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Veicoli elettrici, l’Unione europea e la Cina riaprono i colloqui per evitare i dazi

L’Unione europea e la Cina riaprono i colloqui per scongiurare il rischio di maggiori dazi sull’importazione di veicoli elettrici.

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Tra la Cina e l’Unione europea la porta rimane aperta: Pechino e Bruxelles, infatti, hanno concordato di tenere ulteriori negoziati tecnici su possibili alternative ai dazi sui veicoli elettrici prodotti in Cina. Anche se, almeno per il momento, non sembra ancora chiaro come si possano muovere le parti in causa.

Ricordiamo, infatti, che l’Unione europea è pronta ad introdurre delle tariffe aggiuntive fino al 35,5% sui veicoli elettrici costruiti in Cina, per i quali sarebbero state stanziate delle sovvenzioni statali.

Veicoli elettrici, Europa Vs Cina

Sul fronte dei veicoli elettrici sembrerebbe accendersi uno spiraglio in fondo al tunnel. A seguito di una videochiamata che si è tenuta tra Valdis Dombrovskis, rappresentante dell’UE per il commercio, e Wang Wentao, ministro del Commercio cinese, sarebbero stati concordati ulteriori negoziati tecnici che si svolgeranno a breve.

La Commissione europea, che supervisiona la politica commerciale dell’Ue a 27 nazioni, ha già tenuto otto cicli di negoziati tecnici con le controparti cinesi e ha affermato che permangono notevoli lacune residue.

Dombrovskis e Wang hanno ribadito il loro impegno a trovare una soluzione che possa essere accettabile da entrambe le parti. E che, soprattutto, dovrà garantire parità di condizioni nel mercato dell’UE e risultare compatibile con le norme dell’Organizzazione mondiale del commercio.

Due settimane fa la Cina ha esortato l’UE a non condurre negoziati separati con le aziende, avvertendo che ciò avrebbe scosso le fondamenta dei negoziati.

La Commissione ha affermato che Dombrovskis ha sottolineato che i negoziati dell’esecutivo dell’UE con la Camera di commercio cinese per l’importazione e l’esportazione di macchinari e prodotti elettronici (CCCME) non escludono discussioni con singoli esportatori.

Veicoli elettrici, importazioni cinesi in Europa

Nel corso del mese di settembre, la Cina ha inviato in Europa il secondo numero più alto di veicoli elettrici mai registrato: l’Ue ha importato qualcosa come 60.157 veicoli elettrici di produzione cinese, avvicinandosi al record registrato nel mese di ottobre 2023, quando si era arrivati a quota 67.455 veicoli. A riportare questi dati è Bloomberg, che ha citato dei dati doganali.

Nei primi giorni del mese la Commissione europea ha affermato di aver ricevuto sostegno dagli Stati membri per imporre delle tariffe che potrebbero arrivare fino al 45% sulle importazioni provenienti dalla Cina

La proposta di imporre dei dazi definitivi sulle importazioni di veicoli cinesi, stando a quanto ha comunicato la stessa Commissione europea, ha ottenuto il sostegno necessario dagli Stati membri, anche se qualcuno si è astenuto dal voto. La Spagna e la Germania, infatti, sono contrarie ai dazi: temono, infatti, una guerra commerciale totale con la Cina, con un potenziale aumento delle tariffe di Pechino sull’importazione di prodotti europei, come:

  • automobili;
  • carne di maiale;
  • latticini;
  • brandy.

In questo momento sono in vigore dei dazi provvisori, che hanno iniziato ad avere efficacia dal 5 luglio 2024 ed hanno una durata complessiva di quattro mesi: a breve, quindi, termineranno.

Nel caso in cui la Cina e l’Unione europea non dovessero riuscire a trovare delle soluzioni alternative alle tariffe, i dazi sulle importazioni di veicoli elettrici cinesi sono destinate a partire proprio dal mese di ottobre.

La maggiore preoccupazione arriva dalle case automobilistiche tedesche, che in Cina hanno un grande mercato e si sono opposte ai dazi sulle importazioni di veicoli elettrici.

VDA, l’associazione tedesca dei costruttori di automobili, ritiene che le tariffe europee antisovvenzione non colpirebbero solo i produttori cinesi, ma anche le aziende europee e le loro joint venture.

