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Energia rinnovabile, investimenti in bilico in attesa dell’esito del voto statunitense
Riflettori puntati sull’energia rinnovabile, segmento nel quale gli investimenti rimangono in bilico in attesa dell’esito delle elezioni Usa.
Il settore dell’energia rinnovabile attraversa un periodo di incertezza, determinato, prima di tutto, dal ritiro degli investitori, i quali si ritrovano ad affrontare una serie di dubbi e perplessità determinate dalle imminenti elezioni negli Stati Uniti, che oltre a portare maggiore cautela, hanno convinto gli investitori a puntare unicamente a poche selezionate azioni.
Nel biennio 202-2021 il segmento dell’energia rinnovabile ha raggiunto valutazioni da bolla: alcuni importanti fondi si sono riversati sul mercato, attratti dal calo dei costi di sviluppo. Da quel momento i guadagni sono stati condizionati da alcuni fattori, tra i quali ricordiamo la concorrenza cinese nel settore delle energie rinnovabili, una ripresa dei rendimenti dell’energia convenzionale e alcuni problemi strutturali per le fonti rinnovabili, che sono stati condizionati dall’interruzione della catena di approvvigionamento e dalla carenza di connessioni alla rete.
Energia rinnovabile, cosa sta accadendo negli Usa
L’Inflation Reduction Act (IRA) negli Stati Uniti si è rilevato uno dei più importanti stimoli per chi avesse intenzione di investire nell’energia rinnovabile. La politica è stata adottata trasversalmente dai due principali orientamenti politici statunitensi, cosa che porta a ritenere che i benefici potrebbero continuare.
Alcuni osservatori, ad ogni modo, ritengono che il ritorno alla presidenza di Donald Trump possa incanalare i finanziamenti verso i combustibili fossili, avendo già promesso ulteriori trivellazioni petrolifere. Al contrario un’eventuale vittoria della democratica Kamala Harris potrebbe essere importante per ripristinare le energie rinnovabili. Ma anche se si dovesse verificare questa eventualità, non è detto che ci possa essere lo stesso boom del 2020-2021.
Will McIntosh-Whyte, gestore di fondi presso Rathbones Asset Management nel Regno Unito, spiega che i tassi stanno scendendo: questo, però, non risolve i problemi di concorrenza o la domanda del mercato finale, che è ancora presente, anche se con una traiettoria di crescita inferiore rispetto a prima.
I fondi di energia alternativa hanno registrato deflussi netti per 17 mesi consecutivi, la serie di perdite più lunga sui dati Lipper risalenti a settembre 2019. Finora nel 2024, gli investitori hanno ritirato più di 11 miliardi di dollari, portando gli asset a 54,2 miliardi di dollari. Durante il boom del 2021 a questo punto dell’anno, gli afflussi netti hanno superato i 29 miliardi di dollari.
In 12 mesi, il ritiro ha comportato un calo del 28% nel numero di unità in circolazione nell’iShares Global Clean Energy ETF, i cui maggiori investimenti includono la società statunitense di tecnologia solare First Solar, la società di servizi britannica SSE e Yangtze Power.
L’indice MSCI Global Alternative è destinato al suo quarto anno di cali, registrando una perdita del 18% dall’inizio dell’anno, mentre le azioni globali hanno guadagnato il 17%. L’indice viene scambiato con uno sconto del 2,7% rispetto alle azioni mondiali, su una metrica forward price-to-earnings, rispetto al premio di picco del 25-50% nel 2020-22.
Energia rinnovabile, il turno corto
Nel 2022 lo scoppio della guerra in Ucraina ha determinato dei rendimenti record per le aziende che operano nel comparto. In molti casi sono anche stati ripensate le strategie per passare alle energie rinnovabili.
Gli analisti hanno affermato che un modo per ottenere esposizione è attraverso i gestori di rete, come l’italiana Terna e la spagnola Iberdrola, il cui business regolamentato è meno volatile rispetto alle attività puramente rinnovabili.
