità, l’impatto sul mercato del petrolio sarebbe pressoché immediato e sarebbe notevole. Il mercato è dunque diviso tra la possibilità che il mercato possa vedere domanda e offerta completamente invariati, oppure che da un momento all’altro possano venire a mancare milioni di barili ogni giorno.

foto di un pozzo di petrolio in Medio Oriente
L’Iran ha aumentato la produzione e l’export di petrolio nel corso del 2023

Yemen possibile nuovo focolaio del conflitto

Una delle notizie positive per l’offerta internazionale di petrolio nelle ultime settimane sono stati i negoziati di pace tra il governo dello Yemen e le milizie Houthi sostenute dall’Iran. Tra i possibili scenari che preoccupano gli analisti c’è quella di un’escalation del conflitto tra governo yemenita e Houthi, legata proprio al surriscaldamento della situazione in Medio Oriente. Il 38% degli attacchi terroristici alle infrastrutture petrolifere negli ultimi 6 anni, di cui la maggior parte in Arabia Saudita, è dovuto proprio all’attività delle milizie Houthi basati in Yemen. Se i dialoghi di pace dovessero procedere nel modo migliore, la prospettiva è che questi attacchi si fermino.

Prima del conflitto a Gaza, c’era grande ottimismo riguardo alla fine di questo conflitto che divide lo Yemen ormai da oltre otto anni. Jim Burkhard, vice presidente della ricerca sui mercati petroliferi per S%P Global Commodity Insights, ritiene che gli Houthi potrebbero prendere di mira le navi petrolifere se il conflitto tra Israele e Gaza dovesse intensificarsi. Molto dipenderà anche dal supporto iraniano a queste milizie: l’Iran rimane, direttamente e indirettamente, una variabile essenziale in questo puzzle.

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