Oliver Zipse, amministratore delegato di BMW, ritiene che il voto a favore dell’introduzione di maggiori dazi sull’importazione di veicoli elettrici sia un segnale fatale per l’industria automobilistica europea. Ora è necessario un rapido accordo tra la Commissione UE e la Cina per evitare un conflitto commerciale da cui nessuno trae vantaggio.

Imprenditore digitale dal 2008, è CEO e Founder della ALESSIO IPPOLITO S.R.L., editore specializzato nella pubblicazione di progetti nel campo finanziario. Giornalista iscritto all'albo dal 22/02/2022 [Link per verifica iscrizione]. Direttore responsabile in carica della nota testata giornalistica a tema Crypto, Criptovaluta.it®, da Marzo 2023 direttore responsabile anche di Tradingonline.com®.

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Parla il ministro delle finanze tedesco: ritorsioni se dal 2025 dazi aggiuntivi negli USA per prodotti europei

Parole dure del ministro delle finanze tedesco in direzione di Washington. No alla guerra commerciale, altrimenti…

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Usa germania guerra

Il ministro delle finanze tedesco Christian Lindner ha avvisato gli Stati Uniti sulla potenziale introduzione di dazi e più in generale sull’avvio di una guerra commerciale da parte di Washington. Ci saranno, ha affermato, ritorsioni, nel caso in cui – come sta emergendo da alcune proposte in campagna elettorale per le presidenziali USA – si dovessero effettivamente implementare dazi aggiuntivi su merci e servizi made in UE. Il ministro delle finanze tedesco lo ha affermato in un’intervista per CNBC, a margine dell’incontro annuale del Fondo Monetario Internazionale a Washington.

Un invito – per quanto aggressivo – a evitare una guerra commerciale che secondo il ministro delle finanze della Repubblica Federal Tedesca non pò vedere vincitori. Il riferimento sembrerebbe essere a diverse delle proposte di Donald Trump durante la campagna elettorale per la Casa Bianca, proposte che prevedono dazi aggiuntivi per le merci prodotte fuori dagli USA, anche se con condizioni che per il momento non sembrerebbero ancora chiare.

Il problema è la Cina

O almeno questo sarebbe il problema secondo Lindner, motivo per il quale l’Unione Europea dovrebbe essere tenuta fuori da un’eventuale guerra commerciale (che in verità già esiste) tra i due blocchi. Guerra commerciale che – ricordano i più cinici – è in realtà già a pieno regime anche tra l’UE e la Repubblica Popolare Cinese, almeno su certe categorie merceologiche.

Lindner ha anche aggiunto che sarà disposto a interloquire, trattare con chiunque occuperà la Casa Bianca dal 2025 – segnale che dunque di porte aperte, almeno in Europa, ce ne sarebbero. Un messaggio comunque chiaro in direzione di Washington, che con ogni probabilità troverà il favore del grosso dei paesi UE e dei loro ministri delle finanze, che hanno tutto l’interesse a non arrivare ad una guerra commerciale con Washington, che aggiungendosi a quella con la Cina causerebbe tensioni importanti ad un’economia europea che già deve fare i conti con un importante rallentamento.

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Boeing: tentativo di vendita della divisione spaziale. Scoop porta il titolo a +2%

Boeing a caccia di compratori per la divisione aerospaziale, secondo uno scoop di WSJ.

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Boeing divisione spazio vendita

Altre grandi manovre da Boeing. Secondo quanto è stato riportato da The Wall Street Journal il gruppo starebbe esplorando la possibilità di vendere la sua divisione spaziale. Dietro la decisione – o meglio il tentativo – ci sarebbe la volontà di raccogliere capitale per mettere riparo ad una situazione per il gruppo che si è aggravata dopo una serie di scandali che hanno costellato il 2024. Già dalla giornata di ieri avevano preso a girare rumors sulla possibilità di disimpegno da parte del gruppo, dopo che Kelly Ortberg, per la prima volta alla guida del gruppo durante i report trimestrali, aveva ribadito che Boeing è una società che produce aeroplani.

Sempre Ortberg aveva individuato come strada futura per il gruppo la riduzione dei settori, con un laconico staremo meglio quando faremo meno e meglio, rispetto al fare di più e non farlo bene. Rimarranno dunque, nel caso in cui l’esplorazione dovesse andare a buon fine, i business legati appunto alla produzione di velivoli civili e della difesa.