Alcuni gestori di fondi hanno smesso di essere long e short sulla transizione all’energia verde. Tra le aziende che sono finite sotto i riflettori c’è lo sviluppatore di energia eolica offshore Orsted: gli investitori stanno aspettando che riesca a vendere più asset per porre rimedio alle sue finanze. La preoccupazione di molti osservatori è legata al fatto che una vittoria di Trump potrebbe mettere a rischio alcuni dei suoi progetti negli Stati Uniti, per i quali potrebbe non riuscire ad ottenere i necessari permessi.
Il gestore patrimoniale svizzero LFG+ZEST ha aperto una posizione corta sul produttore danese di turbine eoliche Vestas e EDP Renovaveis del Portogallo ritenendo che, indipendentemente dalle elezioni statunitensi, i profitti del settore continueranno a essere sotto pressione.
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Volkswagen, gli utili sono crollati del 42% nel terzo trimestre. E si parla di chiusure in Germania
Nel terzo trimestre 2024 gli utili di Volkswagen sono letteralmente crollati, mettendo in dubbio il futuro della stessa azienda.
Gli utili del terzo trimestre di Volkswagen sono calati del 42%, raggiungendo il livello più basso degli ultimi tre anni. La divisione automobilistica dell’azienda è alle prese con dei costi elevati e una domanda debole in Cina. I problemi maggiori si registrano in Germania, dove si corre il rischio di potenziali chiusure di stabilimenti.
In queste settimane Volkswagen sta affrontando una vera e propria battaglia con il sindacato, dato che ha allo studio una revisione pianificata che, per la prima volta nel corso dei suoi 87 anni di storia, prevede la chiusura di alcuni stabilimenti in Germania. Questo è il motivo per il quale i colloqui tra Volkswagen e il sindacato tedesco IG Metal saranno realmente tesi, anche perché il presidente del consiglio d’azienda ha minacciato di interrompere i colloqui e indire nuovi scioperi.
Volkswagen, i risultati sono deludenti
Deludenti i risultati di Volkswagen, che hanno messo in evidenza come il rendimento operativo delle vendite nel settore delle autovetture sia sceso al 2% dal 3,4% nei primi nove mesi dell’anno rispetto allo stesso periodo del 2023.
Arno Antlitz, responsabile finanziario del gruppo automobilistico, ha spiegato che questo mette in evidenza l’urgente necessità di significative riduzioni dei costi e di guadagni di efficienza.
Il mercato automobilistico europeo si è ridotto di circa 2 milioni di veicoli dall’inizio della pandemia: ogni anno Volkswagen vende qualcosa come 500.000 unità in meno ogni anno. I principali concorrenti – come Tesla e le case automobilistiche cinesi che offrono modelli più economici – hanno guadagnato quote di mercato in Europa.
Volkswagen, invece, ha perso delle quote di mercato in Cina, perché le case automobilistiche locali offrono modelli più economici. La situazione è stata aggravata dall’economia cinese, che ha rallentato a causa della crisi immobiliare.
Le consegne di Volkswagen in Cina, il più grande mercato automobilistico del mondo, sono diminuite del 15% a 711.500 veicoli nel terzo trimestre. Ciò ha trascinato verso il basso la cifra globale, che è scesa a 2,176 milioni di veicoli.
Il direttore finanziario Antlitz ha affermato che un aspetto positivo nei guadagni di Volkswagen è stato il miglioramento degli ordini in Europa occidentale tra luglio e settembre, con l’immissione graduale di nuovi modelli sul mercato, che ha fornito un impulso positivo per l’ultimo trimestre.
L’EBIT è sceso a 2,86 miliardi di euro nel periodo luglio-settembre, ampiamente in linea con la stima media di LSEG di 2,80 miliardi di euro.
Come si muovono le azioni Volkswagen
Da inizio anno, le azioni Volkswagen hanno perso circa un quinto, con una performance inferiore al calo del 10% registrato dall’indice automobilistico paneuropeo.
A settembre, la principale casa automobilistica europea ha tagliato le sue previsioni annuali per la seconda volta in meno di tre mesi, unendosi ai rivali BMW e Mercedes-Benz nel segnalare le difficoltà.
Proprio oggi i sindacati hanno annunciato dei potenziali scioperi alla Volkswagen, a meno che la casa automobilistica non sia disposta a escludere la chiusura degli stabilimenti dal suo piano di ristrutturazione, mentre le due parti si scontrano per la seconda volta su salari e potenziali chiusure di fabbriche.
Thorsten Groeger, capo negoziatore del potente sindacato IG Metall, ha affermato che i lavoratori si aspettano un futuro per tutti i siti tedeschi grazie alla ristrutturazione, che potrebbe essere la più grande nella storia recente dell’azienda.
Daniela Cavallo, presidente del consiglio aziendale, all’inizio di questa settimana ha minacciato di interrompere i colloqui, affermando che la dirigenza della Volkswagen aveva posto fine a un approccio consensuale consolidato nei rapporti con i lavoratori.
La dirigenza sostiene che gli stabilimenti tedeschi sono molto più costosi da gestire rispetto alla concorrenza, a causa degli elevati costi per i lavoratori e per l’energia, mentre il mercato automobilistico europeo si è ridotto rispetto ai livelli pre-pandemia e la domanda, un tempo robusta, in Cina è diminuita.
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Google: ottime trimestrali. 88,27 miliardi di ricavi contro previsioni a 86,44 miliardi di dollari
Buona la prima delle trimestrali tech negli USA. Alphabet corre cavalcando i buoni dati cloud.
Sono delle grandi trimestrali quelle di Google, trainate principalmente dal business cloud, per un terzo trimestre del 2024 che ha fatto registrare ricavi, EPS, revenue del cloud e anche della divisione advertising superiori alle aspettative. Per quanto riguarda i ricavi,, abbiamo 88,27 miliardi di dollari, contro gli 86,44 miliardi di dollari delle previsioni. EPS a 2,12$ contro 1,83$ delle aspettative. A stupire sono comunque i ritorni del settore cloud: 11,35 miliardi di dollari contro previsioni che vedevano il consenso a 10,79 miliardi di dollari. Dati che sono molto positivi anche rispetto al terzo trimestre del 2023.
Una situazione sul fronte cloud che si aspetta positiva anche per le altre due grandi sorelle del settore, ovvero Amazon e Microsoft – per le quali ci si aspettano dati altrettanto positivi. Tutto questo in un momento che molti analisti avevano descritto come eccessivamente delicato almeno rispetto alle aspettative.
La prima delle grandi trimestrali della settimana tech
Sarà una settimana importante per quanto riguarda il settore tech. Domani sarà il turno di Microsoft, e poi sarà il turno anche di Amazon e di Apple: trimestrali importanti per un settore tech che rimane la stella polare dei mercati finanziari globali e in particolare il termometro dell’andamento dell’economia USA. Per Apple ci si aspettano risultati migliori di quelli ventilati soltanto qualche settimana fa, complice una Cina che in termini di domanda per questo tipo di merci sembrerebbe aver messo di nuovo il turbo.
Buona la prima, verrebbe da dire, per una settimana certamente non per cuori deboli ma che si è aperta nel modo migliore possibile. Google tira, le altre dovrebbero essere quantomeno in scia. Domani la sentenza dei mercati, con i futures che sono titubanti per il solito bilanciamento tra necessità di tagli – confermata anche dai dati del mercato del lavoro – e possibilità di schivare una recessione.
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Dazi UE per i veicoli cinesi: si parte da giovedì 31 ottobre. Ufficialità da portavoce Commissione UE
Pechino e Bruxelles non si mettono d’accordo. Dazi operativi da giovedì.
È fallimento totale nelle trattative tra Pechino e Bruxelles. Da giovedì prossimo saranno in vigore in tutta l’UE i dazi aggiuntivi sui veicoli elettrici made in China. Secondo quanto è stato riportato da AP, non sarebbe stato possibile trovare una soluzione concordata tra Repubblica Popolare Cinese e Unione Europea, cosa poi confermata da Olof Gill, che è portavoce per la Commissione Europea. Si apre così un altro capitolo di un’intensa guerra commerciale tra UE e Cina, che si installa su un più ampio tema di schermaglie fortunatamente solo commerciali tra i due blocchi, quello occidentale da una parte e quello di Pechino dall’altra.
Soltanto ieri il Ministero dell’Economia messicano ha consegnato al Dipartimento del Commercio USA una lettera di rimostranze per il ban di hardware e software cinese sui veicoli connessi alla rete che circoleranno negli USA, altro capitolo questo di una guerra commerciale che in realtà vede diversi paesi emergenti nel tentativo di tenere il piede della vendita nelle economie così sviluppate e quello dei finanziamenti da, appunto, Pechino.