Il pacchetto “NASA”

A fare gola più che la divisione del gruppo in termini produttivi saranno contratti e collaborazioni con NASA. Non è chiaro per il momento se il gruppo abbia già individuato dei potenziali acquirenti e – nel caso – a che punto siano le trattative.

Il titolo ha reagito in modo positivo alla diffusione della notizia, invertendo un trend negativo dopo metà mattinata a New York. Nel momento in cui scriviamo le azioni $BA vengono scambiate ampiamente sopra i 156$. Seguiranno aggiornamenti nel caso di smentite o conferme da parte del gruppo, e anche nel caso in cui dovessero essere individuati potenziali acquirenti per un business che con ogni probabilità non sarà più parte del gruppo Boeing nel 2025. E con ogni probabilità il gruppo sarà costretto a scelte dure ma strategiche per recuperare un 2024 da incubo.

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Intel investe 28 miliardi di dollari per costruire un nuovo stabilimento in Ohio

Importante investimento in Ohio per Intel, che costruisce un nuovo stabilimento per competere con TSMC.

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Intel investe 28 miliardi di dollari per costruire un nuovo stabilimento in Ohio

Intel investe sul proprio futuro e scommette sulla ripresa delle proprie attività. L’azienda ha deciso di investire più di 28 miliardi di dollari per costruire due fabbriche di chip in Ohio. A comunicarlo è stata la stessa Intel. L’operazione è un ulteriore tentativo per competere con Taiwan Semiconductor Manufacturing Company e farle concorrenza nella sua attività di produzione su contratto.

Nel corso delle prime contrattazioni le azioni di intel sono salite di quasi il 2%. Da inizio anno, però, il titolo è letteralmente crollato, perdendo il 55%.

Intel, la strategia di rilancio

Pat Gelsinger, amministratore delegato di Intel, sta tentando di rilanciare l’azienda. In questo contesto l’attività di fonderia è strategica: l’ex re della produzione di chip sta cercando di riconquistare il vantaggio tecnologico perso a favore di TSMC, che è diventato il più importante produttore di chip su contratto al mondo.

Il grande investimento arriva più di un mese dopo che Intel ha firmato un accordo multimiliardario con Amazon per costruire chip personalizzati per l’intelligenza artificiale, che devono essere utilizzati per le unità di servizi cloud del gigante dell’e-commerce. L’accordo è particolarmente importante per Intel, che in questo modo può rivitalizzare le attività di fonderia in perdita. L’azienda con sede a Santa Clara, California, ha dichiarato venerdì che la fase iniziale del progetto dovrebbe creare 3.000 posti di lavoro.

Il produttore di chip ha attraversato un anno tumultuoso, con la sospensione dei dividendi, i tagli al personale e le improvvise dimissioni di un membro di alto profilo del consiglio di amministrazione, mentre il crollo del prezzo delle sue azioni ha messo a repentaglio il suo posto nell’indice Dow Jones.

Problemi, in questi giorni sono giunti anche dall’unità cinese, che ha dichiarato di aver sempre dato priorità alla sicurezza e alla qualità dei prodotti, dopo che un’influente associazione cinese per la sicurezza informatica ha chiesto una revisione della sicurezza dei prodotti del produttore di chip statunitense venduti in Cina.

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Morgan Stanley rivede i propri obiettivi climatici. La transizione green c’è, ma è lenta

Economia green ed obiettivi climatici si muovono in sinergia. Ma Morgan Stanley li ha dovuti rivedere adottando un po’ più di cautela e prendendosi più tempo.

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Morgan Stanley rivede i propri obiettivi climatici. La transizione green c'è, ma è lenta

Il cammino verso un’economia green è lento e procede con molta calma. Questo è il motivo per il quale Morgan Stanley ha deciso di abbassare la riduzione delle emissioni dal suo portafoglio di prestiti alle aziende.

Jessica Alsford, responsabile della sostenibilità e presidente dell’Institute for Sustainable Investing di Morgan Stanley, spiega che uno dei settori attraverso i quali si comprende come ci si stia muovendo lentamente verso l’economia green, si percepisce dal rallentamento delle vendite di veicoli elettrici, dalla scarsa adozione dei biocarburanti nell’aviazione e dagli ostacoli finanziari e politici nel settore energetico

Morgan Stanley, economia green sì. Ma lentamente

Incamminarsi verso l’economia green ha un impatto diretto sulle attività di molte istituzioni finanziarie. ING, ad esempio, ha deciso di ridurre i prestiti ad alcuni clienti che operano nel settore petrolifero e del gas. Morgan Stanley, invece, in un rapporto ha messo in luce i propri obiettivi ed ha messo in evidenza di stare attenta a non farlo troppo in fretta.