Una misura protezionistica?
Non secondo Bruxelles. Le vendite dei veicoli cinesi sono passate nel giro di 3 anni dal 3,9% del mercato delle auto elettriche ad un ben più sostanzioso 25%, secondo l’UE grazie ad aiuti di stato a pioggia che permettono al Made in China di essere enormemente più competitivo sul mercato.
Secondo quanto è stato riportato da Olaf Gill, i dazi aggiuntivi saranno in vigore per almeno 5 anni, per quanto sarà comunque possibile continuare a trovare una soluzione tra le parti che porti alla riduzione o alal rimozione delle stesse.
Soluzione che per il momento però sembrerebbe lontanissima: la Cina non sembrerebbe avere alcuna intenzione di interrompere i finanziamenti ritenuti aiuti di stato secondo gli ispettori dell’UE. I dazi saranno diversi da brand a brand, a seconda della quantità di aiuti ricevuti.
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Ford, le azioni sono scese del 7,3% condizionate dalla riduzione delle previsioni sugli utili
Perdono in Borsa il 7,3% le azioni Ford, dopo che il gruppo automobilistico ha rivisto le previsioni sugli utili del 2024.
Le azioni di Ford sono scese del 7,3% dopo che il gruppo automobilistico statunitense ha deciso di ridurre le previsioni degli utili per il 2024. Il cambio di passo è stato causato dalle interruzioni delle forniture e dai costi di garanzia. che sono state registrate in un momento in cui è in atto una vera e propria guerra sui prezzi alimentata dalla sovraccapacità.
Ford, sostanzialmente, ha previsto un Margine Operativo Lordo per il 2024 pari a 10 miliardi di dollari. La precedente proiezioni era pari a 10-12 miliardi di dollari
General Motors, invece, ha aumentato le sue aspettative di profitto la scorsa settimana.
Per quanto riguarda le auto usate, GM e Ford hanno segnalato una crescita delle vendite più debole nel terzo trimestre e hanno segnalato uno spostamento dei consumatori verso veicoli compatti a prezzi accessibili.
Gli osservatori ritengono che l’industria automobilistica statunitense dovrà affrontare molte pressioni sul fronte dei prezzi per il resto dell’anno, a causa di significativi errori operativi negli Stati Uniti effettuati da Stellantis, che adesso è costretta a smaltire i suoi enormi le auto in magazzino.
Ford, cosa guardano gli analisti
Tom Narayan, analista di RBC Capital Markets, resta sostanzialmente cauto sulle preoccupazioni relative ad un ciclo deflazionistico dei prezzi nel settore. Tom Narayan ha aggiunto che il taglio previsto da Ford era previsto e che le previsioni sono ora più realistiche.
Sebbene Ford abbia registrato profitti superiori alle stime nel terzo trimestre, il suo inventario è stato superiore all’intervallo target, in quanto ha chiuso il trimestre con 91 giorni di scorte lorde e 68 giorni di scorte presso i concessionari.
Ford ha avvertito delle pressioni inflazionistiche in Turchia, che hanno determinato l’aumento dei costi dei furgoni Transit venduti in Europa. Ha anche sperimentato costi di garanzia più alti del previsto a causa di richiami e altre riparazioni.
Edison Yu, analista di Deutsche Bank Research, ha spiegato che il management è titubante nel prevedere un’inflessione nelle prestazioni della garanzia, il che porta a sospettare un miglioramento minimo nel primo semestre del 2025.
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In Germania i lavoratori scioperano, ma le industrie sono preoccupate per il loro futuro
I lavoratori incrociano le braccia in Germania, ma la più grande preoccupazioni delle imprese è per il loro futuro, quanto mai incerto.
In Germania i lavoratori sono entrati in sciopero per chiedere dei salari più alti. La decisa presa di posizione, però, rischia di mettere ulteriormente in difficoltà le aziende, le quali sono preoccupate di riuscire a rimanere competitive a livello globale. Ma che si ritrovano a dover gestire dei costi elevati, delle esportazioni deboli e una concorrenza straniera che intacca i punti di forza.