Ad ogni modo, se il ritmo non dovesse accelerare, i suoi clienti e la stessa azienda potrebbero non essere in grado di raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette. Questo è il motivo per il quale l’approccio ai prestiti di Morgan Stanley punta ad essere in linea con il limite del riscaldamento globale a 1,5-1,7 gradi Celsius, andando ad attenuare il precedente obiettivo, che era fissato a 1,5 grazie.

Alsford ha spiegato che le tecnologie e le attuali politiche non sono completamente allineate con 1,5 gradi, e avere questo intervallo tra 1,5 e 1,7 significa riconoscere le sfide che l’economia globale deve affrontare, pur rimanendo in linea con l’accordo di Parigi. Ricordiamo che l’accordo di Parigi punta a limitare l’aumento medio delle temperature dall’era industriale a ben meno di 2 gradi entro il 2050.

Nonostante le temperature record registrate in tutto il pianeta, le emissioni di molte aziende continuano ad aumentare e un rapporto delle Nazioni Unite ha mostrato che l’aumento della temperatura media mondiale è attualmente destinato a raggiungere i 3,1 gradi entro il 2100.

Economia green, le strade per raggiungerla

Morgan Stanley, ora come ora, ha degli obiettivi ben precisi da raggiungere entro il 2030 per sei settori:

  • energia;
  • energia elettrica;
  • automobili;
  • prodotti chimici;
  • estrazione mineraria;
  • aviazione.

Ma non solo. Morgan Stanley ha anche rivisto completamente l’anno di riferimento da cui misurare gli obiettivi, passando dal 2019 al 2022: l’anno più recente presenta dei dati sicuramente migliori.

È stata adottata, inoltre, una metodologia battezzata intensità fisica, che serve a monitorare le emissioni per unità di produzione o generazione, andando ad allineare la banca ed i suoi clienti.

L’obiettivo è di ridurre le emissioni operative del settore del 12-20% entro il 2030, con una riduzione delle emissioni derivanti dall’uso finale del 10-19%, sebbene la banca abbia affermato che alcuni aspetti, tra cui le pressioni sulla sicurezza energetica, potrebbero avere un impatto sui risultati.

L’obiettivo era di ridurre le emissioni del settore energetico nell’intero portafoglio prestiti tra il 45 e il 60%, anche se sarebbero stati necessari finanziamenti e sostegno politico per soddisfare la crescente domanda, compresa quella richiesta dalle tecnologie di intelligenza artificiale.

Per le automobili si prevedeva un calo del 29-45%, sebbene Morgan Stanley avesse avvertito che i tassi di adozione dei veicoli elettrici erano inferiori al tasso necessario per soddisfare la quota del settore l’obiettivo globale.

Nel settore dell’aviazione, le emissioni erano destinate a scendere del 13-24%, spinte dall’uso di carburante per l’aviazione sostenibile. Mentre l’IEA ha affermato che questo dovrebbe raggiungere il 10% entro il 2030, la banca ha osservato che alcune compagnie aeree stanno puntando solo a un utilizzo del 5-7,5%.

Morgan Stanley spiega che restano da affrontare sfide significative per garantire che l’offerta possa soddisfare la domanda a parità di costi, il che sarà un fattore determinante per le compagnie aeree nel raggiungimento dei loro obiettivi intermedi di riduzione delle emissioni e quindi per noi nel raggiungimento del nostro obiettivo in materia di aviazione.

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McDonald’s, negli Usa scatta il panico da cipolla dopo lo scoppio di un’epidemia di Escherichia coli

Dopo lo scoppio di un’epidemia di Escherichia coli in un ristorante di McDonald’s, negli Stati Uniti è scoppiato il panico da cipolla.

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McDonald's, negli Usa scatta il panico da cipolla dopo lo scoppio di un'epidemia di Escherichia coli

Le cipolle fresche sono bandite dalle principali catene di fast food statunitensi. Almeno temporaneamente. A far temere l’ortaggio è l’epidemia di Escherichia coli scoppiata in alcuni fast food di McDonald’s e della quale ne è ritenuta la probabile fonte. I casi registrati in questi mesi hanno messo a nudo uno degli incubi ricorrenti nei ristoranti: la gestione dei prodotti ortofrutticoli, che devono essere mantenuti liberi da contaminazione. Obiettivo da centrare per tutelare la salute dei clienti, ma che per gli ortaggi è più difficile da raggiungere rispetto alla carne bovina.