Complessivamente sono quattro milioni i lavoratori sindacalizzati che fanno parte dell’industria elettrotecnica e metalmeccanica. Tra le aziende in Germania che sono state travolte dallo sciopero ci sono Porsche AG, BMW e Mercedes.
Germania, i lavoratori sindacalizzarti incrociano le braccia
In Germania l’allarme sui posti di lavoro è stato lanciato dalla Volkswagen, che, proprio in questi giorni, ha comunicato l’intenzione di chiudere tre stabilimenti in patria. Nei suoi 87 anni di storia non aveva mai preso una decisione del genere. Ma non solo: il gruppo tedesco ha anche annunciato l’intenzione di licenziare in massa e di tagliare i salari del 10% per i lavoratori che mantengono il posto di lavoro.
La Germania è la più grande economia europea: il peggioramento delle prospettive economiche ha aumentato la pressione e il traballante governo di coalizione del cancelliere Olaf Scholz, che deve affrontare una situazione a dir poco complicata proprio a ridosso delle elezioni federali del 2025.
In giornata Scholz dovrebbe ospitare un incontro con i vari leader aziendali, tra i quali ci dovrebbe essere anche Oliver Blume, capo di Volkswagen. Giusto per comprendere la poca coordinazione del governo, basti pensare che il ministro delle finanze ha annunciato un summit separato sempre oggi.
I cosiddetti scioperi di avvertimento hanno una lunga storia in Germania: nella maggior parte delle occasioni i lavoratori incrociano le braccia durante le trattative sindacali. Questa volta, però, arrivano in un momento di crescenti preoccupazioni dei datori di lavoro sul futuro. Un importante gruppo imprenditoriale tedesco ha riferito che un sondaggio tra le aziende ha messo in evidenza come la Germania stia vivendo un altro anno di contrazione economica e nessuna prospettiva di crescita per il 2025.
Martin Wansleben – direttore generale della Camera di commercio e industria tedesca (DIHK) che ha condotto l’indagine – spiega che in Germania non si sta affrontando solo una crisi ciclica, ma una crisi strutturale persistente. I tedeschi sono molto preoccupati per il fatto che il Paese stia diventando un peso economico per l’Europa e non riesca più a svolgere il suo ruolo di cavallo di battaglia economico.
Un’altra indagine condotta dall’associazione dell’industria automobilistica VDA ha ipotizzato che la trasformazione dell’industria automobilistica tedesca potrebbe portare alla perdita di 186.000 posti di lavoro entro il 2035, di cui circa un quarto si è già verificato.
In Germania i lavoratori vogliono la loro quota
Il Fondo Monetario Internazionale si è unito a quanti chiedevano riforme in Germania, suggerendo al governo di abbandonare il limite all’indebitamento sancito dalla Costituzione, noto come freno al debito, in modo da poter incrementare gli investimenti.
Sebbene il freno al debito sia sostenuto dal ministro delle Finanze Christian Lindner, egli è in contrasto con il ministro dell’Economia Robert Habeck, che ha chiesto un fondo multimiliardario per stimolare la crescita.
Gli incontri con Lindner e Scholz hanno spinto aziende e associazioni industriali a esprimere le proprie lamentele. La lobby chimica VCI ha lamentato scarse condizioni quadro e alti costi energetici affrontati dai suoi membri e ha invitato Scholz a prendere decisioni rivoluzionarie per liberare la competitività.
Reinhold von Eben-Worlee, dell’associazione delle aziende a conduzione familiare, ha paragonato la difficile situazione delle aziende tedesche del segmento Mittelstand a quella di un maratoneta appesantito da uno zaino pesante fatto di tasse elevate, contributi previdenziali e lungaggini burocratiche.
Gli scioperi sono stati orchestrati dal potente sindacato IG Metall, che ha anche organizzato uno sciopero durante il turno di notte nello stabilimento Volkswagen nella città di Osnabrück, dove i lavoratori temono una possibile chiusura del sito.
IG Metall chiede aumenti salariali del 7% rispetto all’aumento del 3,6% in un periodo di 27 mesi offerto dalle associazioni dei datori di lavoro. Le aziende affermano che le richieste sono irrealistiche.
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