Ma entriamo un po’ più nel dettaglio e cerchiamo di capire cosa sta accadendo e quali sono le conseguenze di quanto accaduto nei McDonald’s.

McDonalds, l’incubo delle cipolle

Con ogni probabilità le cipolle sono responsabili dell’epidemia di Escherichia coli scoppiata da McDonald’s. Per il momento il problema ha coinvolto i locali dislocati nel Midwest statunitense: si sono ammalate 49 persone e una è morta. A comunicarlo è stato il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti. McDonald’s ha immediatamente ritirato il Quarter Pounder dal suo menù in un quinto dei suoi 1.400 ristoranti dispersi negli Stati Uniti.

A farla da padrone nei registri degli avvocati specializzati in malattie trasmesse da alimenti, in passato, erano principalmente gli hamburger di manzo. Gli enti di regolamentazione sanitaria federale hanno poi deciso di prendere dei provvedimenti severi sulla contaminazione da carne bovina, dopo che un’epidemia di Escherichia coli era stata collegata a Jack in the Box, quando gli hamburger avevo portato all’ospedalizzazione di qualcosa come 170 persone in tutti gli Stati Uniti. Quattro persone erano morte. Dopodiché, per fortuna, i focolai correlati alla carne bovina sono diventati molto più rari.

Quanto accaduto da McDonald’s riaccende il problema. In questo caso, però gli esperti mettono in evidenza che la carne di manzo viene cotta, mentre i prodotti freschi – proprio per definizione – non vengono cotti. Donald Schaffner, esperto di scienza e sicurezza alimentare della Rutgers University, spiega che la cottura corretta è una soluzione miracolosa contro la contaminazione.

I prodotti industriali utilizzati su larga scala, vengono lavati, disinfettati ed analizzati in modo simile alla carne bovina. Ma i test, spiegano gli esperti, non sempre sono in grado di rilevare livelli di contaminazione bassi.

Mansour Samadpour, uno specialista in sicurezza alimentare, spiega che le colture sono spesso coltivate all’aperto, dove le feci della fauna selvatica o degli animali nelle vicinanze possono infiltrarsi nell’acqua di irrigazione o nelle acque delle inondazioni. L’Escherichia coli è un normale agente patogeno nell’intestino degli animali. I bovini ne sono più colpiti di altri, ma è stato rilevato anche in oche, cinghiali, cervi e altri.

La contaminazione potrebbe derivare dall’uso di letame non trattato o di acqua di irrigazione contaminata, oppure dal fatto che le cipolle vengono conservate o tagliate in modo tale da risultare contaminate.

Un problema di sicurezza alimentare

La contaminazione è partita da aziende importanti e ben strutturate. McDonald’s e Taylor Farms – fornitore di cipolle gialle di McDonald’s negli stati interessati – sono delle aziende considerate dagli esperti di sicurezza alimentare come esempi di pratiche sicure.

McDonald’s ha spiegato che i suoi fornitori eseguono test sui prodotti frequentemente e lo hanno fatto nell’intervallo di date fornito dai Centers for Disease Control and Prevention per l’epidemia, ma nessuno di loro ha identificato questo ceppo di Escherichia coli.

Wendy’s nel 2022 ha ritirato la lattuga dai ristoranti di diversi Stati dopo che il CDC ha sospettato che fosse la fonte di un’epidemia di Escherichia coli che ha fatto ammalare decine di persone. Nel 2006, la lattuga di Taco Bell è stata identificata come la probabile fonte di un’epidemia di Escherichia coli che ha fatto ammalare 71 persone.

Il Food Safety Modernization Act del 2011 ha richiesto alla Food and Drug Administration di stabilire standard per la produzione e la raccolta sicure di frutta e verdura. La FDA ha introdotto normative per i prodotti agricoli che in precedenza non erano soggetti a molta regolamentazione.

Schaffner spiega che molto spesso ci si trova davanti ad uno schema fisso: c’è un problema di salute pubblica o di sicurezza alimentare e alla fine il Congresso reagisce e abbiamo delle normative.

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